I dibattiti aperti nel femminismo hanno riportato in auge molte delle elaborazioni che in passato hanno affrontato il rapporto tra capitalismo e patriarcato. Autrici con prospettive diverse come Judith Butler, Silvia Federici, Nancy Fraser o Rita Segato – per citare alcuni esempi recenti – hanno trovato un nuovo pubblico. In questo contesto, sono state rivalutate le idee di coloro che, partendo dal marxismo, hanno dato il loro contributo a queste discussioni[1].


Tra queste spicca la teorizzazione fatta da Lise Vogel in Marxism and the oppression of women [“Il marxismo e l’oppressione delle donne”], pubblicato la prima volta nel 1985 e ripubblicato nel 2013[2], in cui l’autrice, riprendendo il dibattito sul lavoro domestico sviluppato negli anni ‘70, ha ampliato la discussione, ponendo l’attenzione sulla riproduzione sociale, cioè sui meccanismi con cui il capitalismo si occupa della riproduzione della forza lavoro su cui si basa lo sfruttamento. Ecco perché, nonostante siano state proposte diverse denominazioni, questo campo di dibattiti è noto come “teoria della riproduzione sociale” (TRS).

Quella di Vogel è una lettura ancora attuale: prima di tutto, perché il testo in questione è riconosciuto da altre autrici della TRS come pioneristico di questa prospettiva, su cui dialogano nelle loro elaborazioni. In secondo luogo, perché include una ripresa critica della tradizione marxista che l’ha preceduto, riprendendo dibattiti che, con le specificità storiche e regionali da prendere in considerazione, sono ancora validi oggi che il femminismo attraversa una fase di ridefinizioni strategiche dopo diversi anni di persistenza del movimento delle donne a livello internazionale.

In questo articolo ci soffermeremo prima su come Vogel analizza la relazione tra lavoro riproduttivo e produttivo nel capitalismo. Successivamente ci concentreremo su come Vogel vede il rapporto tra capitalismo e patriarcato. L’ampiezza e la complessità del dibattito non può che fare di questo articolo un primo approfondimento, che senza dubbio richiederà nuovi approcci e contrasti con altre elaborazioni.

 

Lavoro produttivo e non produttivo

In un discorso del 1912 Rosa Luxemburg ha affermato che, nel capitalismo, solo il lavoro che consente al capitalista di appropriarsi di plusvalore è considerato “produttivo”:

Da questo punto di vista, la ballerina di music hall, le cui gambe portano i profitti nelle tasche del suo datore di lavoro, è una lavoratrice produttiva, mentre tutte le donne e le madri impegnate tra le mura domestiche sono considerate improduttive. Suona brutale, ma corrisponde esattamente alla brutalità e all’irrazionalità della nostra attuale economia capitalistica[3].

Luxemburg precede un filone del dibattito sul lavoro domestico degli anni ’70 che aveva tentato di affrontare il problema attraverso la prospettiva del materialismo storico. Vogel, riconoscendo queste elaborazioni come un necessario punto di partenza, cerca di offrire un’ulteriore elaborazione rispetto alle posizioni emerse in merito come, ad esempio, quelle di James, Dalla Costa o Federici. Secondo queste ultime, che pur ne hanno utilizzato le categorie, il marxismo sarebbe colpevole di aver “ignorato” la produttività sociale del lavoro domestico, che invece produrrebbe plusvalore quanto il lavoro nelle fabbriche. Di conseguenza, tacciare il lavoro domestico di “improduttività” sarebbe stato un modo per svalutarlo contro il lavoro che produceva beni per il mercato, ma anche sintomo di una ristrettezza della prospettiva marxista, se non addirittura di un pregiudizio machista dell’autore del Capitale.

Vogel, come diverse altre autrici della TRS dopo di lei, sostiene che la nozione di “lavoro produttivo” usata da Marx non ha nulla a che fare con la mancanza di riconoscimento della sua importanza. Caratterizzare il lavoro domestico come “non produttivo” significa definirlo come lavoro non direttamente controllato da un capitalista e quindi non riducibile a “tempo di lavoro socialmente necessario”; è in senso teorico, e non morale, che Marx lo definisce così nel Capitale.

Non è un lavoro meno pesante, meno complesso o meno indispensabile, ma una conseguenza dell’organizzazione della produzione capitalistica, che divide due sfere, quella “privata”, dove si sviluppa tradizionalmente il lavoro riproduttivo, e quella “pubblica” della produzione e circolazione capitaliste, come sottolineato da Federici e come aveva già precisato Marx. D’altra parte, Vogel sottolinea una contraddizione intrinseca in questa forma di organizzazione riproduttiva: se da un lato il capitale ha bisogno di incorporare più settori nel rapporto salariale per massimizzare il plusvalore ottenibile, beneficia al contempo del mantenimento di parte dell’opera riproduttiva nella sfera privata, non retribuendola.

Il lavoro domestico non è l’unico che Marx considera “non produttivo”. Il lavoro riproduttivo nel suo insieme però è un lavoro che riproduce niente di meno che la “forza lavoro” – il concetto che Marx stesso ha indicato come il suo più grande contributo concettuale alla comprensione del funzionamento del capitalismo – sul cui sfruttamento si basa il sistema stesso. Spiegare come funziona nel modo di produzione capitalistico non è quindi un problema di minore importanza per la sua comprensione. Ad onor di cronaca, Vogel sostiene in realtà che questo punto non è sufficientemente sviluppato nel Capitale, sebbene la sua metodologia e alcune delle sue categorie relative al lavoro salariato diano gli strumenti per districare questo nodo teorico, nonostante Marx stesso non lo trattò più diffusamente.

Nella lettura di Vogel, Il Capitale, come altre opere precedenti di Marx ed Engels, non è esente da alcune semplificazioni e naturalizzazioni tipiche dell’epoca in cui sono state scritte[4]. Tuttavia, il “Moro di Treviri” è colui che teoricamente sviluppa le premesse per una comprensione del funzionamento della riproduzione nel sistema capitalista, fattore che non può essere separato dalla struttura della produzione sociale nel suo insieme.

Le domande dovrebbero essere, quindi, come il capitale gestisce le contraddizioni in modo da organizzare la riproduzione sociale e perché questo lavoro riproduttivo è “genderizzato”, ossia “riservato” principalmente alle donne, con l’invisibilizzazione, la svalutazione e la sottomissione che ne conseguono nell’ambito sociale.

 

Produzione e riproduzione

La premessa da cui parte Vogel è che il lavoro riproduttivo non produce beni con valore di scambio ma in ogni caso, valori d’uso per il consumo diretto{23}.

Ciò che deve essere tenuto in considerazione, in primo luogo, è che Marx pone al centro le forme di riproduzione della forza-lavoro in quanto parte essenziale per la riproduzione del capitale stesso in relazione alle “leggi” della gestione della popolazione specifica del capitalismo: i modi di generare e mantenere una popolazione operaia in eccedenza, un “esercito di riserva”{71-2}, in contrasto con la tendenza a diminuire il tasso di profitto generato dallo stesso sistema introducendo dinamiche che consentono di aumentare il plusvalore non solo attraverso l’estensione della giornata lavorativa (plusvalore assoluto), ma riducendo le ore in cui il lavoratore produce l’equivalente di quanto necessario per riprodurre la propria forza-lavoro (plusvalore relativo).

D’altra parte, segnala Vogel seguendo Marx, il livello di consumo non è determinato una volta per tutte, ma in ogni periodo trova i suoi limiti “storici e morali” nella lotta di classe{69}. Tuttavia, nonostante questa definizione che va contro qualsiasi oggettivismo economico, nel Capitale ci sarebbero alcuni passaggi che si riferiscono allo sviluppo di forme di lavoro salariato come una “naturalizzazione” della divisione del lavoro per genere ed età che sarebbe stata modificata quando il meccanismo introdotto dai capitalisti nella produzione consentì a donne e bambini di unirsi al lavoro salariato, eliminando una “divisione precedente” che non è discussa e che pertanto si considera come data{65}[5].

Per analizzare il problema della riproduzione della forza lavoro ci si dovrà quindi concentrare sulla categoria di “consumo individuale” che deriva dal Capitale, sebbene a volte nel testo appaia trattata come il consumo di un singolo lavoratore, altre come il consumo di chi vive insieme al lavoratore come bambini, anziani o casalinghe{67-8}.

Per Vogel vi sono due domande metodologiche che devono essere prese in considerazione in merito a come Marx inserisce questa definizione, nella circostanza di mostrare in che modo si estrae pluslavoro nella produzione.

Il consumo individuale è definito dal punto di vista del capitale, nella misura in cui è importante per il capitalista come consumo produttivo {67/68}, cioè nel modo in cui il salario pagato alla forza-lavoro si converte in beni necessari alla sopravvivenza del lavoratore, così che torni giorno dopo giorno al posto di lavoro.

Marx prende in considerazione un singolo lavoratore responsabile di una famiglia per esaminare le possibili variazioni di valore della forza-lavoro quando un altro membro della famiglia diventa salariato, sempre a beneficio del capitale (ad esempio, quando più membri di quella famiglia cominciano a lavorare, anche se il volume dei salari ricevuti da quella famiglia aumenta, aumenta la quantità di pluslavoro incorporato dal capitalista; oppure, per sostituire i compiti che quel membro della famiglia non sarà più in grado di svolgere andando al lavoro, una parte maggiore della retribuzione dovrà essere spesa sul mercato, a beneficio di un altro capitalista){70}.

Per citare Marx, il consumo individuale “consuma prodotti come mezzi di sussistenza per la vita dell’individuo”; mentre il consumo produttivo consuma prodotti “come mezzi attraverso i quali il lavoro, la forza-lavoro dell’individuo vivente, può operare”{145}. Il problema, per Vogel, è che Marx “dice poco sul lavoro effettivo del consumo individuale. Qui s’individua un terreno di attività economica essenziale per la produzione capitalistica che manca però nell’esposizione”{181-2}.

Vogel sostiene che, a differenza di altre modalità di produzione – come la servitù, dove il servo lavora il suolo del padrone con una divisione spaziale e temporale tra il pluslavoro (quello che fa per il padrone) e il “lavoro necessario” (quello che fa per se stesso) – nel capitalismo appare una divisione nel lavoro necessario{150}, che ora avrebbe due componenti:

La prima discussa da Marx è il lavoro necessario che produce valore equivalente ai salari. Questa componente, che ho chiamato componente sociale del lavoro necessario, è indissolubilmente legata al pluslavoro nel processo di produzione capitalista. La seconda componente necessaria del lavoro, profondamente velata nel resoconto di Marx, è il lavoro non retribuito che contribuisce al rinnovamento quotidiano e a lungo termine dei portatori della forza-lavoro e della classe lavoratrice nel suo insieme. Lo chiamo componente domestica del lavoro necessario, o lavoro domestico. Definito in questo modo, il lavoro domestico diventa un concetto specifico del capitalismo e senza un’assegnazione fissa di genere{192}.

Se questa definizione spiega in modo più adeguato la natura del lavoro riproduttivo, resta da spiegare perché, se in linea di principio non esiste un’allocazione di genere necessaria, la parte domestica del lavoro necessario è principalmente attribuita alle donne.

 

Il lavoro riproduttivo genderizzato

Vogel sostiene che, nel consumo individuale, nella quotidianità della forza lavoro, il lavoro viene utilizzato anche per sostenere altri membri della famiglia che non producono {149-150}, che è quindi anche lavoro necessario per la riproduzione del sistema. All’interno delle forme di “gestione della popolazione” per garantire la forza-lavoro, la riproduzione dei futuri lavoratori non è l’unica di cui si serve il capitale: la migrazione è un altro chiaro esempio. Per questo motivo Vogel insiste sul fatto che la famiglia non debba essere considerata l’unico luogo di riproduzione della forza-lavoro{147}. Ma la riproduzione generazionale è quella in cui interviene la biologia{146} e che richiede una divisione sessuale del lavoro.

Le donne appartenenti alla classe subalterna, quindi, hanno un ruolo particolare nel ricambio generazionale della forza-lavoro. Anche se possono essere produttrici dirette allo stesso tempo, è nel loro ruolo differenziale nella riproduzione della forza-lavoro che stanno le radici della loro oppressione nella società di classe{150}.

Pertanto, non è la divisione del lavoro nella famiglia stessa che fornisce la base per la subordinazione delle donne{153, 177}, ma questa specifica forma di riproduzione generazionale. La causa è che, durante la gravidanza e l’allattamento, la capacità lavorativa delle donne diminuisce e devono essere “mantenute” per quel periodo. In linea di principio, questo è dannoso per il singolo datore di lavoro, che vede aumentare una parte del “lavoro necessario” del lavoratore a scapito del pluslavoro di cui può appropriarsi. Ma allo stesso tempo, e questa sembra essere una contraddizione intrinseca al sistema, ciò va a beneficio della classe capitalista nel suo insieme, assicurandole la futura forza-lavoro{151}.

Qui è necessario introdurre un’altra considerazione per affrontare le caratterizzazioni di Marx. A fini analitici egli considera innanzitutto come la produzione funziona a livello di capitale sociale globale come se fosse uno solo, ma per avanzare a determinazioni più concrete è necessario contemplare i molteplici capitali che la integrano – come Marx stesso fa nel terzo volume del Capitale -, cioè l’intera classe capitalista. Allo stesso modo si potrebbe dire che la riproduzione analiticamente può essere considerata dal punto di vista di un lavoratore e della sua casa, ma per rendere conto della riproduzione del sistema, è necessario considerare la classe operaia nel suo complesso. A questo livello, Vogel aggiungerà:

la riproduzione della forza-lavoro diventa una questione di riproduzione della classe operaia in quanto tale. Il termine classe operaia viene talvolta interpretato come riferito solo ai lavoratori dipendenti. Secondo questo significato, ad esempio, solo le donne lavoratrici sarebbero considerate donne della classe operaia e una serie di settori della forza-lavoro – bambini, anziani e disabili, così come le mogli non lavoratrici – verrebbero dimenticati in un limbo teorico al di fuori della struttura di classe. Qui, la classe operaia sarà considerata come una forza-lavoro passata, presente e potenziale, insieme a tutti coloro il cui sostentamento dipende dai salari, ma che non hanno fatto o non possono entrare nel mondo del lavoro salariato. In qualsiasi momento, comprende la forza-lavoro attiva, l’esercito industriale di riserva e quella parte della relativa sovrappopolazione non incorporata nell’esercito industriale di riserva{166}.

Torniamo alla tesi di Vogel. Nel capitalismo il lavoro è sociale, ma è organizzato come un’impresa privata e ciò permette al capitalista di appropriarsi del pluslavoro, non pagando l’equivalente di ciò che viene effettivamente lavorato in un giorno, ma il valore riproduttivo di quella forza-lavoro attraverso un salario. L’espropriazione dei mezzi di produzione, che costringe il lavoratore a vendere la sua forza-lavoro, lo costringe anche a riprodursi attraverso il mercato, acquistando con il suo salario beni non consumabili di per sè, cioè che richiedono altro lavoro che sembra a sua volta svanire sotto forma di rapporto salariale.

Nelle società capitalistiche, quindi, il rapporto tra il pluslavoro e il lavoro necessario ha due aspetti. Da un lato, la demarcazione tra il pluslavoro e la componente sociale del lavoro necessario è oscurata dal pagamento dei salari nel processo di produzione capitalistico. D’altra parte, la componente domestica del lavoro necessario si dissocia dal lavoro salariato, l’arena in cui si svolge il pluslavoro {158/9}.

Sarà quindi necessario chiarire tale componente del lavoro necessario. Facendo seguito a Ira Gerstein e Paul Smith, Vogel sosterrà che non c’è alcun tipo di plusvalore in quel lavoro domestico che si realizza vendendo la merce forza-lavoro ma, in ogni caso, quello che c’è è un trasferimento di valore:

Lo standard salariale familiare – un salario pagato ad un solo lavoratore maschio sufficiente a coprire il consumo dell’intera famiglia – rappresenta, per Gerstein, un esempio specifico di come ’’l’elemento storico e morale” influenzi la determinazione del valore della forza-lavoro. Cioè, gli standard salariali non solo includono una certa quantità e qualità delle merci, ma implicano anche una certa quantità e qualità del lavoro domestico{164}.

Ad ogni modo, vale la pena chiedersi se la genderizzazione del lavoro riproduttivo, un effetto che mantiene metà dell’umanità in una posizione subordinata, possa essere spiegata solo dalla capacità di riproduzione generazionale delle donne. Giménez, che in linea generale concorda con le valutazioni di Vogel e ha lavorato con lei, segnala un altro elemento specifico del capitalismo, che non contraddice Vogel ma amplia le sue determinazioni. La riproduzione generazionale fa parte di un circolo vizioso: le condizioni precarie delle donne nel lavoro salariato limitano le loro possibilità di autonomia, confinandole dunque al lavoro domestico riproduttivo, rafforzando così l’isolamento nel privato che a sua volta aumenta la loro subordinazione, che influenza la precarietà del lavoro salariato a cui hanno accesso, e così via[6]. Ma, aggiunge, il capitalismo oscura anche la natura economica del lavoro riproduttivo generazionale, mistificandolo “in modo tale che siano percepiti solo i suoi aspetti biologici o ideologici (ad esempio, la necessità che un erede perpetui il cognome, o la necessità di “immortalità”, “pienezza”, ecc.)[7].

Dunque perché la subordinazione delle donne sembra persistere nel capitalismo, un sistema che ha radicalmente modificato le condizioni materiali di produzione-riproduzione, rendendo necessarie queste mistificazioni?

Nel mercato del lavoro, secondo Lise Vogel, il capitalista deve offrire salari che siano equivalenti al valore della forza-lavoro del lavoratore e, contrariamente alla visione di un capitalismo che ci “inganna”, quello scambio è “egualitario”. Certo che l’uguaglianza nel mercato “va di pari passo con lo sfruttamento nella produzione”, ma implica anche che “l’uguaglianza delle persone non è, quindi, un principio astratto o una falsa ideologia, ma una tendenza complessa radicata nell’articolazione delle sfere della produzione e della circolazione”. Eppure è proprio la mancanza di uguaglianza a “rappresentare una caratteristica specifica dell’oppressione delle donne (e di altri gruppi) nelle società capitaliste”{194}.

Per Vogel è il modo di produzione che determina il modo di riproduzione, ma ciò non significa che i due aspetti possano sovrapporsi come una lunga catena di produzione di plusvalore. Ora, c’è il pericolo opposto, ovvero separare entrambi gli aspetti così tanto da finire per avere due logiche o modi di produzione diversi, quello capitalista e quello patriarcale, incrociati in un certo momento storico.

Questo è un altro dei cardini del libro di Vogel. Proprio affrontando questo problema, elenca le concettualizzazioni marxiste relative all’oppressione delle donne, mettendole in relazione alla lotta per il socialismo, al dibattito sulla strategia, e al contempo ribattendo alle cosiddette posizioni “dualiste”, ovvero quelle che presupponevano che la lotta dei sessi fosse tanto un motore della storia quanto la lotta di classe{135}.

Si tratta di un dibattito politico passato e presente, perché questa era la tendenza in cui erano collocati una serie di riferimenti del “femminismo socialista” contemporaneo che, nella ricerca di un quadro alternativo per la connotazione dell’oppressione delle donne (patriarcato, autorità, ecc.){28}, ricadeva sulle debolezze che avevano caratterizzato l’ala riformista del movimento socialista ottocentesco nel trattare il problema dell’oppressione delle donne{137}.

Vogel ritiene che, in parte, questo problema derivasse dalle ambiguità presenti in quello che era, ed è ancora, un classico marxista su questo tema: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In questo testo, Engels, basandosi, non senza critiche, sugli studi antropologici di Morgan e sulle note lasciate su di essi da Marx, viaggia attraverso società primitive e moderne alla ricerca del rapporto tra forme di produzione e forme di organizzazione familiare, dando un posto di rilievo al problema dell’oppressione della donna, affrontata dal punto di vista della “teoria materialista della storia”.

Il libro di Engels sarà per l’autrice una fonte per la TRS, in quanto, a differenza degli sviluppi fino ad allora popolari del socialista Bebel, si concentra sul fenomeno sociale che dà origine alla posizione delle donne in una determinata società e, quindi, sulle condizioni in cui tale posizione può essere modificata{138}.
Allo stesso tempo però è anche fonte di posizioni dualistiche poiché, secondo la sua lettura, Engels conferisce alla divisione sessuale del lavoro in famiglia un carattere storicamente inflessibile basato sulla biologia, lasciandola in un “limbo teorico”{136}. Se, per la Vogel, Engels ancora era in grado di compattare entrambe le prospettive, le successive letture socialdemocratiche avrebbero adottato definitivamente una visione dualista.

 

Logica e storia

Il libro di Engels è stato ampiamente riconosciuto – anche tra le femministe non marxiste – per aver posto il problema dell’oppressione delle donne sul livello teorico della produzione sociale e dell’emergere delle classi, cioè al centro delle preoccupazioni del materialismo storico. È stato anche oggetto di varie critiche, molte delle quali si riferiscono alle ipotesi antropologiche riportate nel testo, nella misura in cui gli sviluppi successivi le avrebbero confutate. Abbiamo già analizzato queste rivendicazioni e critiche[8] concentreremo qui sulle critiche mosse da Vogel a partire dai suoi presupposti teorici.

Le tre principali controversie che l’autrice identifica sono:

  • Engels teorizzava l’idea di un “matriarcato originale”, modificato dalla comparsa di nuovi mezzi che permettevano di generare eccedenze; ciò supporrebbe una visione dello sviluppo storico come un processo evolutivo e automatico di avanzamento delle forze produttive;
  • A differenza di Marx, che pone l’accento sulle relazioni sociali, Engels si focalizza sulla proprietà (influenzato dai “resti dell’utopismo”) e non sullo sfruttamento come oggetto di lotta di classe{91}, mentre la distinzione tra ricchezza come “accumulazione di cose” e proprietà privata come relazione sociale è vaga nel suo svilupp {86}: così, Engels “non collega chiaramente lo sviluppo di una sfera speciale associata alla riproduzione della forza lavoro all’emergere delle classi”{90}.
  • L’enfasi che Engels pone sull’importanza strategica dei diritti democratici lascerebbe aperta la questione del rapporto tra rivoluzione socialista, liberazione delle donne e lotta per la parità dei diritti, suggerendo che “il programma socialista per la liberazione delle donne consista in due obiettivi distinti: la parità di diritti con gli uomini nella società ancora capitalista, a breve termine; e la liberazione totale sulla base di una forma di famiglia superiore in un lontano millennio rivoluzionario”{90}.

La nostra impressione è che Lise Vogel, per discutere correttamente con il dualismo e le sue derivazioni politiche, forzi la critica a Engels, a partire dal fatto che lei stessa finisce col relativizzarla su diversi aspetti. La stessa Vogel dice che Engels intende la proprietà privata come un rapporto sociale (anche se le sembra che lo faccia solo superficialmente), e che l’enfasi posta sull’avanzamento delle “forze produttive” era un avanzamento contro il precedente idealismo di Bebel – si potrebbe aggiungere, inoltre, che le forze produttive non sono “cose” o semplice tecnologia neanche per il marxismo, ma sono anche parte dei rapporti sociali.

D’altra parte, è difficile sostenere che Engels non dia importanza all’emergere di una “sfera speciale” legata alla “forza-lavoro” in una società che stava costituendo un suo classismo a partire dall’appropriazione di qualsiasi eccedenza. Engels menziona esplicitamente questa separazione pubblico-privato a scapito delle donne, anche se ancora in assenza delle forme caratteristiche della società capitalista dove produzione e riproduzione sono separate nello spazio e nel tempo.

Si potrebbe sostenere, estendendo questa caratteristica a tutte le società di classe precedenti (e in questa direzione probabilmente si muove Vogel), che nella società capitalista il fondamento economico non sono più le relazioni di parentela ma le necessità di riproduzione. Ciò demarca un cambiamento storico. I legami di parentela erano il legame sociale che governava l’economia politica delle società primitive e analizzarle non implica necessariamente una naturalizzazione della “famiglia” come qualcosa di immutabile. Infatti, Vogelstessa riporta che, già dall’Ideologia tedesca, Marx ed Engels consideravano la famiglia “abolita” per la classe operaia nella misura in cui questa non ha più alcuna proprietà, anche se ci serviamo dell’etichetta della “famiglia operaia”{51}[9].

A questo testo potrebbe applicarsi un noto problema metodologico già posto per Il Capitale: è questo un libro storico o segue un ordine logico indipendente da come quella forma sociale si sviluppò concretamente? Se è corretto, come sottolinea Vogel, non estrapolare da altre società le categorie della propria, è anche corretto che per Marx le forme più complesse, come il capitalismo, possano permettere di “scoprire” tracce di queste caratteristiche nei processi storici precedenti. Il libro di Engels è un commento a uno studio antropologico, non un tentativo di rendere conto del funzionamento della società capitalista, come invece è per Il Capitale. Il fatto che le forme da lui analizzate in questa sede non abbiano tutti gli elementi proposti in seguito è forse una precauzione metodologica adeguata in questo caso.

D’altra parte, la matrice politica da cui derivano le posizioni dualiste – che l’emancipazione delle donne si sarebbe posta in un secondo momento -, non si trova necessariamente già nei suoi scritti. Vogel stessa sottolinea che, in particolare, quando il movimento operaio contemporaneo di Marx ed Engels si trovò a discutere in merito all’integrazione delle donne nel lavoro salariato, pur avendo l’opposizione dei sindacati (maschili), entrambi sostennero sempre che ciò era necessario.

Contro le posizioni riformiste, l’autrice definisce come asse cardine della tradizione rivoluzionaria la visione leninista, ripresa dalla politica a supporto dei popoli oppressi, sostenendo dunque una duplice radice per l’oppressione femminile: da una parte, come gruppo sociale le donne soffrono una disuguaglianza politica e, al contempo, subiscono il giogo del lavoro domestico. La loro liberazione, quindi, dovrebbe avere anche due facce: la liberazione politica sarebbe solo il primo passo, e infatti, il programma della Rivoluzione russa affrontava nel vivo la questione del lavoro riproduttivo{123-126}. La radice di questa tradizione sarebbe secondo Vogel l’Anti-Dühring di Engels, opera che contiene la prima formulazione programmatica in questo senso: non solo è richiesta “l’associazione di uomini liberi”, ma anche “la trasformazione del lavoro domestico privato in industria pubblica”{78}.

Naturalmente, posizioni teoriche corrette non garantiscono pratiche corrette e una politica corretta può avere basi teoriche deboli o insufficienti. Tralasciando le ambiguità di Engels, è da tenere in considerazione, nel contesto dell’abbandono della TRS da parte di certi referenti femministi con cui la Vogel discute, la delusione per quanto è accaduto in URSS. Lise Vogel sostiene che l’eredità della Rivoluzione russa sia incompleta: il blocco al processo di liberazione delle donne, che tra i socialisti era generalmente giustificato dall’arretratezza da cui era partito o da priorità politiche sbagliate, corrispondeva a visioni maggioritarie molto simili a quelle della socialdemocrazia della Seconda Internazionale, che Lenin o Zetkin non avevano potuto finire di smontare. Lei stessa non spiega però il cambiamento tra le misure adottate nei primi anni del processo e la svolta che lo stalinismo, grande freno alla radicalità delle misure iniziali, ha significato.

È qui che si nota la mancanza delle analisi di Trotsky, che Vogel non menziona, pur emergendo come autrice della riproduzione sociale che più mette in evidenza ciò che è stato realizzato nella Rivoluzione russa come asse della tradizione marxista. È proprio la teoria della rivoluzione permanente di Trotsky che cerca di spiegare la meccanica della rivoluzione operaia: in primo luogo, è possibile che la classe operaia sia obbligata a svolgere, con i propri metodi, compiti storici democratici che la borghesia ha lasciato in sospeso, insieme ai compiti socialisti che le sono propri come classe; ma anche, che una volta preso il potere, le rivoluzioni dell’economia, della tecnica, della scienza, della famiglia, dei costumi, “si verifichino in un contesto di azioni reciproche tale che la società non possa raggiungere una situazione di equilibrio”[10].

In effetti, una rivoluzione operaia non significa automaticamente risolvere un problema millenario come l’oppressione delle donne, ma non significa nemmeno rimandarlo ad un orizzonte indefinito in cui le condizioni materiali siano mature. È stato per “stabilizzare” le condizioni interne a suo favore che lo stalinismo ha tagliato i progressi che la rivoluzione aveva fatto in questo campo – così come in quello della politica verso le nazionalità di cui parlava Vogel -, ripristinando tutti quei presupposti conservatori e i pregiudizi in merito al ruolo che le donne avrebbero dovuto avere nella società, in particolare quello di madri di una forza-lavoro di cui la “patria socialista” aveva bisogno[11]. La delusione per le illusioni generate dalla rivoluzione, alla luce dei risultati ottenuti, e la mancanza di strumenti per comprendere questo sviluppo e di conseguenza combatterlo, è ciò che ha generato a livello internazionale la scelta di altri percorsi – come fu la New Left -, in alcuni casi con la ricaduta nel riformismo o addirittura nel liberalismo. Lo sconforto generato da questo fallimento, ha condotto, secondo Vogel, oltre alla ricaduta nelle posizioni dualiste, in definitiva anche l’abbandono dell’argomentazione materialista unitaria da parte di alcuni approcci del femminismo socialista a lei contemporaneo.

 

Moderno o tradizionale?

Si può sostenere che il capitalismo abbia eliminato la base materiale delle precedenti forme patriarcali. Scoprire quali sono stati i cambiamenti in questa materia e su cosa si basa oggi l’oppressione delle donne è il contributo che Vogel dà e di cui parliamo nella prima parte di questo articolo. Non c’è dubbio però che nel capitalismo persistono pregiudizi, modi di pensare di quel patriarcato tradizionale che il sistema mantiene e utilizza a suo vantaggio. Sottolineare che le sue basi materiali sono diverse, così come quelle della “famiglia operaia”, non significa che non si possano trovare elementi comuni, ad esempio la figura del padre come asse portante dell’autorità familiare, la “natura” della donna come riproduttrice di vita e le mansioni, di cura e non solo, che ne conseguono. È ancora necessario spiegare, quindi, il rapporto tra le ideologie precedenti all’emergere del capitalismo, come il patriarcato, e il nuovo modo di produzione.

All’interno della teorizzazione di Vogel c’è un elemento che potrebbe essere alla base di una specifica ipotesi: la contraddizione intrinseca tra ottenere una maggior plusvalore e continuare a beneficiare del lavoro non retribuito e dell’effetto “livellante” del mercato sulla circolazione. Sarà Martha Giménez ad analizzare questo aspetto. Come riconoscono Vogel e altre autrici della TRS, il capitalismo, in linea di principio, non fa differenza quando si tratta di sfruttare la forza-lavoro – uomini, donne, bambini, neri, bianchi -, proprio perché la sua specificità è quella di “astrarre” i lavori concreti in “gelatina di lavoro”. Ma ciò implica che i lavoratori siano legalmente liberi ed eguali, almeno per competere nel mercato del lavoro scambiando la loro particolare “merce”, la forza-lavoro. C’è un problema: cosa giustificherebbe il fatto di pagare socialmente le donne meno, di renderle più precarie o di farle lavorare per un doppio turno?

In maniera compensativa, questo è ciò di cui si occupa l’ideologia creata intorno alla famiglia, che si avvale dei pregiudizi già esistenti e ampiamente diffusi e ne aggiunge altri. Così, l’amore materno, la maggiore sensibilità femminile, la dedizione, ecc. sono costruzioni che si basano sulla tradizione, ma sono in questo senso “moderne”. Può mescolare argomentazioni religiose per le quali una donna è diventata madre senza ricorrere al sesso, con quelle dell’imprenditorialità cool che permette alle sue dipendenti di congelare gli ovuli per “rispettare” il loro “desiderio di essere madri” quando fa comodo all’azienda, proprio come fa Amazon. Un’osservazione simile viene fatta da Artous in Los orígenes de la opresión de la mujer: “Sembra che la borghesia, che ha un’ideologia egualitaria tra gli individui, sia stata costretta a produrre una teoria della natura femminile per giustificare l’oppressione in nome della differenza tra uomini e donne”[12]. Un’operazione simile potrebbe essere pensata per altre forme di oppressione, come il razzismo.

Che la situazione sia cambiata dalle prime analisi dei fondatori del marxismo alla Rivoluzione russa, o dal contesto in cui Vogel ha scritto fino ai giorni nostri – con un significativo aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro -, per i marxisti rivoluzionari è stata una questione affrontata costantemente. In questo quadro, la sfida di Vogel alle visioni dualiste è stato un contributo volto a non fare separatismi tra rivendicazioni che cercano di porre fine allo sfruttamento e rivendicazioni che vogliono porre fine a ogni oppressione. Ciò rimanda a un dibattito politico e programmatico che viene abitualmente posto dal marxismo come problema dell’egemonia. Il riconoscimento delle determinazioni e delle specificità della produzione e della riproduzione sotto il sistema capitalistico ha comunque a che fare con la capacità di articolare queste esigenze in modo tale che esse non approfondiscano le divisioni di cui beneficia il capitalismo stesso ma, al contrario, si rafforzino nella lotta contro il sistema che le provoca e le sostiene. Si tratta di basi teoriche, per un dibattito più ampio sulla strategia rivoluzionaria (i suoi centri di gravità, i suoi alleati e nemici). Ridiscutere le idee che attraversano questa tradizione fa parte del processo con cui la si attualizza ai tempi contemporanei, inserendola nei dibattiti e nei confronti che si susseguono, rispetto ai quali abbiamo cercato di contribuire in queste pagine e che senza dubbio richiederanno nuovi capitoli.

 

Ariane Díaz

Questo articolo fa parte del numero 7, ottobre 2023, della rivista Egemonia.

Note

1. Oltre al libro di Lise Vogel che prendiamo qui in considerazione, cfr. per esempio quelli di: Arruzza C (2015) Las sin parte. Barcelona: Sylone; Bhattacharya (a cura di) (2017), Social Reproduction Theory. Londra: Pluto Press; Giménez M (2019) Marx, women and capitalist social reproduction, Leiden-London: Brill.

2. Vogel L (2013) Marxism and the oppression of women. Chicago: Haymarket Questa ristampa include un’appendice che non era nell’originale. La traduzione dall’inglese qui e altrove, salvo diversa indicazione, è nostra e i riferimenti a questa edizione saranno fatti nel testo seguente tra parentesi graffe nella pagina corrispondente. La presente traduzione italiana propone in unico testo i due articoli dedicati al tema: Diaz A (2019) “Economía política de la reproducción social I: trabajo y capital” e “Economía política de la reproducción social II: patriarcado y capitalismo”. Ideas de Izquierda. Disponibili a:

laizquierdadiario.com/Economia-politica-de-la-reproduccion-social-I-trabajo-y-capital 

e laizquierdadiario.com/Economia-politica-de-la-reproduccion-social-II-patriarcado-y-capitalismo (ndt).

3. Cit. in Heather B (2012) Marx on gender and the family, Leiden-Boston: Brill, pp. 77-8.

4. Heather Brown (op. cit.) riprende gli stessi testi e ne aggiunge di nuovi, coincidendo in alcuni punti con Vogel ma reinterpretando molte delle citazioni prese come “naturaliste” dal punto di vista di una definizione di natura non positivista delineata nei Manoscritti del 1844 di Marx. In Vogel, invece, si possono trovare echi althusseriani, un’influenza che non tutti i teorici della riproduzione sociale condivideranno. Tuttavia, Vogel insisterà nel criticare le visioni marxiste deterministiche e funzionaliste a cui Althusser è stato associato. Qui è necessario considerare il momento dell’enunciazione: con tutte le critiche che gli si potrebbero fare, il primo Althusser che Vogel evoca può essere visto oggi come deterministico, ma non appariva così negli anni ’70, quando parte del suo fascino teorico consisteva nel proporre un’alternativa alle visioni economiciste. Questo è probabilmente il motivo per cui Vogel può essere ripresa da altre letture della TRS che si iscrivono in genealogie divergenti del marxismo. Questi diversi quadri concettuali non sono sempre espliciti, anche se possono essere rintracciati in ciò che è enfatizzato o delimitato nelle diverse concettualizzazioni.

5. Nell’introduzione di Ferguson e McNally alla riedizione del libro di Vogel, si interpreta che la “naturalizzazione” di Marx sarebbe stata vista in frasi come: “quando ci si riferisce al mantenimento e alla riproduzione della classe operaia, i capitalisti possono tranquillamente lasciare che se ne occupi l’impulso all’autoconservazione e alla moltiplicazione”. Questa frase sarà discussa in diverse versioni della TRS. Giménez sostiene che, oltre alla denuncia politica che il capitale lascia i lavoratori al loro destino a meno che il proprio profitto non sia a rischio, è anche una definizione di un modo di produzione che presuppone lavoratori “liberi” autonomi, per cui la produzione e la riproduzione non possono essere “isomorfi” (Giménez, op. cit., p. 75). A nostro avviso, Vogel sta delimitando più precisamente ciò che Marx naturalizzerebbe: non la riproduzione lasciata al di fuori del controllo diretto del capitale, ma una divisione sessuale del lavoro che rimane indiscussa.

6. Giménez, op. cit., pp. 77/78.

7. Ibid., p. 148. 

8. Díaz A [2017] El marxismo y la opresión de la mujer. A propósito de El origen de la familia, la propiedad privada y el Estado, de Friedrich Engels. Ideas de Izquierda. Disponibile a: laizquierdadiario.com/Dossier-El-marxismo-y-la-opresion-de-la-mujer.

9. È interessante qui prendere un elemento aggiunto da Arruzza (op. cit.) quando sottolinea che nelle società primitive la progressiva affermazione della “proprietà individuale” è portata avanti contro la proprietà collettiva della gens, cioè appare come un elemento della costituzione di una classe differenziata dal collettivo. Ciò che Arruzza criticherà però ad Engels è che “ricorre a un presunto istinto degli uomini di perpetuare la propria eredità e, quindi, di controllare la funzione riproduttiva delle donne”, invece di sottolineare che è la necessità di controllare questa funzione riproduttiva della forza-lavoro che stabilisce queste regole. Oltre al fatto che l’obiettivo di Engels era proprio quello di far notare che l’asservimento delle donne è motivato dal cambiamento economico e sociale e non da qualche “istinto” maschile, va detto che la capacità di ereditare la proprietà individuale è un marchio di classe, in quanto permette la sua perpetuazione in quanto tale; per questo, ad esempio, uno dei problemi della casta burocratica emersa in URSS era che, per legge, non potevano ereditare i loro privilegi e quindi costituire una nuova classe oppressiva. La proprietà privata è in effetti un rapporto sociale in quanto comporta la privazione della proprietà ad altri e la perpetuazione della propria.

10. Trotsky L (1967)[1936] La rivoluzione permanente. Torino: Einaudi. P. 29.

11. Cfr. Goldman W (2010)[1993] La mujer, el Estado y la revolución. Buenos Aires: Ediciones IPS.

12. Artous A (1982) Los orígenes de la opresión de la mujer. Barcelona: Fontamara, p. 56.

È nata nella provincia di Buenos Aires nel 1977. Laureata in lettere, militante del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS). Ha curato e introdotto gli Scritti filosofici di Lev Trotsky (2004, in spagnolo), e El encuentro de Breton y Trotsky en México (2016). È coautrice del libro Constelaciones dialécticas. Tentativas sobre Walter Benjamin (2008), e scrive di teoria e cultura marxista.