Il dibattito sul fronte unico della classe lavoratrice ha vissuto un breve periodo di discussioni caratterizzato dal botta e risposta intorno alle date del 27 ottobre e 10 novembre, giorni in cui vi sono stati gli scioperi di Si Cobas, Adl Cobas, SGB, USI da una parte e USB e Confederazione Cobas dall’altro. Le cose sono andate come peggio non poteva e, per questioni che non toccheremo se non di sfuggita in questo articolo, i due scioperi pur avendo visto mobilitazioni più o meno riuscite (in particolare tra i lavoratori della logistica e quelli dei trasporti) sono passati senza riuscire ad incidere quanto invece avrebbe potuto una mobilitazione unitarie di tutte le organizzazioni sindacali in oggetto.

L’unità dei lavoratori (e degli studenti e dei disoccupati) rimane uno dei nodi più importanti da sciogliere se gli stessi lavoratori non vogliono essere spazzati via dall’offensiva padronale che colpisce e avanza su ogni fronte, dal rinnovo dei contratti nazionali, all’attacco ormai continuato alle occupazioni a scopo abitativo, agli affondi sulle comunità migranti evidentemente visti da una parte come un pezzo di società difficilmente controllabile (e infatti hanno rappresentato l’avanguardia più combattiva in questi ultimi anni sia nei luoghi di lavoro che nelle occupazioni), dall’altra da criminalizzare per dare un capro espiatorio ad un proletariato indigeno stremato e incazzato ma che ancora non riesce a individuare il proprio vero nemico.

Negli ambienti, pochi in proporzione alla totalità del lavoro dipendente presente in Italia, dove il conflitto di classe si acuisce e da segnali di vita gli stessi lavoratori e lavoratrici danno prova di comprendere il fatto, basilare e spesso messo in secondo piano da burocrazie o semi-burocrazie sindacali, che l’unità, in una vertenza, può fare la differenza tra una vittoria ed una sconfitta. Questione questa che i padroni invece capiscono molto bene, giocando spesso per dividere i lavoratori per appartenenza sia culturale e etnica che, appunto, sfruttando a proprio vantaggio la presenza di più organizzazioni sindacali.

Due situazioni venute fuori negli ultimi mesi nei magazzini della logistica danno bene la misura di quanto i lavoratori comprendano questa urgenza autonomamente, prendendo decisioni spesso in contraddizione con quelle “ufficiali” del proprio sindacato.

Nel magazzino TNT di Fiano Romano i lavoratori del Si Cobas, il 30 e 31 ottobre, nonostante i pochi giorni di distanza rispetto al 27 ottobre, giorno dello sciopero del proprio sindacato, decidono di partecipare allo sciopero della CGIL (i cui stessi iscritti, però, disertano in parte, evidentemente per le carenze di presenza e determinazione innanzitutto dei vertici locali della stessa sigla confederale) con il carico di ritorsioni padronali prevedibili.

Nel magazzino GLS di Riano, anche questo poco fuori Roma, i lavoratori, divisi in Si Cobas e USB scioperano insieme il 10 novembre, giorno dello sciopero nazionale USB su decisione dei lavoratori Si Cobas, nonostante tutti gli sforzi della cooperativa di tenere separati da compartimenti stagni gli iscritti ai due sindacati (per esempio con la promessa di dare bonus economici ai lavoratori che disertano lo sciopero dell’altra sigla sindacale) e nonostante in questo magazzino l’USB non abbia scioperato in due occasioni precedenti.

Altre esperienze di questo genere sono avvenute negli ultimi mesi in tutti i settori, pur ancora in misura decisamente minoritaria.

È bene stare attenti, queste convergenze particolari, ovviamente, non significano una sovrapposizione dei profili politici e di lotta delle sigle a cui sono iscritti i lavoratori, come è evidente dai due esempi fatti (equivarrebbe a dire che Si Cobas, USB e CGIL sono uguali, insomma una scemenza bella e buona), significa solo che la classe, dove si ritrova attaccata, cerca la convergenza nella lotta con i propri colleghi di lavoro, ovviamente che subiscono il proprio stesso sfruttamento.

La costruzione di un fronte unico intersindacale di lavoratori combattivi è all’ordine del giorno se si vuole davvero resistere all’assalto dei padroni. È ora di prendersi le proprie responsabilità e lasciar stare gli orti e orticelli che anche nel sindacalismo di base e più conflittuale ci sono, e scendere in guerra contro lo sfruttamento, contro le burocrazie, al fianco della classe che lotta.

Di CM