« Da quattro anni le manifestazioni erano organizzate dalla CIA »

« Possiamo annunciare la fine della sedizione dell’ anno 1396 ». È con questo comunicato che le autorità iraniane hanno sancito la fine del movimento che ha scosso le principali città del paese per quasi una settimana. Ma forse è un annuncio avventato.

Mercoledì, dopo uno nuova giornata di contro-manifestazioni filogovernative, il leader dei Pasdaran, il generale Jafari, ha annunciato la « fine della sedizione dell’anno 1396 », secondo il calendario persiano. All’ appello lanciato da diverse fazioni del regime che fanno capo allo stesso tempo ai Pasdaran, alla guida suprema, l’ Ayatollah Khamenei e  al presidente « moderato » della Repubblica islamica Rohani, decine di migliaia di manifestanti pro-regime sono scesi in strada martedì e mercoledì. Nel corso della mobilitazione organizzata dal regime, i manifestanti hanno brandito le bandiere della repubblica islamica ed i ritratti degli Ayatollah Khomeini e Khamenei. Le manifestazioni sono state particolarmente importanti a Teheran, a Qoz, ad Ahvaz e a Kermanshah, città capofila della contestazione.

Piccoli e sporadici raggruppamenti anti regime sarebbero stati organizzati a Teheran, senza raggiungere però l’ampiezza delle manifestazioni del fine settimana. Dopo più di venti morti e centinaia di arresti la repressione ha prevalso definitivamente sul movimento di contestazione? Questo è tutt’altro che certo. Anzitutto perché a scendere in piazza questa volta è stata la base sociale del regime e cioè l’Iran povero delle zone rurali, quello che non aveva partecipato alle manifestazioni del 2009. In questa occasione è scesa in piazza proprio questa frazione delle classi popolari iraniane, a seguito dell’annuncio dell’ abrogazione a marzo del sussidio speciale di 9 euro mensili introdotto a suo tempo dall’ex presidente Ahmadinejad, secondo una logica clientelare.

Se oggi nelle strade è stato ristabilito l’ordine, la situazione economica all’origine delle contestazioni è sempre precaria. Situazione aggravata dall’ annuncio da parte del presidente statunitense il giorno 19 gennaio della probabile non ratifica degli accordi sul nucleare. Rohani conta quindi su un afflusso di capitali e di investimenti stranieri che oggi sono messi in discussione dalla posizione della Casa Bianca che vorrebbe imporre nuove sanzioni.

Dal punto di vista politico Rohani sa che non può rispondere semplicemente con la repressione perché tra i suoi collaboratori pensano che questo potrebbe alimentare a breve termine altre manifestazioni di protesta. È questo l’avvertimento che lanciano a Rohani numerose personalità “riformatrici”, invitandolo ad ascoltare la voce che sale dalle strade, come l’ex deputato Kharubi (esiliato), vecchio braccio destro del leader del Movimento Verde Karrubi, ancora agli arresti domiciliari o come Mohamed Ali Abtahi, già vice presidente al tempo di Khatami, che teme che “il paese si trasformi in uno stato di polizia” (come se non fosse già così): e così vogliono avvertire Rohani che, a differenza di quanti sostengono la linea repressiva incarnata da Jaffari e dai guardiani della rivoluzione, deve invece fare delle concessioni.

Trump ha promesso con un tweet che aiuterà il popolo iraniano al « momento opportuno ». L’imperialismo americano è stato alleato fino al 1979 della sanguinaria monarchia iraniana ed ha sostenuto i peggiori regimi della regione. In questo modo il procuratore generale della Repubblica Montazeri ha avuto gioco facile  a dire giovedì scorso a proposito delle manifestazioni anti-governative che si tratterebbe di un movimento preparato ed organizzato da quattro anni «dalla CIA con il sostegno di Israele, dell’Arabia Saudita e dell’ex agente segreto Michael Andrea». Ma all’origine delle contestazioni di questi ultimi giorni stanno in realtà le contraddizioni che minano la società iraniana.

Le persone che hanno manifestato contro la corruzione, la povertà, la disoccupazione, l’interventismo militare e persino contro il regime potranno contare solo sulle proprie forze per lottare contro l’austerità e contro le misure di liberalizzazione economica e per rilanciare la dinamica anti-governativa.  È per questo motivo che, in modo del tutto indipendente dalle cancellerie imperialiste, l’appoggio del movimento operaio internazionale dovrebbe andare ai prigionieri politici iraniani e a tutti coloro che sono scesi in piazza in questi giorni e che ci hanno dato una grande lezione di coraggio e speranza.

Ciro Tappeste per Révolution Permanente
Traduzione di Ylenia Gironella

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.