Nell’anniversario della morte di Jîna Mahsa Amini, la rete Donna vita libertà ha lanciato varie iniziative, tra cui un combattivo corteo per le strade di Roma.
Oggi 16 settembre cade il primo anniversario della morte di Jîna Mahsa Amini, la giovane iraniana arrestata e uccisa dalla polizia politica iraniana per il solo fatto di essere “malvestita”, cioè di non portare regolarmente il copricapo hijab, come previsto dalla legge sull’obbligo del velo del 1981, adottata dopo la sconfitta della rivoluzione iraniana e la salita al potere del regime clericale dell’ayatollah Khomeini.
Lo scandalo provocato dalla morte della giovane Mahsa portò all’esplosione del movimento di massa contro la repressione religiosa e patriarcale che, a differenza di altri cicli di mobilitazione politica nel passato recente dell’Iran, contesta il regime islamista in quanto tale e rivendica la sua caduta.
A distanza di un anno, il movimento continua nonostante la repressione brutale, con centinaia di morti, spesso impiccati dopo aver ricevuto una condanna a morte, molte migliaia di arrestati e feriti, e con l’adozione di molte misure di polizia come l’oscuramento dei social media, vitali per comunicare con l’esterno e mostrare la reale situazione del paese, dove gran parte della popolazione vive in povertà e molte etnie sono continuamente represse.
Il movimento all’interno dell’Iran può godere dell’attività di informazione e solidarietà che migliaia di attivisti della diaspora iraniana nel mondo hanno lanciato in decine e decine di paesi.
Inevitabilmente, il variegato mondo dell’opposizione al regime iraniano comprende componenti di sinistra, più fedeli alle rivendicazioni delle donne e della gioventù che hanno riempito le strade dell’Iran e si sono scontrate con la violenza del regime, e componenti liberali, conservatrici e persino monarchiche, che costituiscono la base sociale per l’ipotesi di un cambio di rapporti di forza nella borghesia iraniana, associato a un cambio di regime verso uno Stato “liberale” all’occidentale, o addirittura al ritorno della dinastia Pahlavi, quello dello scià Mohammad Reza Pahlavi, regnante fino al 1979, anno della rivoluzione.
Queste importanti divergenze politiche, assolutamente non marginali o settarie quando si tratta di che direzione deve prendere un movimento che si rivendica rivoluzionario come quello in corso in Iran, hanno fatto sì che le manifestazioni per questo anniversario si svolgano in diverse occasioni.
In Italia, il Collettivo Donna Vita Libertà di Roma, collegato ad altre realtà dell’opposizione di sinistra al regime, ha promosso due giorni di mobilitazione: un corteo ieri sera tra il centro di Roma e il quartiere di Trastevere; un presidio stamattina di fronte all’ambasciata dell’Iran in via Nomentana, e un seminario di confronto tra attivisti iraniani ed esponenti di alcune realtà italiane e internazionali solidali col movimento, al quale parteciperà anche Meytham Almahdi, militante del movimento operaio e leader di storiche lotte del complesso dell’acciaio di Ahwaz, nel sud del paese.
Il corteo di ieri ha visto un centinaio di persone, tra cui una delegazione di compagni curdi e molte attiviste italiane in solidarietà ai compagni e alle compagne iraniane, attraversare la città da Campo de Fiori fino alla piazza di Santa Maria in Trastevere, lanciando lo slogan “donna vita libertà”, “Jin, Jiyan, Azadî”, insieme a molti altri, contro l’oppressione religiosa, patriarcale, razzista e contro lo sfruttamento di classe di cui il regime clericale iraniano è garante.
La lotta del popolo iraniano contro il regime, come abbiamo ricordato tra gli interventi finali in piazza, è la stessa dei palestinesi che lottano per affrancarsi dallo Stato neocoloniale di Israele: il modello della “democrazia liberale” di Israele o delle potenze occidentali, che comunque si basa su violenza di Stato e sfruttamento delle masse lavoratrici, non può essere un obiettivo per i movimenti di rivolta nei paesi dominati da regimi autoritari. La lotta per vendicare Mahsa Amini è la stessa di quella per liberare Khaled El Qaisi dalle carceri israeliane.
Il recente ciclo storico di ribellioni che ha scosso il mondo prima e dopo le quarantene per il Coronavirus non richiama solo la necessità della solidarietà internazionalista verso queste eroiche lotte degli sfruttati e degli oppressi in altri paesi e continenti, ma rinnova la discussione su che programma e strategia possono basarsi questi movimenti per evolversi e vincere effettivamente contro il sistema capitalista, patriarcale, imperialista, a partire dagli oppressori del proprio paese.
Giacomo Turci
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.