La manifestazione del 22 marzo, 65mila persone a Parigi e decine di migliaia negli altri capoluoghi, 500mila in tutto secondo la CGT, è stata la più partecipata dall’inizio della presidenza Macron. Mentre i dipendenti della funzione pubblica in sciopero (insegnanti, impiegati e operatori sanitari), accompagnati dal corteo studentesco, hanno sfilato da Bercy a Bastille, i ferrovieri di tutta la Francia si sono dati appuntamento nella capitale per dire no alla riforma della SNCF, che prevede in prospettiva la privatizzazione delle ferrovie e la conseguente liquidazione del cosiddetto statut des cheminots per le nuove assunzioni.

Lo statuto contrattuale dei ferrovieri è stato oggetto di una lunga e estenuante polemica mediatica nel corso delle ultime settimane. In cima alla lista dei detrattori, BFM TV intenzionata a smascherare a tutti i costi i privilegi di lunga data della “casta” dei lavoratori delle ferrovie, lavoratori viziati da una convenzione collettiva troppo favorevole. Révolution Permanente, quotidiano online legato al Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), ha voluto restituire qualche verità fattuale sulle condizioni di lavoro dei ferrovieri, buste paga alla mano.

La partita sulle sorti dello statuto conferma in ogni caso la determinazione del governo ad abbattere in maniera esemplare le tutele di cui beneficiano i dipendenti delle ferrovie, e l’altrettanto determinato impegno da parte degli cheminots a difendere un regime di diritti del lavoro, che nell’era della Loi Travail passa per essere un lusso.

Solo Sud–Rail, tra le varie sigle sindacali, ha fatto esplicitamente appello allo sciopero nazionale per questa giornata del 22, in tutti gli altri casi, inclusa la CGT, gli scioperi sono stati decisi localmente per permettere ai ferrovieri di raggiungere la mobilitazione parigina. Il tasso di adesione del 35%, in proporzione, è quindi piuttosto elevato.

A Gare du Nord, in fondo al binario 36, gli cheminots di tutta la zona nord di Parigi partecipano all’assemblea generale delle 11. Sono più di 400, una cifra notevole, che Monique sindacalista di Sud–Rail, considera assolutamente eccezionale. “Quando siamo un’ottantina ci riteniamo soddisfatti, quando superiamo il centinaio è un successo, ma oggi è un numero che eccede ogni aspettativa”. Segno che la rabbia cresce tra le fila dei ferrovieri, tutti giovanissimi, uomini prevalentemente, ma non solo, tra cui un buon numero di francesi di seconda generazione. Anasse Kazib, di origine marocchina, figlio di ferroviere e delegato di Sud-Rail, prende la parola, entusiasta, per celebrare questo primo traguardo degli cheminots che hanno aderito alla giornata di mobilitazione: “Siamo tantissimi e abbiamo paralizzato oltre la metà del traffico in tutto il paese! Ma soprattutto non siamo soli”, dice passando il microfono a Amy, impiegata di Onet, la compagnia che si occupa della pulizia di treni e stazioni per conto della SNCF. Dopo 45 giorni di sciopero, a metà dicembre, un’ottantina di lavoratori e lavoratrici di Onet-Saint Denis, a nord della capitale, hanno conquistato un’enorme vittoria costringendo l’impresa a scendere a patti con le richieste contrattuali dei dipendenti.

Ora sono loro a sostenere la protesta degli cheminots e a incoraggiarli a proseguire, convinti che alla fine solo la lotta paga.

Laura, come Anasse, è agente addetto alla circolazione dei treni nella stazione di Bourget, a nord-est di Parigi. “Noi non siamo d’accordo con le negoziazioni delle direzioni sindacali e vogliamo il ritiro immediato della riforma. Per ottenerlo, se necessario, siamo disposti a fare come nel ‘95”, conclude tra gli appalusi dell’assemblea pronta a mettersi in moto verso la manifestazione.

Ventitré anni fa, nell’inverno del 1995, la minaccia di una riforma delle pensioni dei ferrovieri aveva scatenato uno sciopero di tre settimane, il più lungo dal 1968 nella storia di Francia, che aveva costretto il governo di Alain Juppé a fare marcia indietro. Per i lavoratori francesi in generale, e per gli cheminots in particolare, il ricordo di quello sciopero memorabile è ancora vivo. Ma c’è anche chi sostiene che un movimento di simile ampiezza oggi sarebbe improponibile. Richard, impiegato nella biglietteria della stazione di Rennes, è arrivato la mattina presto a Gare de l’Est, dove è fissato il concentramento di tutti i ferrovieri che a Bastille devono ricongiungersi con il corteo della funzione pubblica. Tesserato alla CGT, spiega pacatamente le ragioni del suo sindacato, che molti in questo momento accusano di troppa cautela e di voler sedare la mobilitazione.
“Nel 1995 avevamo il sostegno dell’opinione pubblica, e non c’era stata una crisi economica di mezzo, come quella che ci trasciniamo dal 2008”, prosegue Richard. “La CGT vuole tentare una strategia di protesta sostenibile per i lavoratori –che non possono permettersi allo stato attuali uno sciopero illimitato, perché non hanno i soldi – e sostenibile per i consumatori, in modo tale che tornino ad essere di nuovo dalla nostra parte”, conclude. La strategia è quella annunciata dall’intersindacale e prevede 48 ore di sciopero a settimana a partire dal 3 aprile, fino a data da destinarsi in funzione dell’evoluzione delle trattative. Per molti è una strategia suicida, e soprattutto incapace di mettere in difficoltà i vertici delle ferrovie. “Dargli il calendario in anticipo è come dirgli ‘organizzatevi per bene, mi raccomando’ e concedere alla SNCF la possibilità di assumere personale alla giornata per far fronte alle carenze provocate dagli scioperanti.

Oltre al fatto che un black out di 48 ore permette di limitare il danno e redistribuire il carico di lavoro sugli altri giorni”, spiega Anasse. “Insomma è fare finta di voler dare battaglia”. Per questo, alcuni sindicalisti di Sud-Rail insistono sull’opzione dello sciopero a oltranza a partire dal 3 aprile, mozione votata all’unanimità in assemblea a Gare du Nord la mattina. Non c’è solo il rischio che sia una mossa impopolare, come sostiene Richard. Secondo Monique, in realtà, questo sarebbe “l’unico modo per tentare di far decollare per davvero la protesta, e dare un segnale anche alle sigle sindacali che in questa fase sono più tiepide”.

La data del 3 aprile sarà dunque decisiva. Intanto questo 22 marzo, a distanza di cinquant’anni esatti dal fatidico debutto del Maggio francese – che in realtà cominciò proprio agli albori della primavera 1968 con l’occupazione studentensca di una sala del consiglio dei docenti all’università Nanterre in risposta all’arresto di alcuni manifestanti durante una protesta contro la Guerra del Vietnam e con la nascita del “Mouvement du 22 mars” – lascia ben sperare: che l’anniversario porti con sé non solo lo spirito della commemorazione ma anche il gusto dell’emulazione.

 

Jane Mitchell

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.