Quando, nel 1996, Nicolas Cage vinse l’Oscar per “miglior attore protagonista”, in molti contestarono la scelta dell’Academy, che aveva preferito Cage a Massimo Troisi, forte della sua storica interpretazione ne Il postino. La giuria degli Oscar si è sempre mostrata restia a far dono della suddetta statuetta a personaggi non americani, tuttavia, come ben sappiamo, ci sono state eccezioni, quindi perchè lasciare l’immenso Troisi a mani vuote? Nessuno potrà mai dircelo. Analizziamo la vicenda per gradi.

Il postino, tratto dal libro “Il postino di Neruda” di Antonio Skàrmeta, narra dell’incontro tra un quasi analfabeta postino di nome Mario (Troisi) e il poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret).
Ambientato sull’isola di Salina, nelle Eolie, il personaggio di Mario ci vien da subito presentato come un
outsider. In uno sprazzo di terra composto da soli pescatori, Mario decide di interrompere questa secolare tradizione, iniziando l’attività di postino. Un giorno, sull’isoletta arriva il poeta Pablo Neruda, esiliato dalla proprio terra  (il Cile) a causa della sue idee politiche. Mario diventa il postino ufficiale del noto poeta. L’amicizia tra i due si consoliderà quando Mario, affascinato dal ruolo del Poeta (“Come si diventa poeti?”) si innamorerà di Beatrice (Maria Grazia Cucinotta). Da questo quotidiniano incontro, nascerà una forte amicizia, un solidalizio destinato a durare in eterno.
Descritto così, il film parrebbe una piccola favola neorealista: povertà estrema, una storia d’amore, la lotta per la sopravvivenza e la salvezza nel nobile sentimento dell’amicizia.

 

La poesia dell’ideale

Fin dal suo arrivo sull’isola, la causa dell’esilio di Neruda è ben nota a tutti gli abitanti: il poeta è in esilio per la sua adesione all’ideale comunista.  In Italia è tempo di elezioni e il partito favorito, soprattutto su questa isoletta che vive solo di pesca e vino, è la Democrazia Cristiana, che pare essere l’unica scelta di voto possibile. La presenza di Neruda potrebbe destabilizzare questa situazione. Potrebbe, ma non accade. L’unica persona che si lascia piacevolmente travolgere dallo scrittore è Mario. Lo studio della poesia e delle tanto amate (e temute) metafore, si affianca alla scoperta del comunismo.  Inevitabilmente lo studio delle parole, diventa anche lo studio di una coscienza politica. Mario non riesce a trovare una voce quando si approccia al suo datore di lavoro (anche lui “comunista”) come non riesce a trovare un briciolo di fiato per corteggiare Beatrice. La figura di Neruda diventa, di conseguenza, quella del mentore, del maestro che mostra il mondo al proprio alunno. Come il poeta fa dono dei suoi versi al postino, Mario, a sua volta, dona la propria ingenuità ed umanità a Neruda, un uomo che ignora totalmente la differenza di classe tra i due. Neruda non ha questo atteggiamento solo con Mario, ma anche con tutti gli abitanti del paese. Ogni tipo di differenza, che sia sociale o culturale, viene meno. L’esempio più grande è racchiuso nella scena in cui, dopo svariate richieste da parte di Mario, Pablo accetta di seguirlo in osteria per osservare Beatrice e, quindi, per poter trovare insieme le parole giuste da dedicarle per conquistarla.  Quando Neruda sarà libero di tornare in Cile, l’ideale resterà vivo in Mario, il quale diventa un compagno a tutti gli effetti.

 

Il testamento di Massimo Troisi

Morto appena 12 giorni dopo la fine delle riprese, Massimo Troisi rese “Il postino” il suo testamento e il sunto dell’intera sua carriera. Attivo nel mondo del teatro e del cinema fin dagli anni ’70, da subito il suo volto che sembra estirpato dai tempi della Commedia dell’Arte, conquista un vasto pubblico. Come lo stesso Washington post ammise, Troisi, nonostante i successi europei, mirava ad un successo internazionale, ottenuto, sfortunatamente, postumo. Torniamo alla notte degli Oscar del 1996.
Quella notte avrebbe potuto regalare alla memoria di Troisi la consacrazione finale. Un premio che non avrebbe elogiato solo “Il postino”, ma un’intera carriera, un intero studio attoriale che pochi commedianti posseggono. Invece i signori dell’
Academy hanno preferito premiare il protagonista di “Via da Las Vegas”, ignorando candidati ben più degni di tale premio: Sean Penn e Anthony Hopkins. Una scelta non pienamente compresa, soprattutto considerando che, nel 1998, Roberto Benigni riuscirà a stringere non una, ma ben due statuette per il pluripremiato “La vita è bella”.  Tuttavia, a malincuore, una conclusione possiamo facilmente trarla. Quando “La vita è bella” approdò nelle sale, uno dei suoi maggiori contestatori fu il compianto Mario Monicelli, che considerò la pellicola “una mascalzonata” perchè, con una più che giusta analisi storica, Monicelli fece notare al pubblico come Auschwitz fu liberata dalla truppe sovietiche e non dagli americani, come invece accade alla fine del film di Benigni. Alla “buona società” americana piace essere corteggiata coi suoi stessi ideali, o meglio, con l’esaltazione del loro patriottismo, che deve emergere anche da film stranieri. Troisi e Michael Radford (i registi del film) se ne sono altamente infischiati, perchè a loro interessava solamente mostrare la verità artistica e umana di questa “favola”. In definitiva, “Il postino” mostra proprio il potere di unione ed emancipazione che la poesia e l’arte posseggono. Peccato che l’Academy non abbia ben colto questo passaggio.

 

Sabrina Monno

 

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.