La storica organizzazione armata basca ETA, Euskadi ta Askatasuna (“Patria basca e libertà”), ha annunciato pubblicamento lo scorso 2 maggio d’essersi sciolta, dopo 60 esatti di attività, prima sotto il regime di Francisco Franco, poi sotto la monarchia parlamentare riformata tutt’ora vigente. Si chiude così una lunga fase della storia politica basca dopo che il partito di sinistra informalmente collegato all’ETA, Batasuna, era stato ufficialmente sciolto nel 2013.

Pubblichiamo un bilancio critico sull’ETA a firma della CRT, organizzazione marxista rivoluzionaria operante nello Stato spagnolo.


Dopo sessant’anni di attività, è necessario che la sinistra basca e del resto dello Stato tragga le lezioni necessarie per continuare la lotta per il diritto all’autodeterminazione e per il socialismo.

Il prossimo [per lo scrivente originale, ndt] 4 maggio nel sud della Francia sarà inscenata la dissoluzione definitiva dell’ETA. Si porrà ufficialmente fine all’attività di questo gruppo, a 60 anni dalla fondazione avvenuta in piena dittatura franchista.

Nata come espressione della radicalizzazione politica di un settore giovanile della piccola borghesia basca, l’ETA andò guadagnando supporto tra settori popolari e operai, specialmente dopo il tradimento aperto delle principali direzioni politiche e sindacali del movimento operaio durante il regime di transizione [immediatamente successivo alla morte di Francisco Franco, ndt].

Come braccio armato di quello che era noto come Movimento di Liberazione Nazionale Basco (MLNV) dalla fine degli anni ’60 e durante gran parte degli anni ’80 e ’90, l’ETA guadagnò le simpatie di centinaia di migliaia di lavoratori e giovani nell’Euskadi [nome dei Paesi Baschi nella lingua locale, ndt] e nel resto dello Stato. Si presentava agli occhi di migliaia di persone come una forza che resisteva al consenso maggioritario, al disincanto e alla “sinistra” traditrice – il PSOE – che applicava le più dure politiche di austerità e il terrorismo di Stato, o quelli che si erano convertiti, alla cui testa vi era Carrillo [segretario del Partito Comunista spagnolo al tempo, ndt], nei principali difensori del patto col franchismo.

Lo Stato spagnolo sostenne una guerra senza quartiere contro il MLNV sin dal primo momento. La “unità dei democratici contro il terrorismo” fu uno dei principali “dazi” del consenso del ’78. Dietro tale bandiera si riunirono tutti i partiti, inclusa la sinistra parlamentare, i nazionalisti baschi, i catalani e i galiziani, e le direzioni sindacali. Fu la copertura volta a legittimare tutte le leggi d’emergenza messe in campo contro la sinistra abertzale [“patriota” in basco, ndt], i giudizi sommari alla Corte Nazionale, le politiche penitenziarie che violavano i diritti umani più elementari o la stessa guerra sporca dei GAL [Gruppi Antiterroristi di Liberazione Antiterrosta, reparti speciali delle forze dell’ordine spagnole, ndt] e l’impunità con cui è stata insabbiata.

Una guerra che continua, e che colpisce molto aldilà della sinistra abertzale. Oggi sono oltre 250 i carcerati dell’ETA, perlopiù posti in isolamento; si persegue la gioventù basca come nei tempi più bui, come abbiamo visto nel caso di Altsasu, e le leggei antiterrorismo si applicano ora ad altri lottatori, come succede nel caso delle condanne ai rapper o della persecuzione dei CDR [Comitati di Difesa Repubblicana, sorti in Catalogna, ndt].

L’ETA e il MLNV hanno sostenuto una delle bandiere comuni di quasi tutto l’antifranchismo della prima ora: la rottura democratica. Nel loro caso in chiave basca, cioè passando per la conquista del diritto di autodeterminazione, l’indipendenza e l’unificazione di tutte le province basche sotto la Spagna e la Francia.

Terminare la sottomissione alla Corona per costituire una repubblica basca indipendente: questo era, ed è ancora, l’obiettivo della sinistra abertzale. Una sorta di prima tappa democratica della rivoluzione basca, alla quale sarebbe seguita la lotta per una Euskal Herria socialista.

Come parte di questa visione tappista, l’ETA dispiegò una strategia di collaborazione di classe con la borghesia nazionalista basca, ben rappresentata dal suo partito storico, il PNV, e dalla sua scissione EA. Forzare i rappresentanti politici della Confebask [la Confindustria basca, ndt] ad assumere il progetto indipendentista e a porsi alla testa della lotta, diventò per sé stesso un obiettivo irrinunciabile. Soltanto costituendo un blocco sovranista di conciliazione di classe si poteva provocare la rottura con lo Stato spagnolo e con la Costituzione del ’78 che lo confermò come una prigione di popoli.

Come tattica principale, diventata col passare del tempo una strategia, l’ETA unì alla lotta armata il terrorismo individuale. Una forma di lotta che privilegiava i colpi, diretti all’apparato statale e agli interessi economici concreti, sopra l’organizzazione e la mobilitazione sociale, specialmente quelle dalla classe lavoratrice e della gioventù. Se effettivamente il MNLV riuscì a stimolare un vasto movimento sociale tra i giovani, in molte città e anche in alcuni settori della classe lavoratrice, rimaneva sempre subordinato alla via della lotta armata e alla direzione politica di quest’ultima.

Inoltre la lotta armata, che in non poche occasioni colpì in maniera diretta e indiscriminata settori della popolazione, permise al regime e allo Stato di conquistare una base sociale per le sue politiche repressive e, con la collaborazione della sinistra riformista e delle direzioni sincali, approfondire la separazione tra la lotta legittima dei baschi per il diritto all’autodeterminazione dai lavoratori e dei settori popolari del resto dello Stato.

Nonostante il rigetto del PNV e dell’EA rispetto all’attività dell’ETA, la strategia della lotta armata era meno pericolosa per i loro interessi di classe rispetto all’organizzazione indipendente, e alla mobilitazione con metodi e rivendicazioni propri, della classe operaia basca. Il metodo di lotta utilizzato fu sempre coerente con l’obiettivo da raggiungere: convincere o forzare la borghesia nazionalista basca ad assumere la bandiera della lotta per l’indipendenza, e in questo modo ottenere un migliore rapporto di forze per aprire negoziati con lo Stato.

Questo non è mai successo. La cosa più ardita che [la borghesia basca] era disposta a fare fu nel 2005 il progetto Ibarretxe Plan, una riforma statutaria che riconosceva la Comunità autonoma basca come uno Stato libero associato, che fu liquidato non appena depositato nelle Cortes spagnole [parlamento]. I loro business erano ben protetti, e lo sono tuttora, nello Statuto delle Autonomie.

La rottura democratica degli anni ’70 fu sperimentata successivamente in Euskadi, senza dare alcun risultato diverso. Una rottura con lo Stato spagnolo e la conquista di un diritto come l’autodeterminazione non potrebbero, e non possono, essere raggiunti senza una lotta per rovesciare il Regime di 78. Questo è in grado di resistere agli attacchi e agli assassinii, che riesce anche a usare a proprio favore per la legittimazione e l’indurimento della repressione politica. L’unico modo per raggiungere questo obiettivo, negli anni ’70 e oggi, è attraverso una mobilitazione sociale con la classe lavoratrice in prima linea.

Questa prospettiva è stata abbandonata dall’opposizione antifranchista, a partire dal PCE. Organizzare lo sciopero politico generale avrebbe potuto aprire una situazione rivoluzionaria, mettendo paura i settori della borghesia democratica – o divenuta democratica – con cui cercava un accordo per passare a un regime democratico senza troppi shock.

L’ETA, con metodi più radicali e rifiutando di aderire al patto del ’78, scelse un percorso che, senza sviluppare una strategia di classe basata sulla mobilitazione indipendente delle masse, sperava di ottenere con la pressione della sua attività il sostegno della borghesia basca per costringere lo Stato spagnolo a sedersi per negoziare.

Le diverse tregue proclamate durante la sua storia furono tentativi di aprire quei negoziati. Alcuni potevano anche essere motivati da ragioni operative immediate, ma si sono sempre cercate vie di dialogo che potessero essere aperte in modo che, in un tavolo negoziale, lo Stato spagnolo sarebbe in grado di riconoscere i diritti democratici del popolo basco.

Il momento di massima speranza, o meglio d’illusione, fu con la tregua del 1998 che precedette di pochi giorni il patto di Lizarra tra la sinistra patriotia, il PNV, l’EA e persino l’UI. La risposta del regime del ’78 era chiara: l’integrità territoriale dello Stato spagnolo non è negoziabile e, inoltre, non erano neppure in discussione condizioni di resa onorevoli.

Tuttavia, la strategia della lotta armata ha portato l’ETA e il MLNV a un vero vicolo cieco. Ha permesso allo Stato di conquistare un grande sostegno sociale reazionario alle misure di emergenza che sono state generalizzate a tutti i settori del MLNV – con dichiarazioni d’illegalità, chiusure di giornali, arresti… . Il regime del ’78 ha lanciato un’offensiva politica, giudiziaria e politica senza precedenti contro l’ETA e il MLNV dal 1997, quando è emerso il cosiddetto “spirito di Ermua” [movimento sociale sorto all’indomani del sequestro del giovane consigliere del Partito Popolare Miguel Ángel Blanco, ndt]. Ciò la indebolì fino alla sua disarticolazione de facto.

A partire da questa impotenza, l’ETA ha ridotto le sue aspettative per ottenere misure a favore dei prigionieri e la fine delle misure eccezionali che sono ancora valide nei Paesi Baschi e nella Navarra. Il modello rivendicato era e rimane quello degli accordi del Venerdì santo dell’Irlanda del Nord: patti che accantonarono ogni progresso verso l’unità dell’Irlanda in cambio di misure di grazia per i prigionieri dell’IRA.

Tenendo conto delle enormi differenze con il processo catalano, abbiamo visto anche in esso un buon rappresentante di questa strategia di unità nazionale. La sinistra indipendentista catalana, con la CUP in testa, ha sviluppato una politica di “mano tesa”, verso i rappresentanti politici della borghesia catalana e della piccola borghesia, che li ha portati ad essere la coda del processo. Il rifiuto della leadership gradualista, d’altra parte scontato, a promuovere la mobilitazione sociale necessaria per vincere il diritto di decidere, ha portato la lotta per la repubblica catalana in un vicolo cieco.

Il fallimento, ancora una volta, di queste road maps di rottura democratica, è venduto dal regime come la conferma dell’impossibilità di conquistare diritti come l’autodeterminazione. Tutto è “legato e ben legato” [come disse Franco in un discorso nel 1969, ndt] e, se non fosse così, ci sono giudici e forze di polizia a ricordarcelo.

La leadership gradualista, con ERC e PDECAT alla testa, ora vuole convincere il movimento catalano che non ci sono alternative se non tornare all’autonomismo. La direzione politica della sinistra nazionalista ha infatti proposto che, di fronte al fallimento della sua road map, non ci sia altra alternativa che rifugiarsi nel municipalismo e nell’adattamento alla politica istituzionale e alla mobilitazione ai margini del regime.

Una falsa alternativa venduta come “realista” che si mostra impotente anche per quanto riguarda la possibilità di sconfiggere l’offensiva repressiva in corso, che nel caso basco è la continuazione di decine di persecuzione politca contro il MLNV.

Contro questo fatalismo è necessario che, tanto in Euskadi come in Catalogna, così come nel resto dello Stato, si apra il dibattito su come costruire una sinistra che si proponga, partendo dalle lezioni dell’uno e dell’altro processo, di lottare per i diritti democratici esercitando la lotta di classe con una strategia operaia indipendente. La CRT è impegnata in questa politica.

In primo luogo, per stimolare un grande movimento per la libertà di tutti i carcerati politici, la fine delle leggi antiterrorismo, la dissoluzione della Audiencia Nacional [corte d’appello che regolarmente si occupa dei processi ai militanti politici baschi, ndt] e il ritiro delle accuse verso tutti i lottatori politici.

A sua volta, per sviluppare una strategia di classe, basata sulla mobilitazione sociale e sull’alleanza nella lotta di tutti i settori popolari dello Stato per farla finita con il Regime del ’78, e per imporre procesi costituenti in tutte le nazioni che oggi lo compongono, e nelle quali si possa esercitare il diritto all’autodeterminazione e aprire il cammino a governi dei lavoratori e delle lavoratrici.

La lotta per una repubblica vasca e una catalana, indipendenti, è possibile soltanto con la classe lavoratrice alla testa, perciò è possibile soltanto se si unisce a un programma generale che risponda alle grandi questioni sociali e che combatta per repubbliche operaie e socialiste liberamente federate in tutto lo Stato [spagnolo].

CRT – Corriente Revolucionaria de Trabajadores y Trabajadoras

 

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.