Abbiamo intervistato uno degli organizzatori dell’occupazione del liceo Tasso di Roma, partita la sera dello scorso martedì dopo altre cinque occupazioni di scuole di Roma in poche settimane – un fermento cittadino più unico che raro nel panorama del movimento studentesco italiano, specie contando che molte di queste scuole romane in rivolta si trovano nei quartieri centrali “bene”.

Le idee che emergono dalla discussione del collettivo politico del Tasso sono molto utili per verificare la diffusione di sentimenti di contestazione politica, anche generalizzata e cosciente, che stanno riprendendo a diffondersi fra gli studenti delle scuole superiori: in particolare, il processo di politicizzazione del collettivo di scuola, con una critica dei metodi “abitudinari” della politica studentesca degli ultimi tempi, riporta all’ordine del giorno temi propri della migliore tradizione di lotta del movimento studentesco, appresa in gran parte da quello operaio, specie per quanto riguarda la democrazia assembleare.

Qui è possibile leggere il comunicato d’occupazione del Tasso.

Dentro il liceo Tasso occupato
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Il vostro liceo è occupato da due giorni, il sesto nel giro di poche settimane nella capitale. È un collettivo che ha organizzato l’occupazione? Che grado di partecipazione c’è?

Quest’anno è rinato il collettivo politico Tasso, un organo extraistituzionale aperto a tutti gli studenti della scuola nelle sue assemblee dove si parla della politica interna alla scuola così come di quella esterna alla scuola, dunque oggi Salvini, Di Maio & company, i decreti sulla scuola. Abbiamo deciso di occupare in seguito a una votazione in assemblea del collettivo dove chi ha proposto l’occupazione ha ottenuto la maggioranza per circa 40 voti. Circa trecento alunni del Tasso stanno partecipando all’occupazione.

 

Che organizzazione e che obiettivi vi siete dati?

Le giornate di questa occupazione sono organizzate così: lezioni programmatiche la mattina, proprio lezioni, approfondimenti su argomenti che si fanno a scuola, anche il latino e il greco, ovviamente con una didattica “alternativa”. Il pomeriggio ci sono assemblee di natura politico-culturali per le quali usiamo la palestra come una sorta di aula magna; nel corridoio subito dopo l’entrata abbiamo esposto la programmazione delle attività nei vari orari. Il secondo e il terzo piano li abbiamo “barricati” così che non fossero accessibili: gestire un solo piano è molto più facile che gestirne tre, specie poiché nei piani superiore c’è il museo di scienze e diverse apparecchiature preziose che si possono facilmente rompere, eccetera.

Per noi è molto importante avere dichiarato che questa è un’occupazione politica, cioè si differenzia, anche da quelle più recenti a Roma, con le quali abbiamo costruito una piattaforma politica comune, per un’organizzazione, una volontà di fare noi didattica, un fermento politico sostanziale. Noi non intendevamo occupare la nostra scuole per non fare nulla. Per questo, ad esempio, durante la giornata non è concesso fumare alcunché dentro la scuola. A mezzanotte tassativamente facciamo uscire gli esterni; gli esterni che entrano lo devono fare per seguire i corsi o partecipare alle assemblee, non per bighellonare.

 

Il regolamento interno e il programma di assemblee dell’occupazione.

 

Oltre ai problemi organizzativi, sicuramente ci sarà una tensione con chi non aderisce…

Il problema del fatto di fare occupazione è che abbiamo riscontrato da subito un’opposizione forte, a partire anche dalla minoranza dell’assemblea che ha perso il voto – quando perdi è normale che un po’ ti rode… Però una parte dei professori dialoga volentieri con noi e ha accettato di entrare durante l’occupazione rispettandola.

La nostra principale preoccupazione ora è lo sgombero: questo governo ha ordinato di sgomberare tutte le occupazioni e così i presidi possono nascondersi dietro questo obbligo senza paura di ritorsioni. Oggettivamente il nostro preside è rimasto “aperto” verso di noi, e dunque la sua immediata richiesta alla questura di sgombero è contraddittoria. Il problema politico che rimane, questo lo abbiamo chiarito sin dall’inizio della nostra attività come collettivo, è nell’indifferenza delle persone, cioè nel fatto che ci sia una cosciente opposizione; una part dell’opposizione che è cosciente, ha motivazioni politiche per cui si oppone; storicamente purtroppo a questa opposizione reale si accumula tutta una massa di indifferenti a cui sostanzialmente occupare o non occupare cambia che perdono 7 giorni e magari il viaggio d’istruzione: per queste cose che li toccano da vicino, non per altro, non appoggeranno mai l’occupazione. Il problema quindi è questa indifferenza politica, perché dal momento che uno è cosciente dal punto di vista politico, sa che l’occupazione – fatta come la facciamo noi: basata sulla cultura, sulla formazione, sullo stimolare un processo di fermento politico – produce un parteggiamento politico in contrapposizione a questa indifferenza; sconfiggendo l’indifferenza, questi “oppositori” sarebbero molti di meno perché non si accoderebbe a loro tutta la parte di indifferenti.

 

Non la possono più polarizzare se già l’hai polarizzata tu.

Esatto, esatto. Vengono giorno dopo giorno, ma ne abbiamo contati massimo una settantina qua fuori, mentre 180-200 entrano lo stesso. Non è che chi si oppone con convinzione all’occupazione non abbia sue idee, una sua coscienza, ma per me la loro non è coscienza politica, anche se la maggioranza pensa che sia così. Sicuramente hanno dei loro motivi. Il problema però è che a questi viene accomunata la parte degli indifferenti.

 

Che prospettive ci sono per i prossimi giorni?

La nostra condizione ora è questa: il preside, subito dopo l’ultimo consiglio di istituto, pare che sia andato a richiedere lo sgombero al commissariato, quindi noi abbiamo per ora questa attività di occupazione da nemmeno tre giorni che ha avuto un grande riscontro mediatico. Pensiamo che l’occupazione del Tasso possa costituire un riscatto, anche per far vedere l’occupazione non necessariamente deve essere quella in cui vai a distruggere, a spaccare la scuola e basta. Gli studenti stanno dimostrando che fanno l’occupazione e che questo si lega al loro amore per la cultura e la didattica, solo che è un attaccamento verso un’idea di didattica che formi veramente delle persone coscienti dell’ambiente sociale, economico e politico che hanno intorno: questo è per noi l’occupazione e ci pare di averlo portato avanti in questi tre giorni al meglio; vorremmo portarlo avanti almeno per altri tre-quattro giorni così da svolgere una serie di attività che ci sarebbe piaciuto fare e che abbiamo programmato.

 

Lo sgombero è imminente?

Non sappiamo quanto possa essere “imminente”: la notizia della richiesta di sgombero potrebbe anche essere una voce minacciosa fatta girare, e non un fatto reale [ufficialmente il preside ha di fatto dato questa versione e convocato, contemporaneamente a quando è stata registrata questa intervista, il collegio docenti e il consiglio d’istituto del Tasso, ndr]. Ad ogni modo, sicuramente organizzeremo e parteciperemo a sit-in e manifestazioni anche nel prossimo periodo per portare il nostro punto di vista. In questo senso, pensiamo che, come le occupazioni, le manifestazioni vadano ripensate: noi studenti dobbiamo riscattarci dalla nostra monotonia, perché questa indifferenza è anche monotonia della protesta, dei sistemi di azione della politica che si dividono in tre parti: informazione politica, acquisizione di una coscienza politica e azione politica. Alle prime due parti noi cerchiamo di ovviare con le assemblee del collettivo e anche con l’occupazione. La terza parte va rivista totalmente da come è ora: l’occupazione e la manifestazione non possono essere come di solito sono intese ora. L’occupazione porta insieme informazione e azione; la manifestazione è puramente azione: noi vorremmo inserire l’informazione anche nella manifestazione, che è un luogo d’aggregazione “di massa”, così che quelli che raccolgono l’invito a venire alla tua manifestazione non vedono un corteo di studenti che vanno dietro un camioncino con la musica sparata a palla, a far caciara, indifferentemente l’uno dall’altro, senza un’idea di unità, senza idea di cosa stanno andando a fare in 5.000, in 10.000 come insieme: si va ai cortei come singoli, al massimo come collettivi del doposcuola. Anche la manifestazione va rivista, va ripensata: noi siamo solo un collettivo e possiamo proporre passo-passo questi concetti alle piattaforme, a quella dove siamo inseriti ora.

 

Quanti studenti partecipano in genere alle assemblee del vostro collettivo di scuola? Hai detto che l’occupazione vede 300 partecipanti attivi…

Abbiamo iniziato da 100 persone, ma col tempo le riunioni più riuscite hanno visto fra le 300 e le 400 persone, infatti ci siamo spostati a farle a Villa Borghese, prima le facevamo nella via qui davanti, poi siamo fortunatamente diventati troppi.

 

Rispetto alle assemblee, noi insistiamo molto sulla necessità dell’uso di procedure democratiche assembleari come avete usato voi in assemblea culminando nel voto per l’occupazione, così come sul superamento di atteggiamenti a volte confuse, a volte proprio ipocriti, di occultamento delle diverse tendenze politiche che, come è naturale e legittimo, popolano un’assemblea larga come la vostra. Si sono manifestate queste tendenze, anche in forma organizzata, nel vostro collettivo, o magari anche tra gli oppositori dell’occupazione?

Noi siamo entrati come collettivo in occupazione a seguito dell’adozione di una piattaforma di protesta che rimane comunque con un riferimento alla Rete degli Studenti Medi (RedS). Ci siamo anche distinti dal resto del nostro Municipio, il I, per questa piattaforma che si chiama Smash, a cui aderiscono anche altre scuole come il Virgilio e il Mamiani. Quando si è andati a occupare c’è stata una distinzione: alcuni di noi hanno creduto che un processo di informazione politica del genere potesse avvenire solamente al di fuori delle istituzioni: portando solidarietà a Mimmo Lucano e al Baobab sgomberato, abbiamo scritto che la giustizia e la cosa giusta da fare non risiedono sempre nella legalità. L’opposizione all’occupazione è stata portata avanti in sostanza da ragazzi che avevano animato una delle liste che si sono presentate alle elezioni d’istituto: hanno affermato che l’occupazione sia anacronistica, fine a se stessa, che non faccia altro che distruggere i rapporti con la presidenza e con i professori e ledere gli studenti più deboli dal punto di vista didattico. Noi abbiamo riposto a queste critiche cercando soluzioni concretamente nella pianificazione dell’attività in occupazione. L’occupazione è anacronistica? La nostra ha la sua forza nella disciplina con cui viene portata avanti, distinguendosi da molte altre “di svago”. Se è il nome a essere anacronistico, beh, il nome ha sicuramente una sua storia, ma non è il nome che conta. Per quanto riguarda il “danno didattico”, in realtà è l’autogestione “regolare” a mantenere una falsa pace sociale, ad aumentare l’indifferenza politica e a non offrire contenuti seri: ci siamo ritrovati in cortile a parlare di temi futili che non interessavano né arricchivano la gran massa degli studenti. Ci è stato proposto di fare un’autogestione totalmente “politica” ma abbiamo rifiutato perché non avrebbe costituito una forma di protesta, e noi volevamo protestare, e non sottostare ai limiti burocratici propri delle istituzioni. Dunque l’amatissimo campo scuola e l’autogestione “fanno danno” rispetto alla didattica, mentre noi abbiamo fatto sì che i compagni che eccellono nelle varie materie facciano “sportello” agli altri.

Si rompe il dialogo? In realtà il preside ha garantito di voler mantenere il dialogo anche dopo l’occupazione, anche se ha minacciato provvedimenti per i “promotori” dell’occupazione: noi a fine occupazione vorremmo fare un’assemblea straordinaria con studenti, genitori e presidenza di modo da trovare anche un accordo condiviso e continuare un processo, dato che per noi questa occupazione è un inizio e non una fine.

 

Sarebbe molto positivo se tutti gli studenti che partecipano all’occupazione, così come gli insegnanti favorevoli, dicessero che no, la discriminazione tra pochi che si prendono le sanzioni e tutti gli altri no, non la vogliamo: ce le prendiamo tutti o nessuno. Chiaro che metterla in pratica non è facile, ma si parte da una posizione di forza che permette di non spaccare il fronte, magari, tra 50 determinati e altri che finiscono col lasciare i primi nelle mani della repressione.

Sì, sarebbe bellissimo!

 

Il compagno che ci ha accolti al portone ha detto una cosa interessante: ieri aveva risposto a qualcosa come 50 telefonate arrivate al Tasso, 49 delle quali erano i genitori che a fine telefonata dicevano “dai ragazzi, andate avanti che fate bene!”. È molto interessante, specie se consideriamo che Roma oggi è una città particolare: chiaramente essere la capitale la contraddistingue sempre, ma oggi è la sede di un governo comunale e nazionale con lo stesso partito, il Movimento 5 Stelle. Questa facilità con cui anche i genitori appoggiano la vostra lotta ci fa pensare che sia un frutto della disillusione, sempre più larga anche a Roma, che è andata aumentando anche fra gli elettori del M5S, che sono stati tanti a Roma. Anche tu hai questa impressione?

Noi abbiamo trovato abbastanza consensi, e stavolta i giornalisti venuti qui non si sono mostrati mal disposti come di solito fanno nel caso delle occupazioni – anche noi abbiamo un atteggiamento sicuramente diverso dal solito, meno “da voci di corridoio”: abbiamo convocato una sorta di conferenza stampa con vari giornalisti spiegando organizzazione e obiettivi – essendo, lo dico perché è così, una scuola di borghesotti [il Tasso è considerato dalla Fondazione Agnelli come la migliore scuola romana per la preparazione all’università], ci è stato sicuramente più facile del normale chiamarli, avendo più contatti. Gli articoli usciti quindi ricostruiscono obiettivamente l’occupazione e di questo siamo molto soddisfatti; addirittura alcuni giornalisti ci hanno fatto l’in bocca al lupo. Diversi professori in realtà si trovano nella situazione di essere solidali a noi, ma di non volersi esporre per via dei ruoli all’interno dell’istituzione scolastica, del collegio docenti. Nessuna persona che ha un potere istituzionale anche piccolo è portata a sacrificarlo per sposare una causa, un’ideale.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.