L’arresto di Cesare Battisti a Santa Cruz in Bolivia da parte degli agenti dei servizi segreti italiani e dell’Interpol è a tutti gli effetti un atto di rappresaglia politica. Un colpo di coda dello Stato che non lesina gli sforzi per punire i “non pentiti” provenienti dalla lotta armare, anche se – ci torneremo – il vero obiettivo è quello di demonizzare la più complessiva stagione di lotta di classe degli anni 70, mentre nella prospettiva del governo si tratta di uno specchietto per le allodole utile per far dimenticare una finanziaria che, come le passate, attaccherà i giovani, i lavoratori e i settori popolari.

 

La canea bipartisan sulla stampa

Quest’articolo non approfondirà l’esperienza dei PAC (Proletari armati per il comunismo, gruppo di appartenenza di Battisti). Tuttavia, cominciamo sottolineando come la presunzione di innocenza dell’ex latitante si basi su fatti reali; parliamo di un’istruttoria aperta tramite confessioni strappate con la tortura, di testimonianze raccolte da persone incapaci di intendere e di volere (minorenni e soggetti con evidenti disturbi mentali), o in seguito a torture (1).
Tutto ciò, in uno scenario di “leggi speciali” nel quale la sevizia contro i militanti rivoluzionari era una prassi consolidata, con il duplice obiettivo di ottenere informazioni preziose e, allo stesso tempo, annientare l’identità politica e individuale del militante; come racconta il giurista Patrizio Gonnella nel suo libro La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica (2) “Ciò che qualifica la tortura non è la crudeltà oggettiva del torturatore, ma lo scopo della violenza”.

Questi sono aspetti fondamentali nella vicenda e non tenerne conto equivale a supportare l’ondata di menzogne propagandate dal governo, da personaggi di destra etc.
Ma anche dalla stampa borghese, “democratica” e “di sinistra”. Vediamo ad esempio cosa scrive il “progressista” Andrea Scanzi de Il Fatto Quotidiano sulla sua pagina Facebook: “autodefinirsi democratici e difendere (tuttora?) Battisti è come dirsi vegani e poi andare di notte a sgozzare cani per strada. Vergognatevi. Chiedete scusa. E, se vi avanza un po’ di spazio, per una volta andate anche affanculo. Agili e in scioltezza.”, queste poche righe sintetizzano uno sproloquio nel quale l’autore del post non prova nemmeno a sforzarsi di citare il contesto in cui sono avvenuti determinati fatti, da persona ignorante in materia – o in malafede – si limita a sciorinare banalità condite da quel qualunquismo grillino buono per ogni situazione.

Perlomeno il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi ha ricordato che (3) “anche dei terroristi neri che continuano a vivere in paradisi penali. Siamo un Paese che ha permesso agli ex latitanti Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi di non pagare conti alla giustizia: uno ha fondato#ForzaNuova, l’altro è il guru di #CasaPoundItalia.”, nella gran bailamme anticomunista un’uscita di questo genere non è poca cosa, sebbene la posizione dell’autore sia quella degli opposti estremismi, tesi che non tiene conto del fatto che le ipotesi di lotta armata nel campo dell’estrema sinistra furono una reazione agli impulsi golpisti promosso dallo stato in combutta con i fascisti come risposta al 68 studentesco e all’Autunno Caldo operaio del 1969. Sottolineare questo, sia chiaro non significa appoggiare la prassi politica del terrorismo, rispetto alla quale rivendichiamo una sostanziale differenza di metodo senza però scadere nella condanna morale.

Tornando alla fanfara mediatica, il peggio di sè sul caso Battisti lo da L’Espresso (4): “Il 6 giugno 1978 – scrive la rivista di De Benedetti e degli Agnelli – [il terrorista] ammazza personalmente un maresciallo di Udine, Antonio Santoro. Il 16 febbraio 1979 la sua banda uccide un gioielliere di Milano, Pierluigi Torregiani, il cui figlio Alberto resta paralizzato: è la vittima che protesta da anni contro l’impunità del terrorista. Battisti ha organizzato quel delitto, ma non partecipa all’esecuzione perché lo stesso giorno va a fare da copertura, armato, ai complici che sopprimono un negoziante di Mestre, Lino Sabbadin, “giustiziato” come il gioielliere perché si era opposto a precedenti rapine. Il 19 aprile 1979 è Battisti in persona ad uccidere, a Milano, il poliziotto della Digos Andrea Campagna”.

Ancora sulla “colpevolezza” di Battisti… E il “compagno” Evo Morales

Andiamo con ordine. Antonio Santoro è stato ucciso da Pietro Mutti assieme a Diego Giacomini, il piano fu progettato da Andrea Cavallina e dallo stesso Mutti che inizialmente accusò Battisti dell’omicidio salvo poi correggere il tiro in seguito alle esternazioni di Giacomini degradandolo quindi ad autista; sempre Mutti accusa Battisti di essere il mandante nell’agguato in cui muore Pier Luigi Torregiani (il figlio Alberto rimane paralizzato in seguito al colpo accidentale partito dalla pistola del padre) cosa improbabile dal momento che Battisti non fu mai tra i vertici della struttura mentre nel delitto Sabbadin avvenuto a Santa Maria di Sala (VE), in contemporanea con quello Torregiani, l’esecutore reo confesso è Diego Giacomini e non c’è alcuna prova capace di certificare la presenza di Battisti in quel frangente, nuovamente Mutti assegna a Battisti il ruolo di autista.

Dai testi del processo di primo grado in merito all’omicidio dell’agente della Digos Andrea Campagna, emerge che gli assassini erano due: più precisamente un uomo alto 1,90 cm biondo e barbuto ed una donna, al contrario Battisti non va oltre 1,70 cm e non è neppure biondo. Per quell’omicidio confessò Giuseppe Memeo precisando però di non essere stato lui a sparare, anche in quell’occasione Pietro Mutti punta il dito contro Battisti reo (a suo dire) di aver ucciso il poliziotto facendo pure il nome di una complice che venne in seguito prosciolta in quanto estranea ai fatti.
La stessa Corte di Cassazione conferma in una sentenza del 1993 (5) la mancanza di spontaneità nelle confessioni del Mutti.

Si tratta insomma di un quadro molto più offuscato e incerto rispetto a quello de L’Espresso che come tutto il giornalismo nostrano vede in Cesare Battisti una sorta di Deus ex machina della lotta armata, quasi il principale protagonista… A ben guardare, però, gli esecutori materiali degli omicidi di cui sopra hanno goduto di consistenti sconti di pena in ossequio alle loro tardive ammissioni e sono persone libere da ormai vent’anni, libere da qualsiasi “attenzione” mediatica.

Si distinguono dalla “melma mainstream”, Ferrando (PCL) e Ferrero (PRC), i quali nel tentativo di solidarizzare con  l’ex militante dei PAC ne chiedono l’amnistia(6); non si accorgono tuttavia di ammettere in questo modo una colpevolezza assoluta di Battisti, cosa che come abbiamo visto è inesatta… In un certo senso, allora, anche Ferrero e Ferrando cedono al giudizio dispotico della stampa borghese, la quale condanna senza prove.

Altro dato significativo è il luogo in cui è avvenuto l’arresto, nella Bolivia del “compagno” Evo Morales, del fantomatico socialismo del XXI° secolo. Perché dovrebbe sorprenderci? Proprio Morales accoglieva calorosamente attraverso Twitter (7) l’approdo alla presidenza di Bolsonaro, con l’appellativo “Hermano Presidente – Fratello Presidente”, sostenendo il forte legame socio-strategico tra le due nazioni.
Di quest’alleanza sapranno farne tesoro soprattutto le borghesie brasiliane e boliviane: oggi ne ha fatto le spese Battisti domani le organizzazioni operaie ed i movimenti sociali altro che “campesinos al poder”.

In fin dei conti sul piatto della bilancia hanno pesato oltre 20 milioni di metri cubi di gas al giorno da esportare in Brasile, ma tale decisione ha comunque generato delle polemiche nel paese andino; il fratello del vicepresidente Raul Garcia Linera (ex guerrigliero dell’Ejercito Guerrillero Tupac Katari) ha espresso il suo disappunto “Mi vergogno di questa azione del mio governo” e l’ha qualificata come “ingiusta, codarda e reazionaria”. Come lui altre organizzazioni della sinistra radicale hanno stigmatizzato quella scelta, sintomo di una certa insofferenza nei confronti del presidente Morales.

Demonizzare gli Anni 70 per disarmare le lotte di oggi

L’artificio creatosi in queste ore attorno alla cattura di Cesare Battisti rivela uno spiccato cinismo, utilizzare una specie di simbolo per annichilire i comunisti distorcendone la Storia, anche perché a onor del vero i PAC sono esistiti per un paio d’anni e gli aderenti erano all’incirca una trentina. Un simbolo quindi creato dal nulla dato che Battisti lo ripetiamo non era ai vertici di quell’organizzazione come invece ci si ostina a propagandare. Tali precisazioni hanno un significato politico attuale poiché servono a smascherare le mistificazioni bipartisan, politiche e dei mass media riguardo, la memoria degli anni Settanta; l’unilateralità con cui si demonizza un intero periodo storico tralasciando la grande ascesa del movimento operaio e studentesco – usciti sconfitti anche a causa della capitolazione delle direzioni partitiche e sindacali – vanno interpretati come segnali di profonda debolezza del sistema, incapace di trovare la quadra.
Devono per forza evocare il “pericolo rosso” accostandolo al terrorismo al fine di costruire un immaginario collettivo dove anticapitalismo e socialismo corrispondono al male assoluto, dove anche lottare per i diritti elementari è un peccato di lesa maestà.
Riscrivere la Storia a proprio piacimento serve anche a rimuovere il sospetto della responsabilità dello Stato nelle stragi che hanno caratterizzato quegli anni oltre che a offrire la possibilità ai fascisti il più completo sdoganamento, di renderli validi interlocutori da redarguire ogni tanto; ma negli anni Settanta si è andati decisamente oltre sfidando le istituzioni borghesi, non deve ripetersi, quindi si ricorre alla persecuzione e a racconti mendaci per mantenere basso il livello di guardia.

Fa molto meno scalpore che i responsabili delle stragi fasciste siano ancora in libertà, parliamo di centinaia di morti eppure l’atteggiamento di larga parte dei mass media è ben diverso, prevalgono discrezione e pacatezza: siamo vicini ai cinquantanni dalla strage di Piazza Fontana e tutto tace, ha pagato con la vita solo il compagno Pinelli; non un giorno di galera per il mandante della strage di Piazza Loggia, Carlo Maria Maggi, scomparso lo scorso 26 dicembre, silenzio. Intendiamoci, guai a invocare la giustizia borghese – i conti con i fascisti si fanno nelle lotte, nelle piazze e in ultima analisi ce ne sbarazzeremo quando l’avremo fatta finita anche con i padroni e il loro sistema – si tratta però di evidenziare la netta disparità di trattamento o per meglio dire la natura sociale dello Stato capitalista.

E’ stato permesso ad un criminale di guerra come Erich Priebke di finire i propri giorni nell’agiatezza di casa, come un pensionato qualsiasi, ma anche di tenere nascosti per mezzo secolo quasi 700 fascicoli d’inchiesta relativi ai crimini commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. Sono precise scelte politiche dirette verso un’unica direzione e poco serve stupirsi se il Ministro dell’Interno gira col cappotto della Polizia, del resto i condannati per il massacro della Diaz sono tornati al loro posto quindi lo sfoggio della divisa da parte di una massima carica pubblica va interpretato come un chiaro segnale di ostilità: mano pesante con i “rossi”, con gli immigrati, con chiunque si opponga in modo concreto alla stretta repressiva. 

 

Roger Savadogo

(1) https://www.lavocedellelotte.it/it/2017/10/15/intervista-a-cesare-battistimutti-e-stato-torturato-per-questo-ha-accusato-me/
(2) La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica, Ed. Derive Approdi 2013
(3) bit.ly/2M99gj3
(4) http://espresso.repubblica.it/internazionale/2017/10/05/news/cesare-battisti-quel-terrorista-e-assassino-sempre-protetto-dai-potenti-1.311478?fbclid=IwAR1rKfJW5NJa6XB5qlV1OhhBjUMv5btEEgTwA9ohgRsfx19TCCV6EcE3IWM&refresh_ce
(5) http://www.deriveapprodi.org/wp-content/uploads/wordpress/DA-Int-Caso-Battisti.pdf (pag. 31)
(6) https://www.huffingtonpost.it/2019/01/13/i-comunisti-ferrando-ferrero-e-caruso-non-ci-stanno-arresto-di-battisti-e-propaganda-di-governo-no-alla-vendetta_a_23641299/
(7) https://twitter.com/evoespueblo/status/1080079210247610369

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.