Abbiamo intervistato Enrico Gullo, attivista di Stati Genderali Lgbtqia+ & Disability, in vista della manifestazione che si terrà domani 22 ottobre a Bologna, convocata dal collettivo GKN, Fridays for Future e altri settori contro la costruzione del nuovo passante autostradale.

Michele Sisto, attivista lgbt+ e redattore della Voce, si confronta con Enrico sul nuovo percorso di Stati Genderali e come stia intervenendo nei percorsi legati al corteo di domani, e nel (ri)collegamento delle questioni di genere e di oppressione patriarcale dentro i luoghi di lavoro e il movimento operaio. Una prospettiva politica interessante e che pone nuove sfide alla comunità lgbtqia+: nuove pratiche, nuove dinamiche ma, soprattutto, nuove convergenze.


Cos’è Stati Genderali e come nasce?

Stati Genderali Lgbtqia+ & Disability è uno spazio di discussione che si è autoconvocato dopo la bocciatura del ddl Zan, a partire dal percorso e dalle manifestazioni di #moltopiùdizan che si erano sviluppati in sostegno critico all’approvazione del ddl. Di fronte a un ddl molto scarno e velocemente svenduto nella contrattazione parlamentare, si chiedeva per l’appunto molto di più: interventi più incisivi di spesa sociale diretti ai centri antiviolenza Lgbtqia+ previsti dal ddl, per esempio, e il rilancio dell’agenda sociale connessa ai diritti Lgbtqia+, compresa quella più “generalista” portata avanti da diversi anni dai gruppi più radicali. Dopo la bocciatura del ddl si è ritenuto opportuno riaprire la discussione e creare quindi, prima di tutto, uno spazio di confronto in cui associazioni nazionali e non, singole persone e collettivi potessero ridefinire l’agenda e la strategia del movimento Lgbtqia+ italiano. Insomma più o meno, in piccolo, con la stessa logica degli Stati Generali che impariamo sui libri di storia a scuola.

Qual è la politica di SG?

Dalla prima assemblea di due giorni svolta a dicembre 2021, Stati Genderali è uscita con un programma articolato nei report dei tavoli di lavoro tematici che hanno animato l’assemblea. L’intenzione era quella di proseguire il lavoro dei tavoli nei mesi successivi, ma non tutti hanno continuato a vedersi regolarmente; per il momento quindi la piattaforma prodotta resta, in molti casi, quella dell’incontro romano. Naturalmente attendiamo i prossimi incontri per definire con tutte le realtà che vorranno partecipare il programma e le strategie relative alle questioni più scottanti, come la legge sull’autodeterminazione di genere e la riforma del diritto di famiglia che includa il conseguimento del matrimonio egualitario. Il Tavolo Lavoro, Welfare e Migrazioni interne ha invece continuato a riunirsi nel corso dei mesi e si è dato una struttura più stabile. Abbiamo potuto così proseguire in relativa autonomia rispetto al percorso più… genderale, proponendo a un’assemblea intersindacale un programma di rivendicazioni minime, medie e massime di diritti Lgbtqia+ sul luogo di lavoro. Tra questi: l’applicazione delle leggi anti-discriminazione esistenti, il riconoscimento automatico dei diritti connessi alle unioni civili, la facilitazione dell’attivazione di carriere alias per le persone trans* e non binarie slegate dall’eventuale percorso di transizione medicalizzata e di rettifica dei documenti anagrafici. Nel medio e lungo termine, il riconoscimento delle discriminazioni sulle persone Lgbtqia+ come questione di sicurezza sul lavoro, l’incardinamento delle leggi anti-discriminazione nei CCNL (e dunque il ritorno alla contrattazione nazionale), il superamento della legge 164 con una legge sull’autodeterminazione di genere e delle unioni civili col matrimonio egualitario. E naturalmente le rivendicazioni più larghe e generali che riguardano la classe lavoratrice, a partire da quella più banale e attualmente sulla bocca di tutt_: il salario minimo. Va detta una cosa: ogni volta che come Tavolo Lavoro facciamo un incontro pubblico su questi temi, ci teniamo a ribadire che le rivendicazioni Lgbtqia+ sul luogo di lavoro riguardano l’interezza della classe. Lo diciamo non solo perché ci sono molte più persone Lgbtqia+ di quante ne immaginiamo, ma anche perché ogni ricatto che subisce una persona che lavora è un ricatto che subisce tutta la classe, che si traduce per esempio in dumping e compressione verso il basso dei salari. Per questo motivo bisogna lottare anche per i diritti di cittadinanza, per esempio.

Abbiamo visto come SG abbia avuto dei momenti di dibattito con i lavoratori di GKN ed il movimento “Insorgiamo!”. Secondo te nei movimenti vari che sostengono la convergenza c’è abbastanza consapevolezza del fatto che non basta convergere in alcune date di piazza ma bisogna avere come intervento costante quello tra i lavoratori e come lavoratori?

Il rischio di parlare esclusivamente a delle realtà militanti, già politicizzate e strutturate, è naturalmente sempre dietro l’angolo. Per quanto mi riguarda – e per quanto riguarda il percorso del Tavolo Lavoro di Stati Genderali – è molto chiaro che in risposta a un governo di estrema destra che si propone di serrare i ranghi del capitale e tenere duro sulla compressione salariale, l’interfaccia diretta con la classe è necessaria: sia per allargare la platea potenziale del conflitto politico, sia perché solo così può essere messo in prospettiva il tentativo di mettere in crisi le burocrazie politiche e sindacali. Non credo esistano scorciatoie.

L’intersezionalità dell’analisi politica di SG è per te una ripresa dell’analisi del FUORI! o rappresenta una nuova fase politica del movimento lgbtqi+?

Non credo che il FUORI! avesse propriamente un’analisi, certamente non un’uniformità di vedute. Basti pensare che nel FUORI! Convivevano Mario Mieli e Angelo Pezzana, senza dubbio anime molto diverse di un movimento che in Italia muoveva i suoi primi passi dentro quelle che Massimo Prearo ha definito “politiche dell’orgoglio”. C’è molta confusione nella comunità Lgbtqia+ italiana rispetto alla storia del movimento: si dà per scontato che il FUORI!, per il solo nome (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) fosse un’organizzazione rivoluzionaria. Non lo era, non del tutto, non in modo monolitico, forse nelle intenzioni di una parte dell’organizzazione. E poche persone ricordano che Arcigay non nasce affatto dalla parte del FUORI! legata ai Radicali (a meno che non vogliamo considerare tale il percorso, tutto sommato molto eccentrico, della fondazione precoce di Arcigay Palermo), ma proprio a partire da quei collettivi omosessuali autonomi che oggi vengono percepiti in alternativa o in contrapposizione ad Arcigay (considerata l’unica organizzazione nazionale Lgbtqia+ responsabile delle macerie dell’esistente). Si tende a sovrapporre alle vicende degli anni Settanta una storia di “antagonismo gay” che nella forma del contraltare ad Arcigay si sviluppa, in Italia, solo dagli anni Novanta in poi. Sull’intersezionalità credo ci sia poco da dire: è un concetto teorico che è stato utile in uno specifico contesto e per specifiche pratiche negli Stati Uniti, e che naturalmente fornisce ampio materiale di riflessione – soprattutto perché sintetizza ottimamente il fatto che la classe lavoratrice non è tutta bianca, non è tutta cisgenere, non è tutta eterosessuale, può essere disabile. Per questo motivo, qui in Italia si sta recependo come chiave universale di risoluzione dei conflitti interni ai movimenti. Non sono sicuro che sia la strada giusta, è molto probabile che abbiamo bisogno di un’altra cassetta degli attrezzi teorica per affrontare il tema e produrre una nuova analisi di classe che tenga conto di queste variabili (che ci sono sempre state: le persone Lgbtqia+ non sono nate l’altroieri, e certo non si può dire che la popolazione afroamericana è stata inventata dal nulla negli anni Sessanta).

Come valuti il fatto che molt* attivist* del movimento siano stati candidati nelle scorse elezioni con il Partito Democratico o in liste ad esso collegate?

E come vuoi che li valuti: le dirigenze delle associazioni fanno le dirigenze delle associazioni, come le dirigenze sindacali fanno le dirigenze sindacali. D’altronde abbiamo visto anche sindacaliste e sindacalisti candidati regolarmente nelle liste del centrosinistra, da ultimo anche il più importante sindacalista nero in Italia. Il punto cruciale mi sembra essere non tanto come valutare queste candidature, ma come produrre un’alternativa a sinistra – auspicabilmente rivoluzionaria e di classe. Non si può scaricare sulle organizzazioni riformiste, liberali, blandamente progressiste, o anche direttamente colluse col capitalismo italiano, la responsabilità che noi comunist_ abbiamo avuto nel non fornire alternative politiche credibili da almeno dieci anni. Né elettorali né di mobilitazione.

Con quale posizione scenderà in piazza Stati Genderali in vista del 22/10 a Bologna? La lotta per l’ambiente, quella per il lavoro e quella di genere si mescoleranno?

Non c’è stata un’assemblea nazionale di Stati Genderali che ha sancito l’adesione alla data. La redazione del documento congiunto con il collettivo di fabbrica GKN è stata ratificata da un’assemblea nazionale insieme ad alcune prospettive e proposte che il Tavolo Lavoro ha portato in assemblea, ricevendo l’approvazione e la delega a occuparsene in relativa autonomia. Alla data del 22 ottobre però parteciperanno, naturalmente, molte realtà bolognesi che hanno animato con protagonismo il percorso di Stati Genderali. Cercheremo per quanto possibile di portare il nostro contributo in quella sede, tenendo conto che la data di mobilitazione dovrebbe avere un focus specifico – cioè l’opposizione alla costruzione del passante autostradale, che in nome del profitto (e nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione comunale) porta peggioramenti della qualità della vita di chi abita a Bologna.

Spesso sentiamo parlare di politica intersezionale… Nella vostra accezione, l’intersezione è calata nell’ottica dell’analisi di classe e del conflitto tra classi oppure rappresenta l’evoluzione di una lotta che ha l’ambizione di far riconoscere una triplice discriminazione?

Non posso rispondere per l’interezza di Stati Genderali, che come dicevo all’inizio è uno spazio di discussione nel quale sono invitate a partecipare ed elaborare anche le grandi associazioni nazionali. Per quanto mi riguarda, il nodo della classe come contenitore delle differenze e come soggetto antagonista generato dal ricatto salariale del capitalismo resta il punto fondamentale dal quale deduco il prolungamento della divisione del lavoro attraverso il genere, la razzializzazione e la discriminazione abilista. Credo che tutte queste discriminazioni vadano lette alla luce della loro posizione attuale nel sistema capitalistico, e non in ordine di priorità storica – magari dando più importanza a quella che è venuta prima. Il capitalismo odierno si è costruito anche attraverso la costruzione di un razzismo sistemico, anche perseguitando le persone Lgbtqia+ che non aderivano al binarismo di genere riproduttivo, anche disciplinando le donne a svolgere adeguatamente il loro ruolo riproduttivo anche quando integrate nel lavoro produttivo e/o salariato. C’è una bellissima affermazione di Marx che ci torna utile, nel terzo capitolo dell’introduzione del ‘57 a Per la critica dell’economia politica

Il lavoro si presenta come una categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione di esso in questa universalità -come lavora in generale- è assai antica. Tuttavia, concepito dal punto di vista economico in questa semplicità, «lavoro» è, appunto, una categoria moderna, così come lo sono i rapporti, che generano questa semplice astrazione. […] L’esempio del lavoro mostra in modo convincente come proprio le categorie più astratte, nonostante la loro validità per tutte le epoche -proprio a causa della loro astrazione-, esattamente nella determinatezza di questa astrazione sono altrettanto il prodotto di rapporti storici e che posseggono la loro piena validità solo in e per questi rapporti.

 Questo è il punto che mi interessa e che porto avanti in tutti i miei contesti di militanza.

 

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.

Enrico, nato a Palermo nel 1990, dottore in storia dell'arte, vive a Bologna, lavora come precario nell'editoria. Ha attraversato diverse mobilitazioni, tra cui quelle studentesche, quelle sulla precarietà universitaria e nei beni culturali, e quelle dei movimenti LGBTQIA+. Fa parte di Stati Genderali Lgbtqia+ & Disability.