Il 21 maggio scorso uno spettro si aggirava per Milano: lo spettro del vandalismo.
Tutte le potenze dei benpensanti si sono riunite in una sacra caccia al delinquente contro questo spettro: La Repubblica e Il Corriere, piddini vilipesi e leghisti forcaioli, ATM e poliziotti meneghini.
L’oggetto di tanto astio sono una cinquantina di attivisti riuniti nel collettivo “Autoriduciamo Trasporti Metropolitani” – riportato come “ATMnontipago” da numerose fonti – che sabotano i tornelli delle fermate metro Missori, Repubblica, Zara e Garibaldi, distribuendo anche volantini e biglietti “fake” agitprop in cui denunciano l’intenzione di aumentare il costo del biglietto a 2 euro da parte di ATM ed invitano a partecipare all’assemblea metropolitana organizzata per il 30 maggio.
Incuriositi dal clamore suscitato dai media e dalle intenzioni dietro all’iniziativa stessa li abbiamo raggiunti per un’intervista che andasse oltre alla cronaca dei fatti, per approfondire i presupposti politici che hanno spinto a prendere questa iniziativa.
Chi siete e cosa volete comunicare con questa iniziativa?
Siamo un collettivo di militanti formato da studenti, precari, disoccupati che si oppongono al rincaro del biglietto di ATM in quanto rappresenta un ulteriore ostacolo economico alla libertà di movimento per le categorie a cui viene già fatto pagare il costo sociale della crisi, in contrasto con stipendi sempre in aumento dei dirigenti milionari e al fatturato miliardario dell’azienda.
Abbiamo voluto costruire una campagna a partire da un attacco a questo aumento, che verte su una tematica molto ampia soprattutto per quanto riguarda l’intervento, cioè quella del carovita insostenibile.
Nell’aumento, ma anche nel costo attuale, dei biglietti e degli abbonamenti , sia per quanto riguarda ATM che Trenord, vediamo un sintomo diretto di tutto ciò, dato che coinvolge una larga fetta di pubblico come categoria dei pendolari, dai lavoratori agli studenti.
L’idea era quella di creare un momento dal forte impatto mediatico che portasse ad attivare una serie di persone riunite in gruppi, collettivi, comitati di quartiere o anche singoli cittadini che, sentendosi coinvolti a livello economico da questo aumento, si organizzassero per creare una piattaforma contro il rincaro del biglietto per poter gestire numerosi interventi locali ed allo stesso tempo coordinati.
In questo modo possiamo creare una dinamica sociale democratica con una moltitudine eterogenea, organizzata secondo diverse sensibilità e concezioni,ma unita da un fronte comune.
Il vecchio motto “marciare separati, colpire uniti” vale ancora.
Quale impatto volete avere sulla realtà di tutti i giorni?
Ciò che facciamo è calato in un contesto metropolitano in cui la quantità di ingiustizie che avvengono nella nostra vita quotidiana è incalcolabile, tuttavia quella che potremmo definire lotta di classe sembra essere unidirezionale, ad oggi, dai potenti verso gli ultimi; al contrario chi lavora e chi studia non può fare a meno di accettare le condizioni imposte, spendendo una quantità di denaro spropositata rispetto ai magri guadagni anche solo per usufruire delle utenze indispensabili.
Per questo motivo la nostra azione vuole riattivare il “contrattacco” della maggioranza della popolazione, rispetto all’attuale dimensione di indifferenza o disillusione verso una prospettiva conflittuale.
Cosa vi spinge ad agire e qual è il fine ampio della vostra mobilitazione?
La nostra volontà è quella di riportare sul terreno dello scontro la questione di classe nella realtà milanese, dove regnano la frammentazione e la divisione fra i segmenti della classe lavoratrice ed i giovani e dove l’ideologia dominante impone una visione della realtà “individualizzata”, tramite il mito della città progressista, moderna e a misura d’uomo, in cui l’accessibilità ai servizi per le classi popolari è quotidianamente ridotta e il povero è assunto a categoria di eterno perdente da cui tenersi ben lontani.
L’obbiettivo a lungo termine è la rottura della narrazione che ci vede protagonisti individuali del paradiso a capitalismo avanzato contemporaneo, tramite una mobilitazione giovanile, sociale e politica, con l’espressione del dissenso, l’organizzazione e la convergenza delle lotte radicate nella quotidianità di chi vive e subisce la realtà.
Il disagio esiste e purtroppo viene incanalato dal corpo sociale verso le forme di comunicazione istituzionali o comunque socialmente accettate, dalla petizione al post indignato su facebook; il punto ora è di iniziare a muoversi.
La vostra critica al sistema dei trasporti non riguarda solo la gestione, ma le stesse logiche dietro a questo. Potete spiegarci meglio?
ATM è una società per azioni di proprietà del Comune di Milano che fattura un miliardo di euro l’anno -come dichiarato pomposamente dal Presidente- con più di 40 milioni di utili diretti e 20 milioni di utili indiretti, comprese pubblicità, vendite di dati degli spostamenti degli utenti e advertising vario su ogni canale di comunicazione.
Può permettersi di operare con un regime di monopolio praticamente assoluto, scaricando i costi sui fruitori -definiti clienti nonostante il servizio sia dichiarato pubblico- mentre i dividendi sono considerati come in una qualsiasi azienda e perciò divisi fra azionisti ed investitori vari.
L’azienda, come Trenord, vive grazie ai finanziamenti pubblici, cioè soldi di lavoratori, studenti, precari, disoccupati, ma i profitti sono un’esclusiva dell’amministrazione.
La logica è strettamente capitalistica: gli investimenti sono sostenuti dal pubblico; i guadagni sono del privato.
Questa è una visione a cui ci opponiamo e contro cui combattiamo.
I trasporti pubblici sono un servizio di prima necessità proprio in virtù della realtà che viviamo ogni giorno, da ciò vogliamo costruire una lotta in una prospettiva anticapitalista evitando un atteggiamento di alienazione dal corpo sociale e partendo dalle condizioni materiali di esistenza delle persone.
Milano è quotidianamente rappresentata come la punta di diamante rispetto ad un’Italia retrograda e periferica.Qual è la vostra visione in merito?
La città, a partire dalle dichiarazioni del sindaco Sala, è smart e cool in tendenza con tutti gli eventi roboanti e patinati in cui il Capitale si muove, dal Salone del Mobile alla Fashion Week -dove si parla e fattura molto- peccato che, vivendo un minimo le realtà fuori da City Life, sia impossibile non notare il continuo crescere del carovita rispetto ad affitti, spese vive e servizi essenziali, con un numero sempre maggiore di famiglie, lavoratori, studenti, ecc.. costrette a vivere in una condizione economicamente proibitiva.
La Caritas stima circa 18.000 famiglie che sopravvivono a Milano grazie al suo sostentamento; vediamo quotidianamente il personale ,specializzato (laureati compresi) e non, impiegato in lavori sottopagati o non retribuiti, privi di tutele sociali e riconoscimento giuridico; migliaia di anziani che non vedono la fine del mese, studenti sobbarcati in lavori occasionali “just-in-time”.
Per noi le questioni del potere d’acquisto eroso, del carovita sempre in aumento e del sostentamento sono centrali e di questo fa parte l’aumento per il costo dei trasporti, così come il diritto all’abitare: la casa dovrebbe essere un diritto fondamentale, come esigenza vitale, ed è invece un privilegio; la città investe in costruzioni di lusso nei quartieri finanziari e dei VIPs, dove gli affitti arrivano anche a 5.000 euro al metro quadro.
Milano è una delle città più care in Europa mentre gli stipendi sono totalmente sproporzionati in merito alla produttività ed al tempo di lavoro – che tra l’altro comprende il tempo di trasporto, ancora oggi non retribuito come tale a livello complessivo.
Questo modello di città a due velocità – smart e fresh per i ricchi, poco accessibile e cara per i pezzenti- è una contraddizione su cui inserirsi come militanti, anche con questa campagna, per far avanzare una prospettiva di lotta sulla contraddizione primaria, cioè quella fra capitale e lavoro.
Infine – per collegare tutto quanto è stato detto all’intervento di oggi- facendo alcune ricerche abbiamo rilevato che l’aumento è stato giustificato dall’azienda per sostenere i costi dell’investimento per la metro 4, la quale permette certamente di congiungere parti della città in cui la linea non era presente – come per esempio Forlanini o Giambellino- ma che passa anche dal centro, per esempio, da Piazza Vetra dove una nuova linea non è la prima delle urgenze, essendovi almeno 5 fermate ad una decina di minuti a piedi.
Questo progetto multimiliardario, nonostante le cospicue entrate di ATM già elencate, è passato dal consorzio Gastaldi – poi commissariato- a Salini Impregilo, colosso italiano delle costruzioni e “big player” europeo, già commissionato per i lavori della TAV, attraverso il meccanismo del “project financing”, ovvero uno strumento finanziario che permette di scaricare l’investimento sugli utenti finali, mantenendo tutti i guadagni degli appalti e dell’intera opera nella logica del profitto privato.
Denunciamo quindi il fatto che Sala abbia accettato di utilizzare i milanesi come bancomat per pagare le peripezie finanziare aperte con questa corporation internazionale delle grandi opere, in maniera analoga a quanto fatto con Expo, con il risultato del buco finanziario di decine di milioni di euro e tutto ciò che ne consegue.
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