Pubblichiamo un contributo all’ampio dibattito apertosi sul fenomeno delle sardine, che entra nel problema di mobilitazioni politiche che appaiono, come la banana-opera dell’artista Cattelan, “rinnovabili e sostituibili”.


Nell’incontro nazionale delle sinistre di opposizione a Roma qualche giorno fa, la sindacalista Eliana Como, portavoce dell’opposizione CGIL, ha detto: «ci sono le piazze piene ma non c’è opposizione». Allo stesso tempo esiste un’arte che crea fermento ma nessun contrasto come nel caso della banana di Cattelan. Capita che l’opera poi venga mangiata da un altro artista e il direttore risponda che «L’opera, infatti, è stata pensata come rinnovabile e sostituibile, il suo valore risiede nell’idea». Bastava fare ciò che Santori, portavoce delle Sardine, fa da tempo e cioè parlare delle idee e non fermarsi su nessuna, proprio perché il movimento è pensato come “rinnovabile e sostituibile”, come “difendere” le piazze da chi vorrebbe portare critiche all’attuale modello di vita attraverso la redistribuzione della ricchezza ma poi dice che sarebbe un buon esempio far partecipare Casapound. Insomma, il leader nato da un post su Facebook evita in tutte le maniere possibili di dare una qualsiasi forma al movimento e da destra a sinistra si sgomita per fare cassa. Il movimento non è fatto dalle persone del movimento ma dall’idea stessa del movimento, non c’è riconoscimento di bisogni né tanto meno riconoscimento di prospettive: esiste soltanto un amalgama amorfo dove tutto è possibile perché c’è l’entusiasmo di qualcosa che si preannuncia nuovo ma non si sa bene cosa, come la seconda venuta di Cristo per certe correnti religiose.

La questione che si pone, guardando al fenomeno delle sardine è: per quanto tempo possono essere mantenuti principi assolutamente formalisti, tanto da apparire come vaneggiamenti a cui aggrapparsi come consolazione, non sapendo come contrastare praticamente l’ascesa della destra nella società? La mancanza di un qualsiasi programma pratico manifesta sentimentalismi e i sentimentalismi muoiono presto, come certa retorica davanti ai cancelli Mirafiori alla fine degli anni ’70.

Il leader dice che non esistono leader o capi del movimento. Da che mondo è mondo, e su di esso abita l’essere umano, una comunità di individui per rimanere tale ha bisogno di una struttura relazionale per mantenersi più o meno compatta e stabile, che sia anche soltanto qualcuno che gestisca la pagina Facebook e crei l’evento o prepari un palco nella piazza con gli strumenti che sono necessari. Evitare di dare fiducia ad una persona incapace di manifestare lo spirito del suo stesso gruppo di individui è il primo passo affinché le Sardine si mostrino almeno in coerenza con i propri principi, cercando di attuarli e non soltanto di manifestarli.

È chiaro che togliendo l’ombra che la figura democristiana di Santori proietta sul movimento, c’è molto di più da poter leggere attraverso il contesto europeo in cui ogni paese ha la sua destra con la testa alta e le questioni sociali irrisolte. Una folla che canta Bella Ciao è un sintomo e non ancora un segno, figuriamoci un simbolo. Bisognerebbe uscire dalla formula parodica che si è creata: lo stesso nome del movimento è insieme ironia e sfida, visto il percorso della sua nascita, cambiando modello di partecipazione, strutturando la propria organizzazione interni e producendo delle rivendicazioni di base che possano almeno far iniziare dei passi verso un obiettivo.

È da stupidi pensare che in questo movimento siano assenti i caratteri di una opposizione: lo spontaneismo per sua natura è la reazione ad uno stato di cose, solo che è ancora in uno stadio oscuro a sé stesso. Pensare di poter negare quarant’anni di passamano a destra significa essere miopi sul significato che ha questo evento di migliaia di persone che si radunano per attendere l’annunciazione di un mondo nuovo. Esistono le contraddizioni nelle vite di quelle persone, la maggior parte aspetta qualcosa che rinnovi la loro vita. Che lo voglia nascondere o meno il portavoce (che è stato obbligato dalla contestazione di piazza di Roma a dire “abrogare” invece di “rivedere” i decreti sicurezza).

La cosa migliore per questo movimento è la sua morte in una rinascita, perché abbandonando le strutture amorfe da cui è nato e diventando qualcos’altro, quelle energie spontanee che si sono messe in marcia contro la deriva a destra non saranno deluse, ma troveranno maggior vigore nell’organizzazione del percorso politico verso gli obiettivi posti.

Abbiamo un gruppo di ragazzi che, con un post, si è messo a capo di un movimento in cui esiste il caos delle idee, in cui si pensa che lo scontro al ribasso possa essere abolito soltanto eliminando i Decreti Sicurezza, in cui è l’entusiasmo senza scopo specifico è il promotore delle riunioni di piazza, cosa che fa tanto pensare a organizzazioni che con le chiamate di piazza hanno sperperato tutto il potenziale politico di un’epoca e quando poi si sono ritrovate negli anni ’80 a dover rispondere a licenziamenti di massa hanno trovato il deserto dietro di sé perché nessuno ha più creduto alle loro parole. Diventa chiaro che non si può di certo pensare di poter comparare questo movimento con quello coerente con le proprie condizioni particolari dei Gilets Jaunes, in cui situazione sociale e contrasto politico sono condizioni preliminari necessarie per una risoluzione. Il movimento delle Sardine al momento non si è posto neanche il problema di chi provare a raggiungere, partiti o popolazione, per quegli obiettivi minimi.

Se le sardine non vogliono essere più le sardine di Cattelan, un fenomeno della circostanza, frutto di giochi che la storia ogni tanto fa agli uomini, deve abbandonare le sue vesti attuali e indossare un abito più adeguato alla festa della politica.

Luigi Filannino

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