Il 21 febbraio del 1848, venne pubblicato per la prima volta a Londra il Manifesto del Partito Comunista. Scritto da Marx ed Engels, fu una delle opere più diffuse e che più influenzò il corso della storia.

Marx ed Engels, due rivoluzionari

Il Manifesto del Partito Comunista non è solo una grande opera letteraria ma anche un documento teorico, programmatico e strategico grazie al quale Marx ed Engels si proposero di contribuire ad armare la classe operaia che in quell’epoca cominciava a mostrare il suo impeto rivoluzionario. Per entrambi non si trattava solo di comprendere la realtà ma anche di trasformarla in forma rivoluzionaria.

Quando scrissero il Manifesto, Marx ed Engels avevano rispettivamente 29 e 27 anni, stavano in esilio in Belgio e dirigevano l’organizzazione internazionale “La Lega dei Comunisti”. E il Manifesto fu un’iniziativa commissionata dalla Lega ai due giovani rivoluzionari. Ecco da dove derivò il nome “Manifesto del Partito Comunista”.

Friedrich Engels fu colui che elaborò la prima bozza del libro, la quale è conosciuta come Principi del Comunismo. Senza voler fare confronti, essendo la versione finale senza dubbio la migliore, la prima bozza contiene parti magnificamente elaborate, e soprattutto dialoghi che valgono comunque la pena di essere letti.

Sul finire del 1847, l’Europa stava attraversando una profonda crisi economica che portò tremende privazioni e patimenti agli operai e ai contadini. La situazione era insostenibile, sembrava che tutto stesse per esplodere e il timore del comunismo era molto forte nelle classi dominanti. Quando il Manifesto disse “un fantasma si aggira per l’Europa, il fantasma del comunismo”, era una realtà.

Tre giorni dopo dalla sua pubblicazione, gli operai di Parigi innalzarono barricate in tutta la città, provocando la caduta dei regnanti dell’aristocrazia finanziaria di Luigi Filippo di Orleans e la proclamazione della Seconda Repubblica. Nelle settimane seguenti la rivoluzione si estese anche nel resto d’Europa e i governi reazionari furono costretti a dimettersi o furono presi dalla mobilitazione popolare.

Il Manifesto in realtà non arrivò ad influenzare gli eventi ma anticipò ed esplicitò la nuova epoca storica. Il proletariato francese, nonostante la sua sconfitta, riuscì a mostrare per la prima volta l’irruzione della classe operaia come soggetto rivoluzionario.

Marx ed Engels intervennero direttamente in questi processi in territorio tedesco perseguitati dallo Stato. Marx fu espulso dalla Prussia. Engels, ventinovenne, si fece passare per dirigente di una delle milizie che lottarono fino alla fine nella regione del Palatinato. Da lì l’origine del suo soprannome “il generale” e del suo interesse per gli affari militari.

 

La storia intesa come storia di lotta di classe

Come punto di partenza, il Manifesto propone una tesi che non solo acquisì un grande valore teorico ma segnò anche l’azione di milioni di lavoratori in tutto il mondo e da allora “la storia dell’umanità (quando raggiunge un certo livello di sviluppo) è la storia della lotta di classe”. In realtà il concetto di lotta di classe era già stato citato dagli storici francesi precedenti e in particolare da teorici come Saint Simon. Marx ed Engels però analizzarono il concetto di lotta di classe nella società capitalista, dove i protagonisti fondamentali di questa lotta sono la classe operaia e la borghesia, cosa che ovviamente non implica che non ci siano altre classi al di fuori di queste due. Secondo gli autori del Manifesto questo antagonismo è irriconciliabile.

Non sono quindi l’intesa tra le classi e la ricerca del “bene comune” come propongono invece tutti i riformatori, o determinati valori “universali”, i cambiamenti che smuovono la storia, ma il conflitto tra classi con interessi materiali contrapposti. La teoria della lotta di classe è quindi contraria alla teoria della conciliazione tra le classi in tutte le sue varianti.

 

Lo sfruttamento come fondamento del sistema capitalista

La classe dei lavoratori odierna – afferma il Manifesto – può vivere solo a condizione di trovare un lavoro e può trovare lavoro solo a condizione che aumenti il capitale”. Gli operai sono “obbligati a vendersi ad uno ad uno come pezzi, sono una merce come qualunque altro articolo commerciale …”. Da questo inizio Marx ed Engels cominciarono così a rivelare le fondamenta del sistema capitalista, basato sullo sfruttamento dei lavoratori.

Tuttavia, solo anni dopo il Manifesto Marx dichiarò esplicitamente che il lavoratore non si vende (non è una merce) e non vende nemmeno il suo lavoro (quello che produce) ma vende invece la sua forza-lavoro (la capacità di mettere in movimento muscoli, nervi e cervello). In questo modo l’operaio vende la sua forza–lavoro al capitalista, che la combina con macchine e materie prime, mettendolo a lavorare, ad esempio, per una giornata di 8 ore. Con una parte del suo lavoro, supponiamo 4 ore, il lavoratore sostituisce ciò che il capitalista spende per il suo salario. Ma l’operaio ha venduto la sua forza – lavoro per una giornata intera per la quale è obbligato a lavorare. Queste ore sono al di sopra della somma necessaria per ricostituire il suo salario e Marx le ha definite come plusvalore. Altro non è che tempo di lavoro che il capitalista ruba al lavoratore e che costituisce l’unica fonte di profitto per i capitalisti.

 

Il comunismo: movimento reale e programma

Marx ed Engels sottolineano nel Manifesto che “Le proposizioni teoriche comuniste non rispondono né a idee né a principi scoperti da alcun redentore dell’umanità; sono al contrario espressione delle condizioni materiali di una lotta di classe reale e viva, di un movimento storico che si sta sviluppando sotto gli occhi di tutti …”. Ciò vuol dire che il comunismo non è solo un’idea ma un “movimento reale” che si esprime nella lotta continua della classe operaia per liberarsi dall’imposizione del lavoro. Dal rubare minuti al padrone e alla macchina, dalle lotte storiche per la riduzione della giornata lavorativa o per il controllo operaio, ai grandi processi rivoluzionari dove la classe operaia lotta per il potere.

Il comunismo è anche un programma, un obiettivo da conquistare: una società senza classi sociali, senza Stato, senza sfruttamento e senza oppressione. Ha basi materiali assai profonde nello sviluppo delle forze produttive (macchinari, organizzazione del lavoro, abilità degli operai, ecc. …) nella società capitalista. A condizione di mettere gli enormi progressi della scienza e della tecnologia al servizio dei bisogni sociali e non del profitto. In questo modo sarà possibile ridurre il tempo che ogni individuo dedica al lavoro e dedicare le proprie energie al tempo libero creativo (scienza, arte e cultura) e quindi utilizzare tutte le capacità umane.

 

Una strategia cosciente

Il comunismo è quindi due cose: un movimento reale che si sviluppa sotto gli occhi di tutti, e un obiettivo, il giorno di una nuova società comunista conformata per produttori liberi e in associazione. Tuttavia l’antagonismo che emerge nella lotta della classe lavoratrice per liberarsi dal lavoro come imposizione, non porta automaticamente alla realizzazione del comunismo. Da ciò è necessaria un’organizzazione politica con strategia cosciente di una rivoluzione sociale. Un partito rivoluzionario che lotti per il potere dei lavoratori come condizione per arrivare fino al comunismo. Questo è il motivo per cui Marx ed Engels non si sono dedicati alla militanza in generale ma alla militanza rivoluzionaria.

E nel 20° secolo il ruolo dell’avanguardia comunista divenne ancora più importante. L’emergere dell’imperialismo come nuova fase del capitalismo diede nuove basi materiali ai settori conciliatori con la borghesia all’interno del movimento operaio. Sorse così un’”aristocrazia operaia” in quei paesi che opprimevano altri paesi e si sviluppò anche una larga burocrazia. Lenin, leader della Rivoluzione Russa del 1917, sviluppò questa tematica sollevando la necessità di formare partiti rivoluzionari della classe operaia, politicamente e organizzativamente indipendenti da quelle correnti riformiste e anche dai “centristi” che oscillano tra riformisti e rivoluzionari.

 

Cosa caratterizza i comunisti?

Per Marx ed Engels, i comunisti “non hanno propri interessi che si distinguano dagli interessi generali del proletariato”. Ciò che distingue i comunisti all’interno del “movimento reale”, dice il Manifesto, è che difendono gli “interessi comuni e peculiari di tutto il proletariato aldilà della sua nazionalità”; che “mantengono sempre l’interesse del movimento focalizzato sul tutto”; che sono “praticamente e teoricamente la parte più determinata e che portano alle grandi masse del proletariato la loro chiara visione delle condizioni, dei corsi, e dei risultati generali verso cui il movimento proletario deve ambire.

Ma oltre alla loro teoria e al loro programma rivoluzionario, per Marx ed Engels i comunisti si distinguono per la loro azione essendo i più determinati nella lotta di classe. Stando in prima linea nei combattimenti reali e quotidiani, i comunisti possono forgiare un partito capace di conquistare la direzione del “movimento reale” verso una strategia e un programma rivoluzionario di conquista del potere operaio come passo indispensabile nella lotta per il comunismo.

Dall’altro lato, un punto fondamentale che distingue i comunisti del Manifesto è l’internazionalismo, il difendere gli interessi comuni della classe operaia “indipendentemente dalla sua nazionalità”. Questa concezione ha basi profonde in Marx e in Engels i quali erano assolutamente coscienti del carattere mondiale delle forze produttive e della stessa classe operaia che ha interessi comuni aldilà delle frontiere e delle divisioni impostegli dalla borghesia. A loro volta, sapevano anche che la borghesia ha, proprio per questa ragione, le proprie istituzioni al servizio del mantenimento dell’oppressione dei popoli.

Marx ed Engels parteciparono nel 1864, alla fondazione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, conosciuta anche come Prima Internazionale. Poi nel 1889, Engels (Marx era già morto) fondò la Seconda Internazionale. Il 20° secolo in poche parole non fece altro che confermare le proposte del Manifesto, l’importanza dell’internazionalismo e l’impossibilità di costruire “il socialismo in un paese solo”.

 

Matías Maiello
Traduzione da La Izquierda Diario

Nato a Buenos Aires nel 1979. Laureato in Sociologia, docente di Sociologia dei Processi Rivoluzionari (Università di Buenos Aires - UBA) dal 2004. Militante del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS) e membro della redazione della rivista Estrategia Internacional. Autore, insieme a Emilio Albamonte, del libro "Estrategia Socialista y Arte Militar" (2017).