Se si mettessero insieme tutte le dichiarazioni e gli accordi presi tra rappresentanti del governo e rappresentanti della Whirlpool da più di una anno ad oggi verrebbe fuori la sceneggiatura surreale di un film comico. Peccato che la situazione per centinaia di lavoratori e lavoratrici sia, invece, più simile ad una tragedia.


Il finale di questa farsa, in mancanza di ulteriori colpi di scena, è stato già svelato: a prescindere dagli effetti del Covid, la Whirlpool di Napoli chiuderà i battenti il 31 ottobre, come comunicato dall’amministratore delegato di Whirlpool Italia Luigi La Morgia durante il tavolo convocato dal Mise con azienda, Invitalia, sindacati e regione Campania, aggiungendo di aver già informato i fornitori.

Questo il risultato dopo il «Ce l’abbiamo fatta», urlato da Di Maio sui social il 25 ottobre 2018 in riferimento all’accordo tra Whirlpool e il governo che prevedeva l’impegno dell’azienda a investire 250 milioni di euro nel triennio successivo nei suoi siti industriali italiani in cambio di incentivi, sgravi fiscali e ammortizzatori sociali.

Nonostante il tono trionfale dei post, i sindacati avevano subito ridimensionato l’operato del ministro, accusandolo di essersi preso i meriti di un documento di cui non aveva seguito le trattative. Di maggior rilievo, per la sua gravità, è il fatto che di lì in poi il ministero di competenza di Di Maio avrebbe dovuto seguire l’attuazione del piano industriale e vigilare sull’effettiva realizzazione degli accordi presi. Ma, dal giorno dopo la firma, nessuna riunione, neanche una, è stata fatta sul tavolo di crisi Whirlpool.

Anche degli investimenti nessuno ha più saputo nulla.

Tant’è che sei mesi dopo, in barba all’accordo siglato a ottobre, è arrivato l’annuncio «a sorpresa» di Whirlpool di voler «cedere a terzi» lo stabilimento. E, per non farci mancare «gli intrighi di potere», dal racconto del segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli, è uscito fuori che la multinazionale aveva comunicato le sue intenzioni con una lettera al Mise dagli inizi di aprile , «ma Di Maio lo ha annunciato solo il 31 maggio, dopo le elezioni europee».

Il ministero non aveva informato nessuno, neanche i sindacati. Una doccia fredda per i lavoratori, che poco dopo ricevettero una lettera nella quale veniva annunciato il trasferimento alla svizzera Prs.

Protagonista ancora Di Maio, nel giugno 2019, con toni da cane che abbaia e non morde, dice che la Whirlpool non può prendere per i fondelli lo Stato dopo aver ricevuto 27 milioni di incentivi, minacciando di fermare gli ulteriori 15 milioni di fondi promessi. In risposta la Whirlpool furbescamente dichiara di non voler chiudere lo stabilimento.

Questo piccolo momento di tensione finisce con l’ annuncio da parte di Di Maio, a luglio, appena un mese dopo, dell’inserimento della Whirlpool tra i beneficiari del decreto salva imprese” (certamente non salva lavoratori), che, in termini monetari, vuol dire 16,9 milioni sotto forma di decontribuzione per 15 mesi sui contributi di solidarietà.

Altri annunci, altri post, ma a settembre, in piena crisi di governo, la multinazionale con una comunicazione giudicò il decreto «insufficiente» per garantire la profittabilità del sito.

Nessuna sorpresa. «Che il provvedimento del governo avesse colto solo in parte le nostre richieste e non fosse ancora sufficiente a far cambiare idea a Whirlpool lo avevamo detto subito», raccontavano i sindacati.

Il cambio di staffetta al ministero: ministro nuovo ma solita politica!

Al Mise arrivò, poi, il turno di Stefano Patuanelli, che ereditò dal collega di partito oltre 150 tavoli di crisi irrisolti.

Dopo svariati incontri e vertici, a fine ottobre 2019 il neo ministro dello Sviluppo economico annunciava su Facebook la «buona notizia» ai lavoratori Whirlpool di Napoli: «L’azienda mi ha comunicato la volontà di ritirare la procedura di cessione. Su questa vertenza il Governo ci ha messo la faccia e abbiamo ottenuto un importante risultato».

Dall’azienda, però, è subito arrivata la precisazione: bisognava cercare «una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito e che necessita di una soluzione a lungo termine».

Mentre Prs, la società che avrebbe dovuto rilevare lo stabilimento, ha subito che i rapporti sarebbero stati interrotti: «Prs non è in grado di confermare che la disponibilità nel prendersi carico della situazione dello stabilimento di Napoli rimarrà invariata nel periodo ipotizzato dal governo per la ricerca di un’alternativa».

La tregua tra Whirlpool e governo durò, dunque, poco. Il «dialogo costruttivo» dei comunicati pure. E la soluzione a lungo termine non si è mai trovata.

«Non ho strumenti per fermare una multinazionale», aveva detto Patuanelli ai sindacati che facevano pressione perché Whirlpool rispettasse gli accordi di ottobre 2018. A fine gennaio l’annuncio definitivo: Whirlpool, che inizialmente aveva confermato lo stop della produzione delle lavatrici a Napoli per il 31 marzo, fa slittare la chiusura al 31 ottobre.

Un addio solo rimandato, che però concedeva al Mise sette mesi per un nuovo piano industriale.

La situazione attuale è che la chiusura dello stabilimento prevista per il 31 marzo è stata solo rimandata ad ottobre.

Come è tristemente risaputo, non è la sceneggiatura di un film comico è invece la solita storia, il solito meccanismo adottato dalle multinazionali con la connivenza dei governi stretti nell’abbraccio, mortale per i lavoratori, del capitalismo.

Lavoratori costantemente truffati e presi in giro dalle uniche regole che valgono, quelle del profitto: Il sito produttivo, secondo l’azienda, perderebbe 20 milioni l’anno. Le lavatrici di alta gamma prodotte in via Argine soffrono della concorrenza coreana. E il costo del lavoro dei prodotti realizzati a Napoli sarebbe troppo alto rispetto allo stabilimento cinese.

La beffa dei capitalisti sulla vita dei lavoratori a cui non è concessa neanche l’ironia!

La realtà dunque è che mentre lo Stato e i capitalisti possono farsi beffe dei lavoratori a questi ultimi non è dato nemmeno impugnare l’arma dell’ironia.

Ha fatto il giro dei media la provocazione” di Gianni Del Gaizo, operaio Whirlpool che ha messo all’asta la fabbrica su eBay a 1 euro, con l’iniziativa che è stata ripresa da giornali e tv. Mai si sarebbe aspettato che, nemmeno 24 ore dopo, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli lo avrebbe contattato di persona, offeso dalle sue parole, dalla provocazione.

«Ho ricevuto un messaggio su messenger dal profilo privato del ministro – racconta il lavoratore- e abbiamo cominciato una conversazione. Lui si è mostrato molto deluso dalle nostre parole sul disimpegno del governo. Si è risentito che avessi fatto riferimento alle dirette Facebook da lui fatte, come se io mettessi in dubbio che lavorasse. Non volevo certo dire questo, ho votato 5Stelle ma sono molto deluso.»

L’operaio mostra lo screenshot dei messaggi scambiati alle 12,30 di domenica. «Ho fatto solo una diretta Facebook da quando sono ministro in circa un anno – si difende il ministro – Ora sono al ministero a lavorare è domenica e sono le 12,31, perché sono pagato per questo, non vado in tv e non faccio interviste. Accetto tutte le critiche del mondo, non le balle.»

Risponde Del Gaizo: «Ma la vedo spesso a illustrare quello che vorrebbe fare o sta programmando. Il futuro è importante ma anche il presente. Dopo un anno ci viene a dire che l’articolo 41 della Costituzione sancisce la libertà di impresa e che non si possono esercitare azioni coercitive contro una multinazionale che decide di delocalizzare entro certi termini. Da ignorante l’ho letto l’articolo da lei citato e non si ferma certo a quelle parole…»

L’operaio recita l’articolo della Costituzione, lo scrive per intero al ministro. Scrive che la norma stabilisce «che le iniziative non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e non possono recare danno alla dignità umana. La Whirlpool in 10 anni ha preso i nostri soldi, quelli del governo. Noi abbiamo pagato da contribuenti e lavoratori tassandoci la busta paga per 10 anni. Il mio Cud nel 2010 era 33mila euro, oggi a distanza di 10 anni è di 22mila. Sacrifici fatti per la nostra azienda. Tutto ciò a cosa è servito?»

«Sto facendo il possibile per Whirlpool – gli risponde il ministro – mi creda. Eppure ci sono molte altre crisi con molti più dipendenti in gioco. Ci metto la faccia perché è allucinante che una multinazionale possa fare ciò che vuole. Ma davvero non posso obbligarli. Abbiamo messo a disposizione qualsiasi strumento. Ci proverò fino alla fine ma ho pure l’obbligo di cercare un’alternativa seria. Non ne sarò capace, magari avrò sbagliato o sbaglierò, è umano credo. Ma non accetto che si dica che faccio dirette e non lavoro. Lavoro 20 ore al giorno 7 giorni su 7, con 3 figli che ho visto 4 giorni negli ultimi 4 mesi.»

La conversazione finisce con un invito in fabbrica.

«Gli ho scritto che lo aspettiamo in fabbrica ma lui non ha più risposto- conclude l’operaio – purtroppo le sue parole hanno confermato la nostra delusione. Mi aspettavo parole incoraggianti invece lui mi ha scritto solo per difendersi dalle accuse. Nessuno lo ha obbligato a fare il ministro. Whirlpool si è presa due marchi italiani e li ha portati all’estero. Con 10 anni di contributi statali ci ha tagliato gli stipendi e ora se ne va. Patuanelli dovrebbe avere il coraggio di punire la multinazionale e invece ci ha portato dopo un anno, alla stessa soluzione poco convincente dello scorso anno.»

«Non vediamo figli e mogli da oltre un anno – interviene sul caso Whirlpool Vincenzo Accurso, della rsu Uilm – perché lottiamo per il nostro lavoro. Quanto stiamo con loro non abbiamo la serenità agiata di chi un lavoro lo ha.»

C’è poco da aggiungere alla risposta data dall’operaio se non sottolineare che le affermazioni del ministro, tronfio di personalismo, svelano l’inganno di un movimento nato dal popolo” per il popolo” dove uno vale uno vuol dire che come sempre ognuno vale per sé e la legittimità della proprietà privata, per loro, vale molto più della vita degli operai e delle prospettive lavorative stesse.

Il ministro che si ritrova nelle tasche ogni fine mese più di 14.000. euro (tra indennità, diaria e rimborso spese) non è mai stato realmente rappresentante e portavoce delle istanze dei lavoratori, prosecutore della loro lotta in parlamento. Dalla sua risposta traspare che la sua maggiore preoccupazione è volta alla valenza dell’incarico istituzionale che ricopre piuttosto che alle vite dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro famiglie.

Dice di star facendo il possibile, di star lavorando anche di domenica, ma fino ad ora gli unici che pagano sono proprio coloro che lavorano e producono e pagano doppiamente:non solo vengono licenziati ma tutti gli incentivi statali sono frutto delle tasse che pagano loro stessi e nonostante questo la loro volontà viene sempre lasciata per ultima.

Finché sarà il profitto a regolare la produzione assisteremo sempre agli stessi copioni perché il profitto si crea sulle spalle dei lavoratori, profitto e costo del lavoro sono due grandezze, nell’equazione del capitalismo, che potremmo definire inversamente proporzionali: per far sì che i profitti aumentino il costo del lavoro deve diminuire e se la relazione tra queste grandezze non porta all’incremento dei profitti, che sono ad unico vantaggio dei capitalisti, questi ultimi non si fanno scrupoli ad affamare intere famiglie.

I lavoratori uniti devono lottare per spezzare questa catena perché nessuno lo farà al posto loro. Il protagonismo politico della classe lavoratrice in questo momento è necessario non solo per salvare i lavoratori della Whirlpool e tutti gli altri lavoratori e lavoratrici delle vertenze attualmente ancora aperte ma per far fronte a questa crisi che da sanitaria è diventata economica.

Una misura immediata di carattere emergenziale da rivendicare è, quindi, l’estensione del reddito di cittadinanza a ogni nucleo familiare a reddito basso, togliendo tutti i limiti burocratici attuali e portandolo a 1200 euro fissi, unendolo alla necessità di blocco di tutti i licenziamenti, anche di quelli attuati contro i lavoratori precari e/o a tempo determinato con scadenza contrattuale, obbligando i padroni a farsi carico della crisi, mettendoli spalle al muro, dopo anni ed anni di incentivi statali e regalie varie, con un solo aut aut: o la nazionalizzazione della fabbrica che vorresti chiudere o l’esproprio diretto di ogni bene in tuo possesso per garantire la prosecuzione del lavoro ma sotto l’unico e solo controllo possibile (dato che il tuo è totalmente fallimentare e fortemente finalizzato ai profitti-strozzino sulla pelle dei lavoratori), quello degli operai stessi che volevi licenziare!

E questo atteggiamento non è una misura che rivendichiamo rispetto alla singola vertenza Whirlpool: necessario è attivare un processo di nazionalizzazione, centralizzazione, riconversione ed esproprio senza indennizzo dei settori e delle risorse dell’economia nazionale. In questa prospettiva, promuoviamo coordinamenti di lavoratori dei rami produttivi e della sanità assieme ad esperti e consulenti che deve approdare all’abitudine a riunirsi nei posti di lavoro per discutere sulla sicurezza, sulle forme di lotta da attuare e da attuare e su come padroni e stato borghese stanno organizzando schematicamente l’economia e l’attacco ai lavoratori durante la crisi.

Questa è la sola prospettiva grazie alla quale la classe lavoratrice potrà conquistare un ruolo egemone ed attivo nei processi politici che la vedono sempre ed unicamente succube. Questa la base su cui riorganizzare il rilancio del protagonismo della classe contro la brutalità della politica padronale capitalistica.

 

Lisa Di Pietro

Nata a Napoli nel 1988, consegue la Laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e la Laurea di primo livello in Pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella.