L’esito del referendum cileno ha dato slancio ai cuori speranzosi di chi vedeva nel sistema vigente (e nell’impianto legale che lo sosteneva) un relitto mortuario del passato. Ora è il momento di continuare a spingere per liberarsi della borghesia e di chi ne copre le spalle, mentre prova a mantenere il controllo su un processo decisivo per il paese.


Se qualcuno avesse potuto immaginare che aspetto avrebbe avuto la scena politica cilena oggi, dalla prospettiva di due anni fa, probabilmente non sarebbe riuscito a concepire quello che nella notte di domenica ha avuto luogo: un plebiscito nazionale sul mantenimento della Costituzione vigente, una Costituzione scritta nel 1980, ancora sotto la dittatura neoliberista di Augusto Pinochet. Nonostante una ventina di cambiamenti durante il corso di questi ultimi quarant’anni, il testo centrale dell’apparato statale cileno si fonda su presupposti ripugnanti, figli emeriti della dittatura, che ha pedissequamente controllato la sua stesura fin dai primi momenti in cui l’idea per un referendum costituzionale, al tempo, era germogliata, a seguito della necessità di un documento politico tale da legittimare ulteriormente i margini di potere della giunta militare di Governo e del controverso organo di controllo COSENA (Consejo de Securidad Nacional).

Domenica, questo documento, di cui il retaggio è ancora era ben sentito dalla stragrande maggioranza della popolazione cilena, è stato messo in discussione da un voto che, con una maggioranza di quasi sei milioni di persone contro un milione e mezzo di contrari (78% delle preferenze), apre la strada per la formazione di una convenzione costituzionale (specificamente eletta e non “mista”, ossia formata per metà da delegati candidati della società civile e metà da membri dell’attuale legislatura parlamentare) che vada a scrivere una nuova Costituzione, per un paese che, da un anno a questa parte, ha preso posizione quasi ogni settimana nelle piazze e nelle strade, nelle fabbriche e nelle scuole, partendo da una semplice protesta contro l’aumento del prezzo del biglietto del trasporto pubblico urbano per ampliare la conversazione sulla natura sistemica dell’oppressione economica e politica a cui i lavoratori e le lavoratrici sono sottoposte ogni giorno. La conquista di questa convenzione costituzionale rappresenta da un lato il culmine di un percorso che, in un anno, ha raccolto tappe, esperienze e narrazioni tra le più diverse, grazie alla collaborazione e allo sforzo comune di diversi settori sociali e lavorativi (dagli studenti liceali, agli universitari, ai minatori, ai portuali, al mondo dei lavoratori dello spettacolo, fino ad arrivare alla dimostrazione di forza e avanzamento politico portato dal popolo Mapuche): un processo che, ad oggi, è venuto al caro costo di una stima di 29 morti, circa 2500 feriti e più di 2800 arrestati, che però non hanno mai intimorito o fatto tentennare l’onda dirompente di un popolo in rivolta. D’altro canto, questa vittoria non si tratta che dell’inizio di una nuova, importante lotta: quella che riguarderà la riscrittura effettiva della Costituzione Cilena.

La destra di governo, Sebastiàn Piñera in testa, si trova in stato di confusione totale: dopo aver tentato di sedare le rivolte di strada con diversi rimpasti di gabinetto, il presidente cerca oggi di salire sul carro del vincitore e dipingersi come un leader di conciliazione, affermando che “questo trionfo di democrazia ci deve riempire di allegria e speranza”. Ma quale allegria e speranza può offrire un percorso teleguidato da vecchie forze reazionarie e liberiste opportunistiche? Solo alcune fasce dei vari partiti di destra ha realmente fatto campagna per il “rechazo”, l’opzione di tenere la costituzione inalterata. Si crediti, quantomeno, la coerenza di questi pochi partiti, vicini specialmente al mondo della dottrina sociale cattolica! La realtà è che, per il governo, l’esito era praticamente scontato, e fin da subito ha creato una narrativa per la quale, pur essendo il soggetto principale dell’ira della popolazione, potesse dirsi “disponibile ad accogliere la volontà popolare”. Ma il movimento intersezionale venuto a costituirsi nel corso dell’ultimo anno ha alla base rivendicazioni che cozzano necessariamente con l’assetto istituzionale che permette a Piñera e ai suoi di sopravvivere politicamente: lo permette a loro, come lo permette alla loro “opposizione”.

Mentre il resto del paese era impegnato a cavalcare l’onda della reazione a catena a cui i coraggiosi studenti delle scuole superiori avevano dato inizio, il 7 ottobre 2019, scontrandosi ripetutamente con i carabineros, rivendicando la fine del brutale stato di diseguaglianza che da decenni piaga l’intero assetto sociale cileno, la maggiore formazione delle fila dell’opposizione ovvero la coalizione “Nueva Mayorìa” vicina all’ex-presidente Michelle Bachelet (un raggruppamento che raccoglie il Partito Socialista, il Partito Social-Democratico Radicale, il Partito per la Democrazia, il Partito Cristiano-Democratico e, infine, il Partito Comunista Cileno, che però si è trovato ad uscire dalla coalizione a seguito del fallimento elettorale del 2017, per dar vita al progetto “Unidad por el Cambio”, un altro raggruppamento progressista borghese) si è trovata da subito a cercare forme di compromesso istituzionale, alla meglio al ribasso rispetto alle rivendicazioni emerse dalle piazze, alla peggio direttamente contrarie e ostili alle proteste. Questo distacco interno cozzava fortemente con le posizioni pubbliche di alcuni dei partiti presenti nella coalizione, come il Partito Comunista, del quale molti militanti parteciparono alle manifestazioni in corso. L’ambiguità è sentita, a livello pubblico: in vista delle prossime elezioni politiche, la coalizione di centro-sinistra, dopo aver sostanzialmente fatto da stampella alla repressione del governo neoliberista di Piñera, si trova ora a dover spiegare questa ipocrisia ai suoi elettori e a parecchi dei suoi militanti di base, oggi schierati in maniera convinta dall’altro lato della barricata (basti pensare al vasto controllo sindacale che alcuni dei partiti della coalizione esercitano sui sindacati nazionali, di cui i lavoratori, dopo iniziali tentennamenti, a seguito del freno imposto da burocrati sindacali di vecchia data, hanno poi contribuito in maniera sostanziale alle proteste, come nel caso dei portuali di Valparaìso). Basterà forse a salvarli, l’appello disperato al popolo, “andate alle urne e non succederà nulla”?

Oltre ai partiti asserragliati attorno al PS, troviamo la coalizione del Frente Amplio, che fior fior di analisti ed esperti ha descritto come la seconda venuta del bolscevismo: più che la dittatura del proletariato, la “sorpresa della sinistra” delle elezioni del 2017 ha più che altro rappresentato da un lato la manifestazione più chiara di un sentimento oppositivo intrinseco alla società cilena, disposto a cercare percorsi alternativi alle forme e ai simboli più tradizionali del vecchio centrosinistra cileno, comunque dovessero presentarsi, dall’altro l’ennesima presa in giro a danno di compagni e compagne che fanno della lotta contro il sistema capitalistico un affare di quotidianità, una questione di vita o di morte. Mentre il paese andava in fiamme, il raggruppamento populista di sinistra, che per tanti aspetti sembra ricordare quello che tanti promettevano fosse Podemos, in Spagna, ha capitolato violentemente nei palazzi di potere, abbassandosi addirittura a votare leggi repressive contro i manifestanti e cercando, ad ogni passaggio, di fare pompierismo, in nome di una non-violenza pattuita della quale, ovviamente, i primi garanti sarebbero dovuti essere i lavoratori e le lavoratrici, gli studenti e le studentesse, e non coloro che tutti i giorni esercitavano senza riguardo la violenza della miseria e della repressione, non certo lo Stato cileno!

Mentre tutte queste forze, queste variabili, articolano i propri linguaggi per reggere l’impatto ultimo costituzionale della mobilitazione che ha scosso il Sudamerica per un anno, l’unica voce costante è stata proprio quella del popolo in rivolta, che a ripetute ondate ha sempre portato avanti una lunga serie di rivendicazioni in costante aggiornamento ed espansione: il prezzo del trasporto pubblico è alto perché il prezzo di tutto, in Cile, sta diventando alto per sempre più persone. Perché i salari si abbassano e la vita costa troppo per chi lavora dal mattino alla sera. E chi lavora, chi studia, non può protestare per paura di perdere il lavoro, di venire picchiato o di subire perquisizioni, denunce, o peggio. Si ha da far coriandoli della costituzione, ma soprattutto del sistema che questa costituzione difende! Proprio per questo, la vera lotta, per quanto ovviamente reale sia stato tutto ciò che è accaduto finora, comincia adesso, che la borghesia nazionale ha aggiustato il tiro per rispondere sul piano istituzionale e imporre quanto più possibile il proprio volere nella scrittura di quello che sarà il nuovo testo costituzionale. La pretesa di una convenzione “costituente” aperta, per quanto possa suonare come l’ipotesi più corretta per dare reale rappresentazione a chi da un anno resta nelle strade, è in realtà uno specchietto per le allodole: le procedure referendarie e post-referendarie sono costruite a tavolino dai partiti aderenti al cosiddetto “Accordo per la Pace”, una coalizione di partiti rappresentati in parlamento per sabotare lo slancio reale che esiste e che si è formato nelle assemblee che hanno raccolto e rappresentato la moltitudine di anime diverse che ha animato la rivolta dal suo inizio. Proprio per questo, mentre questo articolo viene scritto, e si stanno preparando i candidati alla Convenzione Costituzionale, rilanciamo l’appello dei compagni del Partido de Los Trabajadores Revolucionarios, che per un anno ci hanno tenuti informati costantemente, da tutte le piazze centrali della sommossa, attraverso il proprio ente mediatico La Izquierda Diario Chile, e che hanno affrontato in prima linea la repressione e la durezza di questa lotta continuativa. A loro, mandiamo la nostra solidarietà e il nostro affetto, mentre si preparano ad affrontare il percorso che porterà alla stesura del nuovo testo costituzionale, senza abbandonare alcuna barricata, sotto la rivendicazione di “Una Assemblea Costituente Libera e Sovrana, di lavoratori, giovani e donne”, senza mollare di un millimetro la posizione della costruzione del partito rivoluzionario per l’abbattimento del capitale e di coloro che vogliono tenere il Cile sotto il tallone del liberismo nazionale ed internazionale, in forma più o meno moderata. Come sistemico è l’operato di chi sfrutta, sistemica dovrà essere la risposta dei compagni e delle compagne che credono che un altro sistema, un altro mondo, un altro Cile siano possibili.

Di seguito, la dichiarazione del “Comando por una Asamblea Constituyente Libre y Soberana”:

Il Cile si è svegliato: in milioni abbiamo gridato con forza: ‘non sono trenta pesos, son trent’anni!”. Questo 25 ottobre, votiamo ‘Apruebo’ per un’assemblea costituente libera e sovrana, perché siamo in milioni a chiedere di farla finita con la Costituzione di Pinochet, attraverso un’assemblea costituente libera e sovrana. Ma sappiamo che Piñera e i partiti di regime hanno imposto un plebiscito controllato e pieno di trappole. Noi studenti, che ad ottobre abbiamo scavalcato i tornelli delle metro ad ottobre, non potremo partecipare. Possiamo essere portati via dai Servizi Sociali, o finire in galera, ma non abbiamo il diritto di andare alle urne. Ci dicono che abbiamo solo due alternative: convenzione mista o convenzione costituente, ma sappiamo che sono le stesse ricette di sempre: lo stesso modo di “cucinare”. Col quorum di 2/3, si delega un enorme potere di veto a una piccola minoranza, in difesa dei grandi gruppi economici, come BHP (agenzia di trading in quote legate all’industria mineraria, ndt.), Luksic (conglomerato minerario di grande potere nella zona di Antofagàsta, ndt.), Matte (ricca famiglia di banchieri cileni, ndt.), Angelini (colosso del settore energetico cileno, ndt.), oppure come lo stesso Piñera. Non si potrà nemmeno andare a toccare i trattati internazionali, ne’ farla finita con le AFP (sistema di gestione privata delle pensioni, ndt.). La legge sui partiti politici non solo favorisce in gran misura i partiti dell’ “Accordo per la Pace”, ma restringe anche il campo di operazione dei referenti sociali e sindacali. Vogliono decidere tutto quelli che lo fanno sempre, ma ci sono migliaia di morti per Coronavirus e milioni di disoccupati, e in tutta la popolazione si sentono fame e depressione. Gli imprenditori e i grandi agglomerati finanziari aumentano i loro profitti, e il governo si prende gioco di noi, e ci da’ le briciole del tutto. Non dimentichiamo i morti, i feriti, i torturati e nemmeno le centinaia di detenuti politici della rivolta e del popolo Mapuche, messi in carcere da questo governo. La tregua concordata dalla CUT (il più grande sindacato cileno, ndt.) e dalla burocrazia sindacale col governo è un fatto oltremodo criminale. Richiediamo le rivendicazioni di ottobre e il percorso dello sciopero generale, per farla finita con tutta l’eredità della dittatura, e conquistare una vera assemblea costituente, libera e sovrana, senza Piñera, e dove il popolo lavoratore possa discutere e decidere su tutto, senza alcun tipo di limitazione. Per la salute, il pane e il lavoro, vi invitiamo a spingere per un’Assemblea Costituente Libera e Sovrana.”

 

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.