Questo venerdì, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno effettuato intensi bombardamenti contro lo Yemen e le milizie Houthiste. È un’escalation bellica guidata dagli USA – ma della quale beneficiano vari paesi imperialisti tra cui l’Italia – che minaccia una conflagrazione regionale e deve essere condannata: fuori l’Italia dall’operazione “Prosperity Guardian”, no ai bombardamenti imperialisti!


La scorsa notte lo Yemen è stato teatro di un intenso bombardamento americano-britannico. 73 attacchi aerei hanno preso di mira gli Houthi, causando cinque morti e sei feriti, secondo Yahya Sari, portavoce militare dell’organizzazione sciita. Tra giovedì sera e venerdì mattina, questi bombardamenti, sostenuti, secondo Washington, da Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi, hanno preso di mira più di 70 punti dello Yemen, compresa la capitale Sanaa. Portata avanti in nome della “libertà di navigazione”, questa offensiva della coalizione “Prosperity Guardian” guidata dagli Stati Uniti è un’escalation di guerra che sta ravvivando lo scenario di una conflagrazione regionale.

Le milizie Houthi in Yemen, vicine all’Iran, stanno attaccando le rotte di navigazione del Mar Rosso da diverse settimane. Dopo il 7 ottobre, il gruppo ha dichiarato guerra allo Stato di Israele a “sostegno” della lotta di liberazione del popolo palestinese e ha avvertito che avrebbe continuato i suoi attacchi finché Israele non avesse concluso un cessate il fuoco definitivo. Con questa escalation bellica, gli Stati Uniti mettono in atto le loro minacce contro lo Yemen. Nelle ore precedenti, la Casa Bianca aveva rilasciato una dichiarazione in cui si affermava che “gli Stati Uniti e i nostri partner non tollereranno attacchi al nostro personale né permetteranno ad attori ostili di mettere in pericolo la libertà di navigazione su una delle rotte commerciali più critiche del mondo”.

Nelle ultime settimane, le azioni degli Houthi hanno causato ritardi di una settimana a diverse navi, che hanno dovuto prendere rotte alternative verso il Mar Rosso. I ribelli hanno anche attaccato navi da guerra britanniche e americane nella regione. Dal 19 novembre, secondo l’esercito statunitense, gli Houthi hanno effettuato 27 attacchi con missili e droni nei pressi dello stretto di Bab el-Mandeb, con un impatto notevole sul commercio internazionale, poiché il 10% del commercio mondiale di petrolio (5 milioni di barili al giorno) e il 30% del traffico di container passano attraverso questo punto di passaggio altamente strategico.

L’impatto di questi attacchi sull’economia globale è quindi piuttosto significativo, tanto che alcuni armatori hanno sospeso il passaggio delle navi attraverso questo stretto. Inoltre, le navi hanno ora l’ordine di evitare l’Africa attraverso il Capo di Buona Speranza fino a nuovo ordine. Una deviazione che rappresenta un handicap per le merci europee, ma assolutamente disastrosa per i Paesi che si affacciano sul Mar Rosso, come Israele, Arabia Saudita ed Egitto, le cui economie dipendono fortemente dal Canale di Suez, che non può funzionare senza il passaggio attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb.

In risposta, gli Stati Uniti hanno avviato la creazione di una coalizione nel Mar Rosso: “Prosperity Guardian”, che riunisce una ventina di Paesi tra cui Grecia, Francia, Regno Unito, Bahrein, Canada, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna e Seychelles. Una coalizione imperialista che, bombardando lo Yemen dopo gli attacchi iniziali contro le milizie filo-iraniane in Iraq, sta entrando in azione e sta intensificando la guerra, aprendo la strada a una regionalizzazione dell’offensiva genocida di Israele in corso. L’aviazione italiana non ha partecipato direttamente all’operazione, ma Tajani ha tempestivamente espresso il suo sostegno a USA e Regno Unito.

Le prime reazioni a questa escalation bellica non si sono fatte attendere. L’Iran, il principale sostenitore degli Houthi nella regione, non ha tardato a condannare i bombardamenti, mentre Cina, Turchia e Cremlino hanno puntato il dito contro i Paesi occidentali, condannando rispettivamente la volontà di “creare un bagno di sangue nel Mar Rosso”, secondo Erdogan, e gli attacchi, considerati da Putin “illegittimi”.

I rappresentanti di Hamas hanno affermato che gli attacchi avrebbero avuto “ripercussioni sulla sicurezza regionale”. I leader Houthi, attraverso il loro vice ministro degli Esteri, Hussein Al-Ezzi, hanno affermato che “gli Stati Uniti e la Gran Bretagna devono essere pronti a pagare un prezzo pesante e a sopportare le gravi conseguenze di questa aggressione”. Il movimento ha indetto manifestazioni di massa in Yemen contro la coalizione Prosperity Guardian e gli Stati Uniti, che hanno riunito centinaia di migliaia di persone a Sanaa.

Come osserva il New York Times, “alcuni alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, compresi i Paesi del Golfo come il Qatar e l’Oman, avevano espresso la preoccupazione che gli attacchi agli Houthi potessero sfuggire di mano e trascinare la regione in una guerra più ampia con altri proxy iraniani, come Hezbollah in Libano o le milizie sostenute da Teheran in Siria e Iraq”. Da parte sua, la NATO sostiene che gli attacchi effettuati da Stati Uniti e Regno Unito sono “difensivi”. In realtà, gli attacchi della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno diversi obiettivi. In primo luogo, sostenere il partner strategico Israele, dimostrare il proprio potere nella regione attraverso la deterrenza attiva e inviare un messaggio all’Iran attaccando le milizie Houthi.

Lo “zampino” dell’imperialismo italiano

Oltre ai motivi geopolitici, una delle ragioni dell’attacco è dunque quella di rassicurare il “business internazionale”, e in particolare quello del trasporto merci marittimo Questo settore è dominato da MSC, una multinazionale con un fatturato pari a oltre 80 miliardi di euro, controllata della famiglia Aponte e i cui centri operativi sono a Piano di Sorrento (NA) (mentre le sedi legale e fiscale sono in Svizzera). Gli Aponte sono inoltre proprietari di Italo e hanno vari interessi economici in Italia, configurandosi come uno dei nodi più importanti (sebbene nell’ombra) del capitalismo italiano. L’imperialismo con base a Roma è quindi coinvolto a pieno titolo nella vicenda, non solo in quanto membro della coalizione prosperity guardian. Anzi, almeno in una certa misura la partecipazione a tale coalizione è collegata al ruolo cruciale di alcuni capitalisti di riferimento, come gli Aponte, nella logistica mondiale. Se quindi stavolta l’aviazione italiana non ha partecipato ai bombardamenti, è del tutto probabile che sarà invece protagonista di azioni future.

Con i bombardamenti di venerdì scorso, gli Stati Uniti proseguono il loro coinvolgimento militare nella guerra di Israele a Gaza, facendo rivivere lo spettro di una regionalizzazione del conflitto. Una simile conflagrazione regionale farebbe precipitare l’intera regione in una crisi sociale, politica, umanitaria ed economica e, per estensione, avrebbe implicazioni globali a causa della natura strategica della regione, sia in termini di risorse che di commercio marittimo. L’aumento del 2,5% del prezzo del barile di greggio Brent di questa mattina è uno dei segnali di allarme dell’impatto globale che potrebbe avere una regionalizzazione del conflitto.

Di fronte a questi bombardamenti imperialisti, volti a difendere la guerra di Israele e il genocidio che sta compiendo a Gaza, è essenziale denunciare a gran voce l’intervento in corso e chiedere l’uscita dell’Italia dall’operazione “Prosperity Guardian”. Questo proseguendo il percorso di costruzione di mobilitazione internazionale – in Occidente e nel mondo Arabo in particolare – per la fine della guerra a Gaza, per la liberazione della Palestina e l’allontanamento degli Stati Uniti e di tutte le potenze imperialiste dalla regione.

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