Una sala piena di compagne e compagni al Circolo “C. Berneri” per discutere di una prospettiva socialista in cui inquadrare l’autodeterminazione della Palestina e dell* oppress* di tutto il Medio Oriente. Il dibattito è stato organizzato dall* compagn* del circolo locale de La Voce delle Lotte, dopo la conclusione del loro ciclo di dibattito più recente, ossia “Marx Nel Bosco” (in cui si è discusso del legame profondo tra ecologia e lotta di classe).


Nella serata di questo scorso sette dicembre, a Bologna, si è tenuto “Dalla Palestina alla Rivoluzione Araba”, evento pubblico organizzato dal circolo locale de La Voce delle Lotte, sulla traccia della raccolta di saggi “Palestine: a Socialist Introduction” (edito da Sumaya Awad e brian bean, e pubblicato nel 2020 da Haymarket Books). Alla presentazione hanno partecipato lo stesso brian bean, che occupa un posto da redattore per la rivista socialista Tempest negli Stati Uniti (con la quale l* compagn* american* di Left Voice hanno condiviso più di un momento di confronto e lavoro collettivo), assieme a Shireen Najla Akram-Boshar, anch’essa contributor per la rivista Tempest e per Rampant, un altro outlet dell’estrema sinistra nordamericana, oltre che scrittrice del secondo capitolo di Palestine. Assieme a loro si è confrontato il nostro compagno fiorentino Gianni del Panta, militante rivoluzionario, direttore della rivista Egemonia e ricercatore presso l’Università di Pavia, specializzato sul tema di mobilitazioni popolari in Medio Oriente (con un occhio di riguardo per l’Egitto, paese e contesto necessario da analizzare per capire con maggiore completezza la dinamica storica del movimento di liberazione nazionale della Palestina).

L* relato* hanno preso come assunto di base una concezione marxista dell’imperialismo, come stadio necessario nella catena di sviluppo di un’economia capitalista, per comprendere le basi materiali che oggi costituiscono la condizione fondamentale di oppressione che vive il popolo palestinese, sia esso residente e impiegato all’interno dello stato sionista, nei territori occupati e sotto assedio, o disseminato in varie parti del mondo della diaspora. Si sono dati fondamentali basi storiche alle caratteristiche del movimento di liberazione nazionale palestinese, analizzando l’emergere di al-Fatah come organizzazione riconosciuta internazionalmente, nel quadro della OLP, e la sua progressiva evoluzione in organizzazione dialogante e compiacente con l’occupatore israeliano, fino all’istituzione della corrotta Autorità Nazionale, prodotto di un compromesso diplomatico senza precedenti che ha di fatto consegnato il 78% del territorio palestinese ad Israele. Abbiamo poi avuto modo di vedere come il tradimento costituito dai trattati di Oslo e Jericho-Gaza abbiano favorito l’emergere di Hamas, che è stata posta al vaglio come organizzazione reazionaria e nazionalista, fondamentalmente dipendente, da un punto di vista politico e materiale, da borghesie nazionali che, nei decenni, hanno utilizzato la causa palestinese solo come moneta di scambio per garantirsi posizioni più o meno vantaggiose nella grande partita di spartizione del Medio Oriente, sulle spalle, il sangue e le lacrime delle masse oppresse dei paesi che lo compongono. In quest’ottica, è emersa dal dibattito con chiarezza la posizione che la liberazione della Palestina è solamente pensabile attraverso una sollevazione delle masse operaie di tutto il Medio Oriente (e, in questo, ha aiutato moltissimo l’intervento di Gianni del Panta, con riguardo per l’Egitto, “la seconda guardia carceraria dei palestinesi”). Lo studio del rapporto tra l’establishment egiziano e quello palestinese, e le radici profonde che il movimento di autodeterminazione della Palestina ha avuto negli importanti movimenti sociali che hanno portato alla caduta di regimi in quel paese negli ultimi 20 anni, ci ha mostrato che non possiamo fidarci di nessuna istituzione borghese che oggi amministra uno spicchio della regione, ma che invece soltanto coordinando una risposta politica di masse che già disconoscono tali regimi, e collegandola alla causa palestinese, si può pensare di immaginare un esito positivo per questa lotta che sta galvanizzando il mondo intero. Sul ruolo del movimento internazionale di solidarietà, poi, si è posto l’accento sul bisogno di spezzare i rapporti di normalizzazione con Israele, da dovunque provengano, organizzando sia nei movimenti sociali che nel movimento operaio per sabotare quelle realtà politiche ed economiche che oggi costituiscono la base d’appoggio principale per l’espansione dell’economia sionista (di guerra come “civile”, per quanto civile possa definirsi qualsivoglia aspetto di un’economia basata sull’Apartheid). Un pensiero importante, infine, è stato rivolto verso quelle realtà che provano a opporsi al sionismo dall’interno dello stato sionista: nonostante le apparenti insormontabili difficoltà che tali realtà affrontano nel potersi costituire come opzioni strategicamente efficaci nello smantellamento del sionismo, vanno ciononostante supportate e va estesa la solidarietà a coloro che tentano di organizzare proteste, boicottaggi e prese di consapevolezza sotto l’occhio poliziesco di uno degli stati più militarizzati del mondo.

Mentre nella striscia di Gaza e nella Cisgiordania Occupata la violenza coloniale sionista raggiunge nuovi livelli di brutalità, e mentre istituzioni internazionali continuano a dimostrare la futilità delle proprie dichiarazioni nel proteggere i civili che popolano queste zone, il movimento di solidarietà internazionale vive una fase prolungata di repressione acuta, con perquisizioni arbitrarie, pestaggi da parte della polizia, proibizioni su marce e intere organizzazioni e controlli sempre più ravvicinati ai danni di attivist* e militant*. Nonostante, almeno in Italia, pare che la fase più esplosiva della mobilitazione stia andando a sfumare, le date del 17 Ottobre e del 21 Novembre hanno stimolato in masse di giovani e lavorator* la necessità di un dibattito che vada a disossare la miriade di contraddizioni che ha portato alla situazione a cui assistiamo oggi. Abbiamo bisogno di dibattito su quali assunti politici coordinino la nostra lotta, per ribadire che non esiste possibilità per soluzioni “a due stati”, soprattutto sulle basi dei confini tracciati nel tempo da “rappresentanze” ormai da tempo in crisi profonda; che non esiste un mondo in cui la Palestina possa liberarsi senza il crollo dei regimi che, a fasi alterne, dichiarano supporto per la causa salvo poi iniziare processi di normalizzazione col regime israeliano appena si abbassa di una tacca il livello di attenzione internazionale; che non c’è speranza di emancipazione per i popoli del mondo senza una caduta del sistema internazionale di sfruttamento capitalista e di oppressione imperialista, sua fase più elevata e brutale. Anche per questo, rilanciamo un appello a chiunque sia interessato in tutte le nostre città la possibilità di discutere e coordinarsi ancor di più, e con più forza.

Approfittiamo anche per ringraziare i compagni e le compagne del Circolo Anarchico “Camillo Berneri”, che, oltre ad ospitarci nelle nostre iniziative da quasi un anno, hanno partecipato attivamente al dibattito, con stimoli utili su prospettive antistataliste e antirepressive nel movimento per la liberazione della Palestina, stimoli necessari per un confronto quanto più aperto e trasversale tra realtà anticapitaliste.

A breve uscirà anche in formato audiovideo l’estratto della discussione su tutti i nostri canali!

 

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.