Dopo giorni di manifestazioni di ogni tipo, il governo di destra del presidente Alejandro Giammattei ha deciso di fare diversi passi in dietro e annullare il budget previsto per il 2021. Le misure di austerità proposte, però, sono solo la punta dell’iceberg di una contestazione profondamente radicata nel contesto sociale guatemalteco. E intanto, si parla già di dimissioni.


All’apice di una settimana di proteste, che hanno visto come momento culminante il rogo dell’ingresso delle stanze congressuali, Alan Rodriguez, il presidente del Congresso del Guatemala, ha annunciato che diverse forze politiche a sostegno del presidente Alejandro Giammattei (del partito di centrodestra Vamos) hanno deciso di ritirare il bilancio passato dalla camera all’inizio di questo mese. Una legge di bilancio arrivata durante la risposta agli effetti drammatici degli uragani Eta e Iota, che hanno sconvolto il Centro America durante tutto Novembre, e hanno contribuito ad aggravare la situazione economica e sanitaria del paese, già alle prese con il COVID-19; una legge di bilancio che, però, prevede anche rimborsi spese ben lauti per i legislatori e le grandi aziende, e un ridimensionamento in negativo del budget dedicato al sostentamento degli operatori in prima linea contro il Coronavirus.

Questo è ciò che contestano i lavoratori, le lavoratrici e gli studenti guatemaltechi, che a decine di migliaia, da giorni, occupano le strade e le piazze del paese per chiedere le dimissioni del governo; un governo che, giusto lo scorso anno, aveva sostituito un esecutivo il quale era stato a sua volta contestato per l’ostilità mostrata a una commissione investigativa internazionale atta a indagare la corruzione rampante che da decenni affligge i circoli amministrativi del piccolo paese meso-americano. La costante, di questi due momenti storici contraddistinti da due diversi governi nello spazio relativamente recente di un anno, è la solidità del legame tra governo e “opposizione ufficiale”, la quale ha affermato che “il presidente del congresso non avrebbe il potere di annullare una legge di bilancio approvata a larga maggioranza dal parlamento”, in un disperato tentativo di difendere la misura economica più recente; altresì, l’unità e la prontezza combattiva del popolo del Guatemala di fronte agli abusi perpetrati dai “rappresentanti” si sono dimostrate decisive nel delineare l’andamento delle vicende politiche del paese. Il congelamento dei fondi per combattere il COVID e di quelli per risanare la devastazione al sistema educativo nazionale hanno mandato ancora una volta su tutte le furie un popolo che da anni si vede passare davanti interessi specificamente tessuti per sopperire alle esigenze della borghesia nazionale come di quella internazionale, da partiti di centro destra, come da quelli di centro sinistra: fin dagli anni della repressione dei movimenti indigenisti, come dopo il cessate il fuoco tra governo e la guerriglia delle URNG-MAIZ, il paese è anche stato uno dei principali centri sia di emigrazione del continente, sia di controrganizzazione comunitaria indigena, come nel caso della lotta degli Xinka contro la grande miniera d’argento della multinazionale canadese Pan American Silver; una lotta che va ancora avanti e ottiene, progressivamente, sempre più trazione, anche per la concomitanza con questa nuova ondata di proteste.

L’esasperazione del popolo guatemalteco potrebbe portare alla caduta di un altro esecutivo, dopo che il vicepresidente Guillermo Castillo avrebbe affermato che lui e il presidente Giammattei avrebbero fatto bene a dimettersi, anche a seguito del report della Inter-American Commission on Human Rights, il quale affermerebbe che le violazioni dei diritti umani nel corso delle proteste, la vasta maggioranza delle quali contro manifestanti pacifici, potrebbe costituire precedente legale di investigazione per il governo; tuttavia, niente di tutto ciò che chiede, oggi, “la generazione con la quale non bisogna fottere” (testuali parole rivendicate dai manifestanti) sarà ottenibile attraverso un ulteriore “passaggio di testimone” tra un partito borghese e un altro: qualora i movimenti delle persone indigene, i sindacati, le masse di lavoratori urbani ed industriali come quelle di campesinos saranno in grado di convergere per chiedere una fondamentale ridiscussione del sistema regnante in Guatemala (come nel resto del mondo), e prendere in mano le redini di una situazione già catastrofica, potremmo assistere a un altro tassello importante negli sviluppi recenti della lotta di classe in Latinoamerica: lotta di classe, la quale, oggi gode di rinnovata forza e convinzione, sospinta da settori di ogni tipo e da influenze lontane anche dalle spinte fochista e guerrigliere che ormai poco sono in grado di esprimere, a distanza di decenni dai loro fasti gloriosi. In Guatemala, ad esempio, nonostante la repressione violentissima alle guerriglie della già menzionata UNRG-MAIZ, sarebbe impensabile un “risorgimento” di una fase terroristica, anche, se non altro, per l’impatto psicologico che la guerriglia, al centro di decenni che hanno dato al paese quasi 200.000 morti, ha impresso nella mentalità collettiva. Le forme di lotta a cui assistiamo oggi sono nuove, mosse da rinnovato fervore dei giovani, dei precari e delle comunità indigene, ma anche delle donne, che attraverso il movimento femminista internazionale, specie nell’America Latina, oggi occupano un ruolo centrale nell’organizzazione sociale e nella risposta collettiva alle violenze dei sistemi economici decennali che hanno voluto dire morte e devastazione per interi paesi.

Nelle più ottimistiche prospettive, potrebbe trattarsi di un movimento pan-americano, intersezionale, internazionalista, potenzialmente rivoluzionario, capace di evolvere e portare a nuove vette di trasformazione politica e sociale un continente che, da sempre, ha faticato a piegare la testa di fronte alla violenza capitalista approfittatrice, da ogni lato e con ogni faccia si presentasse. Cile, Perù, Messico, Argentina, Bolivia e ora anche il Guatemala, che, per certi aspetti, era arrivato anche un po’ in anticipo. Solo la storia sarà in grado di dire chi avrà la meglio; intanto, rivolgiamo a chi lotta per le strade di Guatemala City e di tutto il paese i nostri migliori auguri.

 

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.