Un genocidio in cui sono stati uccisi non solo milioni di armeni, ma anche altri membri delle minoranze che vivevano nell’Impero Ottomano. Un processo che è stato perpetrato con un’organizzazione moderna e pianificata e che ha permesso la creazione dell’attuale Stato turco.


Oggi, 24 aprile, si tiene la Giornata Internazionale del ricordo del genocidio armeno.

Oltre un secolo dopo la sua attuazione, il riconoscimento del genocidio da parte dello Stato turco è ancora oggi in discussione. In tutto questo tempo, sono emerse molteplici prove per cui non c’è dubbio che ciò che accadde durante quel processo fu un piano sistematico organizzato dal Partito dell’Unione e del Progresso (Ittihad ve Terakki Cemiteyi, noto anche come Partito dei Giovani Turchi), in cui le pratiche genocide servirono come base per l’odierno Stato turco moderno, espellendo o annientando le minoranze che non facevano parte dell’identità egemonica turca desiderata.

Il negazionismo dello Stato turco continua a perpetuarsi oggi. Ma questa disputa per il riconoscimento rende anche molte analisi parziali, perpetuando in ultima analisi una rivittimizzazione di coloro che hanno subito le conseguenze di queste pratiche genocide.

In particolare, parlare di genocidio armeno per spiegare questo processo è impreciso, poiché il piano era quello di eliminare tutte le minoranze che vivevano nell’Impero Ottomano in declino e che andavano contro l’identità “ideale” proclamata dal governo. Pertanto, non si trattò solo di un genocidio della popolazione armena, ma anche dei greci e degli assiri, degli albanesi, dei bosniaci e persino delle minoranze musulmane come gli arabi e i curdi, che inizialmente erano alleati dei turchi e che alla fine furono perseguitati e massacrati. Sono proprio questi eventi a dimostrare che ciò che gli autori del genocidio perseguirono non faceva parte di una “guerra santa” o di un processo di barbarie “spontanea”. Non si trattava nemmeno di “eccessi” nel contesto della Prima Guerra Mondiale, come vorrebbe la storia ufficiale turca.

Il genocidio fu perpetrato con una pianificazione moderna che, a fronte della dissoluzione dell’Impero Ottomano, in cui gli Stati e i confini erano in costante disputa, cercava di omogeneizzare un tipo di identità che avrebbe caratterizzato il territorio (soprattutto in Anatolia, il cuore dell’impero all’epoca) e che avrebbe costituito la base di quello che sarebbe poi diventato il moderno stato turco. In questo senso, l’organizzazione e l’attuazione furono portate avanti dal governo e comprendevano la dispersione e il trasferimento dei musulmani non turchi (soprattutto curdi e arabi) in aree in cui la popolazione turca era maggioritaria e l’annientamento (con il pretesto dell’espulsione dal territorio) delle minoranze cristiane, ovvero principalmente armeni, greci e assiri.

L’impero ottomano e la Bulgaria si unirono alla Triplice Alleanza (impero austro-ungarico e impero tedesco) durante la Prima Guerra Mondiale.

L’organizzazione socio-economica di queste minoranze godeva di un certo grado di autonomia dal governo centrale. Questi popoli, soprattutto nelle aree rurali, erano raggruppati in quartieri separati sotto il sistema dei vilayet o millet. Si trattava di organismi autonomi in politica, economia, religione, cultura e vita sociale, sotto l’autorità del Patriarca di Costantinopoli nel caso degli armeni, nominato dal Sultano. Allo stesso tempo, un elemento importante era l’aspetto economico, dove il capitalismo stava avanzando in nuovi territori e dove le relazioni produttive quasi feudali in alcune regioni dell’impero si scontravano con una moderna borghesia turca che stava crescendo nelle principali città.

Furono proprio i millet e vilayet, con la loro organizzazione, a contrastare un’economia gestita da uno Stato centralizzato. Il genocidio fu quindi la forma assunta da un piano di dominazione politica promosso dagli ideologi del Movimento dei Giovani Turchi per garantire la sovranità territoriale e assicurare l’uso delle risorse fisiche e umane per un processo di accumulazione capitalistica.

Gli armeni erano la minoranza principale, con una popolazione di circa due milioni di persone prima dell’inizio del genocidio, occupando territori strategici, soprattutto nel cuore dell’impero e al confine con la Russia, con una forte organizzazione e anche con propri movimenti indipendentisti. Principalmente il Dashnak, la Federazione Rivoluzionaria Armena, che cercava l’indipendenza degli armeni (fece persino parte della Seconda Internazionale) e che, sebbene non fosse massiccia, fu la prima ad essere colpita dal governo turco e usata come scusa per giustificare i massacri perpetrati in seguito dal regime ittihadista [dalla ideologia, l’ittihadismo, che mosse i nazionalisti turchi del tempo, ndt].

Così si trucidarono le rivolte di queste minoranze che chiedevano parità di diritti con i cittadini turchi; si annientarono i soldati che facevano parte dell’esercito dell’impero; si costrinsero migliaia di cristiani a convertirsi all’Islam; si espropriarono le proprietà delle comunità cristiane per rafforzare la nascente borghesia turca; e infine le deportazioni (in cui lunghe carovane senza riparo né cibo facevano camminare migliaia di persone nel deserto verso un luogo preciso, senza altro obiettivo che la morte) e l’annientamento delle suddette popolazioni, che coinvolse tutti i corpi armati disponibili, dalle bande paramilitari all’esercito e alla polizia locale. Quasi 2 milioni di armeni, 250.000 greci pontici e altri 250.000 assiri furono massacrati, oltre alle altre minoranze menzionate e alle centinaia di migliaia di persone che furono deportate o fuggirono in altre regioni.

La formazione del moderno Stato turco richiese quindi una riformulazione delle relazioni sociali nel territorio conteso (nel contesto della Prima Guerra Mondiale e prima ancora delle guerre balcaniche) con la cristallizzazione di un’identità egemonica turca omogenea, annientando materialmente ed emblematicamente le minoranze che abitavano l’Impero Ottomano. Come altri genocidi, questo processo, che è noto come genocidio armeno, anche se sarebbe più corretto parlare di genocidio ittihadista (così come si parla di genocidio nazista e non solo di genocidio ebraico), cercò, i eliminare il pericoloso “altro”, cancellando persino dalla memoria collettiva la storia di queste minoranze.

Tutto ciò ha come conseguenza la necessità di lottare, ancora oggi, per poter descrivere l’intero processo come ciò che realmente fu: un genocidio che ha espulso e annientato milioni di persone che abitavano il territorio dello stesso impero che li perseguiva.

 

Patricio Abalos Testoni

Traduzione da La Izquierda Diario

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