L’irrigidimento repressivo in Tunisia non colpisce solo gli islamisti. Il suo vero obiettivo è quello di fermare le lotte sociali per far passare le politiche di austerità dell’FMI e tranquillizzare la classe dominante tunisina (e i governi occidentali). L’arresto del compagno Ghassen Ben Khalifa lo dimostra.
Oggi pomeriggio (06 settembre) dei poliziotti in borghese hanno fatto irruzione nell’abitazione di Ghassen Ben Khalifa, arrestandolo e sequestrandogli il computer. Ghassen è uno storico militante comunista, animatore del giornale online Inihyez (prendere parte in arabo), il quale rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama della sinistra radicale tunisina.
Negli ultimi dieci anni essa si è infatti dimostrata subalterna all’ideologia della “transizione democratica”, disertando le decine di migliaia di scioperi e lotte sociali che hanno animato il periodo post-Ben Ali e concentrandosi quasi esclusivamente sulla conquista di seggi in parlamento. In un contesto polarizzato tra Islam politico e partiti ‘secolari’, questa strategia non ha pagato, come dimostra il tracollo sullo stesso terreno elettorale del Fronte Popolare nelle legislative del 2019, quando la coalizione di partiti marxisti tunisina è praticamente scomparsa dalla scena (dopo aver preso oltre il 7% nel 2014). Privi di un’alternativa politica, centinaia di attivisti si sono demoralizzati o sono stati assorbiti dalle ONG (spesso finanziate dall’estero) con il risultato di rafforzare ulteriormente il processo di istituzionalizzazione della sinistra radicale e allargare il golfo tra politica e lotte dei giovani e dei lavoratori.
Inhyez nasce nel 2017 proprio per opporsi a questo ‘movimento regressivo’, a partire da una lettura della “transizione democratica” come processo di normalizzazione delle potenzialità rivoluzionarie delle mobilitazioni di massa del 2011. In questo solco, la priorità del giornale è stata quella di ricostruire un’analisi marxista della situazione politica ed economica del paese, in parallelo a un lavoro di visibilizzazione e sostegno alle lotte dei lavorator* e delle masse marginalizzate. Coerentemente con questa impostazione e in opposizione alla pratica adottata da molte ONG e media (anche progressisti) tunisini emersi dopo la ‘rivoluzione’, Inhyez rifiuta aiuti finanziari da organizzazioni della ‘società civile’ e delle istituzioni internazionali, tesi – se non direttamente ad influenzare l’agenda – a consolidare l’idea che l’unico modo di far politica sia produrre report e fare pressioni sulle istituzioni.
Recentemente, i compagni hanno realizzato analisi importanti della torsione autoritaria in corso nel paese, criticando la subalternità all’imperialismo e in ultima analisi alla classe dominante del presidente Kais Saied. Nel maggio scorso, in barba agli strali giornalieri di quest’ultimo contro le ingerenze straniere, l’esercito tunisino partecipava a un’esercitazione NATO nel mediterraneo (insieme a truppe dell’entità sionista!). In queste settimane, inoltre, sono in corso di finalizzazione nuovi accordi con il fondo monetario internazionale, nonostante l’ ‘austerity’ applicata dai governi a partecipazione islamista abbia favorito il sostegno popolare alla sospensione del parlamento dominato da Ennadha da parte del Capo dello Stato un anno fa. La continuità sul piano delle politiche economiche è stata peraltro sancita dal mantenimento del pareggio di bilancio nella nuova costituzione iper-presidenzialista fortemente voluta da Kais Saied e approvata a luglio.
In questo contesto, la sinistra radicale tunisina si divide tra chi impugna la difesa astratta della “transizione democratica” (finendo per confondersi con gli odiatissimi islamisti) e settori che assecondano la retorica anti-Ennadha del presidente, in linea con una tradizione perversa dello stalinismo Arabo che vede nell’integralismo islamico una forma di fascismo, o espressione di residui pre-capitalisti. I compagni di Inhyez propongono invece una posizione di indipendenza di classe, denunciando sia la natura di classe della svolta bonapartista in corso, sia i legami con l’imperialismo e l’attenzione agli interessi della borghesia tunisina manifestati nell’ultimo decennio dagli islamisti.
Non sono ancora chiare le accuse rivolte dal governo contro Ghassen, ma è chiaro che il compagno è vittima dell’esigenza di stringere la cinghia della repressione non solo contro gli islamisti, ma anche contro le voci critiche, e in particolare quelle che mettono in campo una critica radicale. Ghassen non è il primo a essere colpito dalla repressione. Recentemente, infatti, anche Amel Kalaoui, sindaca progressista di Tabarka, ha subito una settimana di detenzione provvisoria per essersi opposta all’oligarchia della sua città, mentre più in generale il ricorso alla giustizia militare è aumentato sensibilmente dal colpo di mano del 25 luglio 2021. Nel frattempo si avvicina l’approvazione di nuove misure come il taglio dei salari ai dipendenti pubblici e dei servizi sociali, insieme a possibili privatizzazioni e concessioni al capitale internazionale, nel bel mezzo della più grave crisi della storia del paese. Tutto questo, non solo nell’interesse della classe dominante locale, ma anche del capitale francese, tedesco e italiano che dominano l’economia della Tunisia tramite i propri investimenti esteri e con la mediazione dell’Unione Europea (il principale creditore del paese insieme al Fondo Monetario Internazionale). Per questo motivo, anche dall’Italia e dall’Europa più in generale non possiamo girarci dall’altra parte, ma dobbiamo metter in campo forme di solidarietà internazionalista.
No alle politiche di austerità imposte al popolo tunisino con il concorso dell’imperialismo!
No alla repressione, abbasso Kais Saied!
Libertà immediata per Ghassen!
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