L’80% dei francesi è contrario alla riforma del sistema pensionistico di Macron. La proposta di legge prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. Si tratta di una politica centrale del secondo mandato di Macron che incontrerà una forte resistenza nelle strade.
Martedì 10 gennaio scorso il governo francese ha varato un’impopolare riforma delle pensioni, la principale misura del secondo mandato del presidente Emmanuel Macron, che estende l’età minima di pensionamento da 62 a 64 anni.
Questo annuncio, che il liberale Macron ha definito “la madre di tutte le riforme”, promette un periodo di tensione nelle strade – i sindacati hanno già annunciato un primo sciopero per domani 19 gennaio – e anche conflitti parlamentari. In effetti, questa riforma è uno dei fiori all’occhiello di Macron che non è riuscito a portare avanti nel suo primo mandato, con una significativa resistenza nelle strade, ed è per questo che sta cercando di andare avanti ora. Anche se l’80% dei francesi è contrario: non sembra che sarà un compito facile.
La premier Élisabeth Borne ha presentato le grandi linee di questa riforma in una lunga conferenza stampa il 10 gennaio. Con il pretesto del deficit pensionistico, si vuole innalzare l’età di pensionamento a livelli che, nel concreto, per alcuni significa lavorare fino alla morte.
L’obiettivo è che nel prossimo periodo il pensionamento dei lavoratori venga ritardato di tre mesi di anno in anno, dal 2023 fino al 2030, quando l’allungamento di due anni del periodo di pensionamento sarà completato. Così, la prima generazione in questione, i nati nel 1961 che si preparano ad andare in pensione nel 2023, dovranno effettivamente andare in pensione a 62 anni e 3 mesi dal 1° settembre, mentre i nati nel 1968 dovranno andare in pensione a 64 anni, terminando la riforma nel 2030. L’età minima di pensionamento viene così posticipata di 3 mesi da quest’anno, di 6 mesi in un anno, e tutti i nati dopo il 1968 dovranno lavorare almeno 2 anni in più.
Allo stesso tempo, il periodo di contribuzione viene esteso; mentre la vigente legge Touraine prevede di aumentare gradualmente il periodo di contribuzione fino a 43 anni per la generazione nata nel 1973, questa disposizione si applicherà prima: i lavoratori nati nel 1965 dovranno lavorare per 43 anni per poter rivendicare il diritto alla pensione completa. Se gli anni di contribuzione sono inferiori a questo periodo, i lavoratori subiranno una serie di detrazioni, in proporzione al numero di trimestri che non sono riusciti a completare.
Con questa riforma, il governo attacca frontalmente tutti i lavoratori, rivolgendosi soprattutto ai più precari. Infatti, all’età di 64 anni, il 29% dei lavoratori più poveri è già morto. Allo stesso modo, logorati da una vita di lavoro, la maggior parte dei lavoratori sa di non poter più lavorare fino a quell’età. Vincent Duse, un operaio in pensione, ha riassunto la situazione: “dopo i 60 anni, continuare a far lavorare gli operai alla catena di montaggio è un tentativo di omicidio”.
Con questa riforma si gioca il futuro politico di Macron, che sa che è essa ampiamente ripudiata dalla popolazione. Per questo motivo il suo obiettivo è quello di farla passare il più rapidamente possibile. Dal 23 gennaio, sarà proposto al Consiglio dei Ministri sotto forma di un progetto di riforma del finanziamento della sicurezza sociale, che sarà discusso dall’Assemblea nazionale a partire dal 6 febbraio. In questo modo, il governo vuole evitare lunghi dibattiti all’Assemblea Nazionale e mantenere la possibilità di utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione, che consente al governo di sospendere il dibattito parlamentare, e considerare la riforma approvata a meno che non venga presentata una mozione di censura contro di essa entro 24 ore, o la limitazione dei tempi parlamentari prevista dall’articolo 47.1 della Costituzione, il cui uso è illimitato per i testi di bilancio.
Per preparare il dibattito parlamentare, la premier Elisabeth Borne ha cercato di presentare la sua riforma come il frutto di un compromesso. Ha quindi moltiplicato le allusioni ai Repubblicani [il partito di centro-destra guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy], sul cui voto a favore conto per far approvare la legge, e ha ripreso alcune delle loro proposte, in particolare sulla pensione minima, che sarà applicata retroattivamente ai pensionati attivi. Per uscire dall’isolamento, il governo ha anche cercato, con alcune delle nuove proposte, di dare un profilo sociale alla riforma per calmare l’opposizione della CFDT, il principale sindacato “riformista” conciliatore, che aveva sostenuto la riforma delle pensioni di Macron nel 2019.
Il governo di Macron è determinato ad agire rapidamente e con fermezza. Alcune centrali sindacali hanno già indetto una prima giornata di sciopero intercategoriale [cioè di più settori di lavoratori] prevista per il 19 gennaio. Questa data va presa solo come un punto di partenza per iniziare a costruire la mobilitazione e il dibattito dal basso in ogni luogo di lavoro, quartiere, scuola o università, e per preparare un piano di lotta e uno sciopero a tempo indeterminato all’altezza dell’attacco che Macron intende sferrare contro i lavoratori e il popolo francese.
Redazione internazionale – La Izquierda Diario
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