Durante questo fine settimana del 18, 19 e 20 a Napoli si terrà uno dei diversi appuntamenti su suolo italiano del G7. Il tema di questo appuntamento è la difesa, che possiamo ben intendere in che modo questa venga intesa da alcune delle potenze mondiali con le mani più sporche di sangue della storia essendo, tra l’altro, le più avanzate in fatto di armamenti.
A fronte del genocidio palestinese e i bombardamenti indiscriminati di Israele a cui questi paesi partecipano con l’invio di armi; a fronte della spada di Damocle messa sulla testa della città di Napoli con l’autonomia differenziata; a fronte delle mire e interessi imperialisti che questi incontri portano con sé ripudiamo come collettivo Chiamata alle Arti ogni sua azione e siamo fermamente convinti che gli unici che possono difendere veramente la cultura come bene dell’umanità e liberarla dal giogo capitalista siamo noi student3 e lavorator3 del mondo dell’arte, insieme.

 

G7 a Napoli: dalla difesa della cultura alla cultura della difesa

Fine mese scorso, tra il 20 e il 21 Settembre, in concomitanza di uno dei rituali più importanti per la cultura napoletana -il miracolo del sangue di San Gennaro-, sul nostro territorio si è tenuto il G7 della cultura in cui si è discusso principalmente di due elementi: il primo è stato uno sguardo ecosostenibile ai beni culturali, definendo “la cultura, bene comune dell’umanità, responsabilità comune”; il secondo centrato sulla valorizzazione del patrimonio culturale in africa “sottolineando che la cultura è essenziale per l’identità e la prosperità delle nostre nazioni, popoli e comunità.”

Noi invece vorremmo sottolineare l’ipocrisia di questo incontro. Parlare di “difesa del patrimonio culturale” in un paese dove i fondi investiti per i beni culturali sono 94 milioni e di 50 miliardi per l’istruzione (che si prevede andranno sempre più ridotti nei prossimi anni) a fronte dei 29 miliardi di euro investiti solo nella spesa militare, evidenzia che la difesa che si vuole mettere in atto è ben altra. Inoltre ci sembra importante sottolineare la doppia ipocrisia di tenere un incontro simile nel sud Italia dopo aver approvato l’autonomia differenziata, che oltre ad affossare la sanità e i servizi pubblici, vedrà decurtati i fondi destinati proprio ai beni culturali, accelerando un processo di privatizzazione di questi settori già massivamente colpiti dalle cessioni ad enti privati. come ci insegna proprio la realtà degli scavi di Pompei- luogo attraversato dallo stesso G7- in cui i finanziamenti privati sono diventati indispensabili alla sua sostenibilità.

Privatizzazione significa meno tutele, perché per recuperare fondi e fare profitto, si sottomette il bene artistico alla speculazione ai danni della preservazione dei reperti.

Ma ancor di più, l’obiettivo specifico dell’incontro era centrato sulla sostenibilità ecologica della conservazione dei patrimoni culturali, ma è ironico detto da uno dei paesi europei più negazionisti sul cambiamento climatico. Per di più che le sue prospettive di transizione si basano sullo sfruttamento del territorio dei paesi ex colonizzati. Infatti, il piano Mattei prevede un investimento nell’ elettrificazione dell’Africa attraverso fonti naturali essendo uno dei territori più favorevoli al fotovoltaico (il 60% delle aree idonee) e guarda caso uno dei continenti con il più alto tasso di sfruttamento della manodopera a basso costo.

Capiamo così perché un punto nevralgico del G7 è proprio attorno alla posizione del continente africano. Ci chiediamo come i principali paesi imperialisti, tra cui Francia e Italia in testa, complici di invii di armi, genocidi, instabilità politica e povertà su tutto il continente possano rivendicare di sostenere la cultura e l’identità di popoli a cui è stata ed è ancora oggi sottratto il diritto all’esistenza. Come sia possibile soprassedere sulla vera storia di quelle popolazioni che obbligatoriamente passa anche, se non soprattutto, per le violenze colonialiste che gli stati imperialisti occidentali hanno perpetrato su di esse. O questi incontri vincolano “i sostegni economici” a una riscrittura della storia che ripulisce il capitalismo del suo peccato originale, l’imperialismo?

Perché questo passaggio è importante per pensare a quello che succede invece oggi, perché a pochi giorni di distanza sempre nel nostro territorio si è convocata un’ulteriore riunione G7, questa volta a tema difesa. Come abbiamo visto in realtà la retorica della difesa questo governo non l’abbandona proprio mai, nemmeno quando si parla di cultura e non di armi, ma non ci sorprende; i partiti di destra utilizzano le retoriche di difesa per mettere le persone in una posizione di paura così da poter far leva sui sentimenti più reazionari e populisti spostando l’attenzione su problemi minori, relativi, come può essere quello dei processi migratori o nel nostra caso il “terrore dell’ideologia gender” mentre si smantella -ancor di più- il servizio pubblico. Ricordiamoci che a settembre invece di mettere in atto manovre che cercassero di andare incontro l’integrazione e l’accettazione nelle scuole è stata approvata, e quindi votata da tutta la maggioranza, una risoluzione proposta dalla Lega nella commissione Cultura, Scienza e Istruzione che ha come obiettivo difendere i bambini dalle politiche LGBTQIA+ chiamando ad alla neutralità degli insegnamenti.

Questo legame tra cultura e difesa ci sembra importante per chiarire come poi si arrivi a proposte di leggi come quella del ddl 1660 in cui non si criminalizzano più “azioni violente in segno di protesta” ma anche la semplice opposizione pacifica. Non è un caso che questo disegno di legge avvenga dopo i fatti accaduti con le azioni di Ultima Generazione che hanno come metodo proprio quello di sensibilizzare attraverso la cultura, o la sua deturpazione simbolica, l’urgenza che ci impone la devastazione ecologica; ma anche dei movimenti No Tav – No Muos che solo con la presenza permanente di corpi si oppongono alla distruzione di ecosistemi in nome di mostri industriali – guarda caso questo diventa un gran problema per un governo che si vanta di fare progetti architettonici rivoluzionari, come il famoso ponte sullo stretto di Messina, o alte velocità da invidia a tutta Europa. Ma è importante sottolineare che fino ad oggi in contesti di manifestazioni, presidi, blocchi stradali pacifici chi ci ha sempre rimesso la vita sono sempre stati chi stava difendendo un proprio diritto, nessun altro, né un automobilista infastidito che doveva andare a lavoro, né un agente stradale, tantomeno un celerino; come Adil Belakhdim che a soli 37 anni muore investito perché un padrone della logistica decide di mandare un camion a forzare lo sciopero che si teneva davanti ai depositi LIDL.

Non dobbiamo dimenticare che il disegno di legge è solo un ulteriore passaggio dell’inasprimento della repressione, già la commissione di garanzia degli scioperi che nei servizi pubblici impedisce formalmente la formazione di giornate di sciopero se non molto distanti tra loro ha nella pratica impedito la generalizzazione della lotta su temi come quello della guerra e della repressione.

Solo attraverso questi elementi possiamo leggere l’incontro che si terrà in questi giorni e in che logica si definisce “difesa”.

Ma non siamo soli, ci accompagnano paesi come la Francia che durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni hanno eseguito circa 500 fermi, innumerevoli feriti tra cui diversi con ferite permanente come la perdita di un occhio; o la Germania che ha reso illegale esprimere solidarietà, di qualsiasi tipo al popolo palestinese commettendo atti di violenza poliziesca brutali pur renderla esecutiva… di qualche giorno fa il video di diversi poliziotti che rincorrono un bambino con la bandiera palestinese in mano portandolo via scortato.

Il G7 per la difesa a Napoli, dal genocidio palestinese alle città piegate dalla gentrificazione.

Un dato riporta l’aumento della spesa militare dei paesi al vertice del G7 fino a 1,2 trilioni di dollari nell’ ultimo anno. Somma equivalente a 62 volte ciò che è stato speso per tutti gli aiuti umanitari in risposta a conflitti e catastrofi. Insomma, i governi non hanno mai investito tanto denaro per la guerra, e la sua diffusione a macchia d’ olio ne è la diretta conseguenza.
L’ Italia si colloca al quartultimo posto in Europa per percentuale di pil investita per il segmento culturale, e per quel che riguarda la percentuale in spese pubbliche per l’istruzione e sanità ancora giace ben sotto la media europea.
Non è un caso, inoltre, che già oggi quasi il 70% delle spese militari italiane siano mirate alla protezione dei viadotti gas e del petrolio, laddove “il commercio mondiale di gas e petrolio” secondo quanto riportato dall’ IEA (international energy agency) “è destinato a concentrarsi sempre più sui flussi tra Asia e Medioriente” oggi angolo di mondo considerato dall’ occidente esclusivamente per ciò che riguarda l’approvvigionamento energetico, ma abbandonato alla follia omicida di uno stato guidato da un leader massacratore. A conferma di ciò, infatti, l’atteggiamento del tutto difforme dell’occidente e, in particolare, degli stati uniti tra il trattamento riserbato all’ Ucraina e la Palestina, anche dal punto di vista culturale.


“Condanniamo fermamente la distruzione e l’appropriazione indebita del patrimonio culturale in situazioni di conflitti e crisi. Tali atti indeboliscono le basi della coesistenza pacifica delle società, contribuendo a cancellare le identità culturali dei paesi, incidendo sui diritti umani, compresi i diritti culturali, economici e sociali, privando l’intera società di fonti insostituibili di significato, identità, conoscenza, resilienza e benefici economici. Ricordiamo l’importanza di incoraggiare una più ampia ratifica e un’efficace attuazione degli strumenti internazionali rilevanti esistenti per la salvaguardia del patrimonio culturale, tra cui la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (1954). Adotteremo un approccio inclusivo alla protezione e alla promozione delle espressioni culturali e garantiremo che le diverse voci delle nostre comunità e dei nostri popoli, in particolare quelli emarginati, siano coinvolti nei processi di decisione sulle politiche.”


Parole bellissime e condivisibili quelle riportate nei resoconti dell’evento dai partecipanti del G7, peccato che profondamente ipocrite.
Se infatti a tutela della cultura e identità ucraina, Washington ha stanziato ben 10 milioni di dollari, regna il massimo silenzio mentre Israele, oltre agli almeno 41870 morti negli ultimi mesi di cui il 69% bambini e donne, distrugge anche l’arte e la memoria palestinese. Due terzi degli edifici a Gaza sono stati distrutti tra cui circa una sessantina siti storici, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite. Questo scempio prende il nome di Urbicidio, letteralmente violenza contro le città, l’ennesimo atto di meschinità volto ad annientare irrimediabilmente i valori identitari, sociali e culturali del popolo colpito. Ma le contraddizioni dell’ultimo G7 non finiscono qui.


“Ricordiamo l’importanza di salvaguardare le risorse culturali dalla distruzione o dal danneggiamento deliberati, dalla violazione dei diritti di proprietà intellettuale, compresi diritti d’autore e brevetti, dalla censura e dalle limitazioni alla libertà artistica”.

Come mai, infatti, principi sacrosanti come i succitati non troveranno più riscontro nell’impianto sociale dettato dal governo vigente nel nostro paese a partire dal ddl 1660, approvato il 18 settembre alla camera, il cosiddetto decreto liberticida “anti Gandhi”. Per il quale oltre ad un penalismo autoritario che criminalizza le persone in condizioni di marginalità sociale; basti pensare al divieto d’acquisto di una scheda sim per chi non ha permesso di soggiorno. Tu non blocchi il flusso migratorio in questo modo, non disincentivi gente disperata dall’affrontare viaggi fatali per raggiungere una vita normale altrove, semplicemente neghi loro la possibilità di comunicare con i familiari e con i cari. Disumanizzi queste persone.
Questo vietando e punendo con l’introduzione di 13 nuovi reati ogni manifestazione di dissenso, incluse quelle pacifiche, perfino la “propaganda delle lotte” diventa punibile fino a 6 anni, considerata “terrorismo della parola”.

Come non riagganciare il tema della cultura a quello del turismo, anche in relazione al G7 che su tale argomento si terrà a Firenze dal 13 al 15 novembre.
Ebbene negli ultimi anni stiamo assistendo ad un processo che alla legittima esigenza di una cultura disponibile per tutti sostituisce il ben più commerciale principio di un turismo di massa che implica inevitabili ripercussioni sul tessuto civile e sociale, in particolare nei centri storici delle nostre città.
Ora seppur consapevoli che tali processi sono frutto di contingenze storiche che scavalcano la volontà dei singoli è pur vero che si presenta più che mai necessaria una capacità di governo di questi stessi processi. Basti pensare al fenomeno saliente anche nel nostro capoluogo dell’overturism considerato come una sfida arrivista più che un reale problema. A partire da uno degli effetti più evidenti quale l’impennata incontrollata dei prezzi d’ affitto delle zone più frequentate dai turisti dove il numero di case vacanza e B&B ha raggiunto le 7500 unità solo a Napoli.
L’effetto conseguente coincide con un numero sempre minore di appartamenti disponibili per famiglie e studenti fuorisede. Realtà difficilmente evitabile ma sicuramente controllabile da parte di provvedimenti che ne limitino l’espansione selvaggia. Tema che tocca anche gli esercizi commerciali di suddette zone in cui va limitata la presenza di sola ristorazione a vantaggio di una più equilibrata alternanza con punti vendita di altro genere come di botteghe d’arte d’artigianato.
Una battaglia non facile visto il modo in cui Lorenzo Fagnoni, presidente della Property Managers Italia, appoggiato dal ministro al turismo, ha definito il fronteggiamento dell’overturism come “una caccia alle streghe contro le imprese e la proprietà privata”.

 

Opporremo la nostra arte alla vostra guerra

Ma sappiamo bene che la partita ad oggi, tra l’assenza di movimenti sociali forti e risposte dei lavoratori dal basso, non si sta giocando qui; e a saperlo bene sono anche loro. Infatti, la difesa a cui si riferiscono è la difesa dei propri interessi economici e di egemonia politica imposta attraverso la forza delle armi nei paesi periferici. La difesa a cui si riferiscono non è lontana da quella che oggi Israele perpetra con bombardamenti indiscriminati in Medioriente e il feroce genocidio del popolo palestinese in nome di un presunto attacco ai valori democratici. Seppur non siamo vicini a un intervento diretto della Nato il supporto economico, anche solo attraverso l’invio di armi come nel caso italiano, ne fa un prosecutore morale ma anche complice diretto.

Nonostante ciò, momenti di formazione, consapevolezza politica e approfondimento sono indispensabili per organizzare un’alternativa a questo modo di intendere la difesa, per sviluppare un discorso comune che lotti contro la paura e ridia potere alle persone, potere di cambiamento, di opposizione che passi per l3 student3 fino all3 lavorator3. Che passi per la difesa dei posti di lavoro, dei luoghi di studio, ai diritti, ma che punti a cambiare un sistema capitalista che opprime e sfrutta i più deboli, queste siano persone o intere popolazioni, in nome di una sola difesa quella di accumulare profitti anche se significa devastazione e guerra.
Siamo convinti che i luoghi del sapere, soprattutto quelli di produzione artistica possano essere fondamentali nella nascita di una controcultura a quella della guerra e del capitalismo che la porta avanti; per questo crediamo profondamente anche nel ruolo dell’artista politico che con la capacità di aprire e aprirsi alla realtà riesce a comunicare a tutt3 la crudeltà di un mondo soggiogato dagli interessi di pochi ma che contemporaneamente riesce ad immaginarsi società diverse, migliori, ridando una visione a ciò che per molti è solo ancora utopia.  

 

Chiamata Alle Arti