La morte del giovane Lorenzo Parelli, di Udine, mentre svolgeva un’attività di “formazione professionale”, ha scosso profondamente la coscienza di una gran parte della popolazione e ha sollevato una nuova, importante discussione sulla natura di questi programmi e dell’alternanza scuola-lavoro (PCTO), introdotta nel 2015 insieme ad altre importanti trasformazioni del panorama scolastico nel pacchetto di riforma conosciuto come la “Buona Scuola” dell’allora governo Renzi.

Questa nefandezza, tuttavia, non è un evento isolato nel vuoto, ma è preceduta da sette anni di “corretto funzionamento” caratterizzati da lavoro gratuito, mancanza di sicurezza e del carattere “formativo” del processo stesso.

Si aggiunge un nuovo, macabro piano di lettura alla discussione in corso sulla mancanza generalizzata di sicurezza sul lavoro in Italia.



Lo scorso fine settimana è stato invaso da dichiarazione di rimpianto, sdegno, dolore, sulla morte di Lorenzo Parelli, diciottenne friulano ucciso dalla caduta di una putrella durante lo svolgimento dell’attività di tirocinio prevista del centro di formazione professionale dell’Istituto Salesiano Bearzi di Udine. Messo all’opera in una carpenteria metallica della sua città, Lorenzo era solo uno dei milioni di ragazzi che ogni giorno si alzano la mattina per andare a lavorare gratuitamente in una delle attività “formative” previste da scuole ed enti professionali. La tragica morte di Parelli ha risollevato immediatamente il dibattito pubblico sui tirocini gratuiti previsti dalla riforma della “Buona Scuola” del governo Renzi: un monte ore orientato alla “formazione dei giovani al mondo del lavoro”, come descritto più volte dalle amministrazioni che hanno creato e avvallato negli anni il sistema dell’alternanza.

Per anni, le voci critiche che hanno sottolineato l’aberrazione che costituiva questo primo passaggio di trasformazione dello studente in forza lavoro supersfruttata sono state silenziate o ricondotte all’ ”ovile” di un’opposizione inefficace e servilistica; non a caso, molti di coloro che oggi, in maniera vergognosamente teatrale, esprimono vicinanza alla famiglia di Lorenzo, sono gli stessi che, sette anni fa, assicuravano che l’alternanza scuola-lavoro sarebbe stata un passo verso la modernità per un sistema scolastico atrofizzato e sconnsesso con la realtà. Non a caso, ancora oggi, provano a separare la tragica fine di Lorenzo dal modello dell’alternanza stesso, quasi come se la suo morte costituisse un outlier, un evento sventurato e imprevedibile, nel più grande schema dell’evoluzione contemporanea della Scuola. Si tratta di una menzogna non indifferente, specie quando la poniamo in contrasto a una scia di eventi potenzialmente letali che, in tutto il paese, hanno contraddistinto l’iniziativa dell’alternanza, dalla sua concezione ad oggi.

La strada dell’alternanza è lastricata di incidenti che coinvolgono giovanissimi di tutt’Italia: dalla storia del diciassettenne di La Spezia che nell’ottobre 2017 è rimasto schiacciato sotto un carro elevatore, al ragazzo di Genola che due anni fa si è trovato ospedalizzato dopo che un cancello pesantissimo era uscito dal suo binario, travolgendolo e lasciandogli un importante trauma alla testa. Un articolo de La Stampa dettaglia gli infortuni subiti da diversi studenti durante le attività di alternanza. Per quel che ci riguarda, un singolo infortunio è un infortunio di troppo: il sistema dell’alternanza non dovrebbe esistere, e gli studenti delle superiori dovrebbero trovarsi in scuole adeguatamente finanziate e sicure, senza doversi prestare a diventare materiale di sfruttamento gratuito, e nel peggiore dei casi carne da macello. Il movimento studentesco aveva tentato di mobilitarsi in opposizione alla Buona Scuola, nel 2015, ma la complicità delle strutture sindacali confederali e la compiacenza di ampi ranghi della burocrazia, oltre che una rinnovata ondata repressiva, avevano costituito ostacoli quasi insormontabili, e da allora l’alternanza scuola-lavoro, assieme a tutte le altre provigioni contenute nella legge del governo Renzi, ha avuto tutte le risorse a propria disposizione per potersi sviluppare nella sua inquietante realtà contemporanea. Tuttavia, un altro elemento che collega tra loro molti dei casi di infortunio è la compresenza di lavoratori e lavoratrici ferit* assieme agli studenti a cui, spesso, si trovavano a far da tutori: in queste contingenze si incontrano due drammi, quello delle morti e degli infortuni sui luoghi di lavoro, che solo nell’anno passato contano 1.404 decessi, e quello dell’estensione del lavoro gratuito a tutti gli studenti delle superiori che, a titolo gratuito, oggi rimpolpano le fila di una classe lavoratrice stremata dall’aumento implacabile dell’orario lavorativo, dalla precarizzazione costante del lavoro e dalla stagnazione perenne dei salari, elementi portanti dell’onda lunga neoliberista nel nostro paese.

Alla luce di questa realtà, diventa quanto mai necessario interrogarsi sulle modalità che abbiamo per mettere fine non solo all’assurda mattanza di lavoratori e lavoratrici, di persone sui luoghi di lavoro lasciate alla mercé di tagli sui costi alla sicurezza e turni massacranti, ma anche alla deriva privatistica dell’istruzione pubblica italiana, dopo anni di torpore del movimento degli studenti medi ed il silenzio assordante di rappresentanti sindacali di ogni estrazione. Il fatto che, solo pochi giorni dopo la devastante notizia sui fatti di Udine, ieri un presidio determinato a Roma di student* di varie scuole abbia sfidato i vincoli imposti dalle forze dell’ordine, resistendo alle manganellate e arrivando fin sotto al MIUR per esprimere la loro opposizione a chi vorrebbe gli studenti come materiale da formare allo sfruttamento, ci indica che i tempi sono maturi per una riattivazione più larga del movimento studentesco, con la speranza che possa tornare a svilupparsi nelle forme di autorganizzazione che lo contraddistinguono, attraverso le assemblee, i collettivi e una rete nazionale di coordinamento per organizzare una risposta unitaria al modello di scuola che i governi dei padroni vorrebbero continuare ad elaborare. Forse non ci sarebbe potuto essere segnale più gramo per indicare che è tempo che gli studenti riprendano banco per impedire che siano portavoce degli interessi della politica rappresentativa nazionale e locale, oltre che di Confindustria, a decidere cosa fare della scuola pubblica in Italia.

La liberalizzazione dell’istruzione è stata un disastro, qui e ovunque: è tempo di guardare in faccia alla realtà e ricostruire una mobilitazione concreta, orientata su rivendicazioni politiche volte allo smantellamento, in primis, della Buona Scuola, come delle riforme Gelmini e Moratti, di cui ancora ci portiamo dietro gli strascichi. L’alternanza scuola-lavoro, oggi conosciuta sotto la sigla PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), è uno strumento insidioso, profondamente ideologico, che oltre a creare manodopera non retribuita e non tutelata, approfondisce una serie di divisioni già di per esse esacerbate dai deliranti sistemi di finanziamento scolastico statali, i quali nel corso del tempo hanno creato istituti di serie A e di serie B, oltre che andando a sfavorire ampiamente gli studenti delle regioni del meridione. Un sistema, quello dei PCTO, che mira a inculcare ancor di più negli studenti l’idea che un padrone possa “insegnare” a stare al mondo, “educare” al lavoro, e non sia invece una figura sociale che dai suoi dipendenti dipende, perché senza di loro non potrebbe trarre profitto alcuno dalla sua attività.

Lorenzo Parelli non svolgeva mansioni specificamente sotto il programma dei PCTO, tuttavia, in quanto quello “stage” in carpenteria ricadeva sotto i programmi IeFP (Istruzione e Formazione Professionale), percorsi di formazione che ancor prima dell’introduzione dei PCTO mettono a lavorare gratuitamente giovani, spesso di fasce sociali più esposte, andando a creare un’ulteriore divisione tra gli studenti. Il fatto che le attività degli studenti non siano retribuite casca perfettamente nel quadro ideologico delineato: gli studenti non solo devono andare a farsi sfruttare in fabbrica, in carpenteria, in ufficio, a titolo gratuito, ma devono ringraziare per l’attività che stanno svolgendo: così si preparano generazioni di ragazz* allo sfruttamento. Questa mostruosità non avrebbe dovuto passare nel 2015; il movimento degli studenti può far si che non viva oltre il 2022.

Infine, è giunto il momento di abbattere definitivamente il muro eretto dai padroni e dalle narrazioni borghesi tra movimento operaio e movimento studentesco. Con l’ingresso nel mercato del lavoro che si avvicina sempre di più in termini di età, man mano che passano gli anni, rivendicare l’unità di azione di studenti e lavoratori si mostra sempre più come una necessità urgentissima; è tempo di farla finita con retoriche vuote di scontri generazionali – qualsiasi differenza possa intercorrere tra genitori e figl*, la realtà dimostra come, sul luogo di lavoro, siamo tutt* alla mercé dello sfruttamento padronale, e paghiamo tutt* le conseguenze di un modello economico predatorio, inquinatore e violento. La mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici GKN, pochi mesi fa, ha dato un esempio importante su come muoversi in un terreno complesso come quello del ricongiungimento di questi due movimenti, che ha sempre dimostrato una sfida assai ardua. Dobbiamo scendere in piazza compatti, nel rispetto delle reciproche indipendenze (specie nella formulazione delle forme di organizzazione che si confanno alle rispettive realtà), con la convinzione che la lotta degli studenti sia, oggi più che mai, la lotta dei lavoratori, e viceversa, e che un programma comune sia non solo possibile, ma necessario.

Non ci si può più permettere di escludere una o l’altra parte del discorso, perché ne va delle nostre vite: i capitalisti l’hanno capito. Noi invece?

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.