Travolto da un treno sulla linea Bologna-Venezia, le ricostruzioni parlano di un incidente; ma la mobilitazione dei manutentori, da più di un anno, denuncia lo stato di abbandono del comparto in termini di sicurezza e assicurazioni per i lavoratori e le lavoratrici. Di più, torna dirompente all’ordine del giorno la questione degli appalti.

A parte vuote parole di cordoglio, il governo e il ministero di Salvini non hanno fatto nulla a favore di questi operai. Serve una lotta dei lavoratori stessi contro la quotidiana strage annunciata sui posti di lavoro!


Attilio Franzini, 47 anni, trasfertista di Formia, al lavoro sulla linea Bologna-Venezia, non si sarebbe accorto dell’arrivo di un treno che gli avrebbe tolto la vita alle prime luci del mattino del quattro ottobre, nei pressi della stazione di San Giorgio di Piano (a 20km dal capoluogo emiliano). I giornali si riempono di notizie sui ritardi dei treni, sulle interminabili ore di attesa arrecate ad usufruenti del servizio, e sulle prime ricostruzioni della Polizia Ferroviaria: si sarebbe trattato di un fatale incidente, un accidente dettato, implicitamente, dalla poca accortezza del manutentore, operaio in appalto della Salcef Group, la quale presta manodopera ad RFI nel settore della manutenzione. Una dinamica familiare per chiunque abbia seguito la lunga catena di morti sul lavoro di cui è protagonista il nostro paese; una versione che cerca sempre di negare la possibilità di falle nei dispositivi di sicurezza attivi per la tutela della forza lavoro sui binari.

Si alzano, ancora una volta, voci di cordoglio dalla politica istituzionale locale e nazionale, richiami ad una “risposta da parte del mondo del lavoro” in ambito del sindacalismo confederale, critiche giuste al sistema di subappalto anche da esponenti dell’arco parlamentare (in particolare dai banchi di AVS, nelle figure di Bonelli e Fratoianni), ma la cifra di tutto questo rimane la medesima: ancora una volta, un operaio è morto sul lavoro, ed è morto in un settore dove una mobilitazione dal basso aveva messo in luce le criticità che lo coinvolgevano a livello strutturale, per una serie di scelerate decisioni politiche volte a mettere al primo posto nelle priorità di operato della Rete Ferroviaria Italiana il profitto, piuttosto che la sicurezza ed il diritto alla vita di lavoratori, lavoratrici e passeggeri.

Per questo motivo, sanno di fantascientifico le dichiarazioni di rammarico del quadro dirigente di RFI e del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, il cui codice per gli appalti dello scorso anno ha aperto le strade per una profonda deregolamentazione del settore manutenzione per facilitare l’ingresso di nuovi attori privati nella gestione di mansioni prima spettanti esclusivamente agli operai direttamente assunti dalla partecipata pubblica. Tali ingressi vedrebbero, infatti, l’introduzione in contesti lavorativi particolarmente sensibili (come quello della manutenzione) di operai spesso e volentieri inadeguatamente preparati. Inoltre, come ricordato in un’intervista al Resto del Carlino dal deputato verde Bonelli, a quasi un anno dalla strage che a Brandizzo coinvolse cinque operai della manutenzione, ancora i manutentori RFI non hanno strumenti per conoscere in tempo reale la posizione dei treni, dispositivi che permetterebbero di evitare situazioni come quella di San Giorgio di Piano (se rimanesse accertata la dinamica dei fatti).

 

La mobilitazione dei manutentori ha già indicato i problemi strutturali che compromettono la sicurezza sul lavoro

Questa situazione è denunciata con forza dalla mobilitazione che si è sviluppata in seno all’Assemblea Nazionale Lavoratori della Manutenzione, i quali, proprio nella giornata del quattro, avrebbero dovuto tenere un’assemblea per fissare i termini del prossimo sciopero nazionale del comparto (che si terrà il prossimo 9 ottobre); tale mobilitazione ha preso slancio da un accordo siglato il 10 gennaio di quest’anno da parte di RFI e sindacati confederali: tale accordo, al ribasso, conferma la dinamica favorita dal governo e dall’azienda nel peggiorare i turni e le rotazioni a cui i lavoratori sarebbero sottoposti, in un settore dove la questione del tempo di lavoro e dell’onere di rialzi nelle ore spese sui binari sulla salute fisica e mentale dei lavoratori e delle lavoratrici assume una centralità ancora più evidente che in molti altri comparti.

Da mesi, simultaneamente alla mobilitazione che sta continuando nonostante le precettazioni da parte del Governo nel comparto macchinisti di Trenitalia, la lotta dei manutentori solleva le problematiche dettate da turni eccessivamente pesanti con squadre insufficienti e ritmi inadeguati alla preservazione dell’attenzione e dell’integrità psicofisica della forza lavoro, oltre che i rischi determinati dall’apertura a nuove manovre di esternalizzazione a favore di aziende i cui dipendenti spesso e volentieri non sono sufficientemente addestrati per svolgere mansioni delicate come questa. Da mesi, governo e azienda respingono col silenzio o con misure di contenimento le voci rabbiose che si alzano dai lavoratori del comparto manutenzione; da mesi, lavoratori e lavoratrici continuano a morire in tutto il paese. Una strage figlia di una dinamica di deregolamentazione e disinteresse per le condizioni della classe lavoratrice di questo paese in tutti i suoi settori. mAll’alba della mobilitazione indetta dalla CGIL per le nuove contraddizioni emerse nel settore metalmeccanico alla fine dell’estate, verrebbe quasi da prenderla come uno scherzo macabro: ma proprio per questo le lotte che emergono dalle componenti che si auto-organizzano della classe sono così fondamentali.

È fondamentale che la situazione denunciata dai manutentori e le lezioni della loro stessa lotta diventino patrimonio comune nel reparto ferroviario e oltre: se le cause strutturali di tante morti sul lavoro diventano chiare, e diventa chiaro che bisogna organizzarsi e lottare per cambiare questa situazione, i burocrati sindacali specialisti della contrattazione a porte chiuse faranno molta più fatica a dedicarsi agli aumenti salariali -insufficienti, specie con l’inflazione!- di routine quando si rinnovano sempre in ritardo i CCNL.

L’arma dello sciopero, del blocco dell’attività produttiva, resta quella più efficace in mano a lavoratori e lavoratrici, e le costanti precettazioni promosse da Matteo Salvini in persona dimostrano quanto i padroni ed i loro cani da guardia ne siano consapevoli. Per questo motivo, è imperativo sviluppare le iniziative di coordinamento e auto-organizzazione dei lavoratori in tutto il paese ed in tutti i settori, stimolando una discussione su un programma di lotta unitario con rivendicazioni comuni, che possano sia mettere in crisi chi lucra sulla pelle dei lavoratori, sia migliorare concretamente le condizioni di vita e di lavoro di chi manda effettivamente avanti la società.

Facciamo eco a coloro che rivendicano l’implementazione di sistemi di sicurezza adeguati sul lavoro, l’abbassamento dei ritmi e la riduzione dei turni a parità di salario, e miglioramenti generalizzati in materia di tutele sanitarie per tutti i lavoratori e le lavoratrici. Queste rivendicazioni possono solo essere conquistatecon la lotta – in faccia a chi dice che affermazioni del genere, nell’ora del cordoglio, sarebbero irrispettose e fuori luogo: perché l’ora del cordoglio, per chi lavora, va avanti, ininterrotta, da anni ormai. E fuori luogo non sono le pretese legittime degli sfruttati, ma la sfrontatezza di padroni, ministri, amministratori e burocrati.

Luca Gieri

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.