Questo venerdì l’Unione Sindacale di Base ha proclamato sciopero generale per rilanciare la lotta per condizioni di lavoro e salari dignitosi, contro l’economia di guerra che si sta sviluppando sempre di più nel nostro paese e in Europa, contro le privatizzazioni dei servizi pubblici e per la difesa del diritto di sciopero continuamente sotto attacco. Anche in questa occasione il Ministro dei Trasporti Salvini attacca gli scioperanti precettando chi lavora nel trasporto pubblico, a cui USB giustamente sta rispondendo dichiarando di non voler rispettare l’imposizione del ministro e al contempo impugnando legalmente il provvedimento (come già fatto con successo un anno fa). Nell’ultimo anno ha assunto particolare rilevanza la mobilitazione dei ferrovieri, in lotta contro condizioni di lavoro che diventano sempre più insostenibili e usuranti, degradatesi anche in seguito a un accordo peggiorativo firmato dai sindacati confederali. Perciò in vista dello sciopero di venerdì abbiamo intervistato dei ferrovieri militanti in USB – un manutentore, una capotreno, un capostazione e un macchinista – per dare visibilità alle ragioni della loro mobilitazione, in particolare concentrando l’attenzione sulle loro condizioni di lavoro. L’accordo del 10 gennaio ha colpito duramente i manutentori, ma anche negli altri settori delle ferrovie dominano condizioni sempre più insostenibili.


 

Quest’anno le ferrovie hanno visto un’ondata senza precedenti di scioperi dei ferrovieri, quali sono le ragioni per questo stato di mobilitazione prolungata?

 

Manutentore
Se si pensa alla storia recente, questo fermento è insolito per i ferrovieri. Penso sia dovuto principalmente all’incapacità di rappresentarci da parte dei sei sindacati firmatari del CCNL. Mai come oggi i ferrovieri hanno bisogno di vedere accolte le proprie rivendicazioni, che invece non sembrano essere nemmeno ascoltate. Basti pensare alle RSU [ovvero le Rappresentanze Sindacali Unitarie] decadute da ormai 6 anni o ricordare come nella manutenzione sia stato firmato un accordo nazionale di settore tenendo i lavoratori completamente all’oscuro della discussione avvenuta negli ultimi anni tra firmatari e azienda. La nostra reazione ha portato necessariamente alla costituzione di un’assemblea nazionale appoggiata dai sindacati di base, sintomo di una completa sfiducia, nonché di rabbia, nei confronti dei sei firmatari. Può apparire incredibile a chi ignora o dimentica il fatto che da anni i firmatari hanno contrattato sempre al ribasso, un comportamento paradossalmente antisindacale che costringe i lavoratori a una sensazione di impotenza che ha però portato a una grande mobilitazione. Si può dire tranquillamente – per la chiarezza della situazione e non per l’umore – che i ferrovieri hanno scioperato anche contro i sindacati stessi, denunciando l’assenza di democrazia sindacale. Questa è quindi, secondo me, la prima delle ragioni dello stato di mobilitazione prolungata. 

A ciò si aggiunge la presa di coscienza da parte dei lavoratori dell’importanza di determinare le condizioni lavorative al livello contrattuale, dato il CCNL scaduto da un anno. Perciò i lavoratori si stanno mobilitando fortemente per ottenere nel contratto i punti della piattaforma da loro costruita, con lo scopo di poter tutelare le proprie condizioni lavorative. Da una parte per ottenere adeguati riconoscimenti salariali e professionali, dall’altra per tutelare la propria vita privata riducendo l’orario e i giorni di lavoro e aumentando il riposo fra una prestazione e la successiva. Quindi, questa consapevolezza che il rinnovo contrattuale possa incidere nel limitare le pretese aziendali – che determinano sempre più condizioni di lavoro peggiorative – ha fatto sì che ci sia una determinazione da parte dei lavoratori a portare avanti questa battaglia fino al raggiungimento e al riconoscimento delle proprie rivendicazioni. Probabilmente sta positivamente incidendo anche una composizione molto giovane dei lavoratori delle ferrovie, prodotta dalle tante – sebbene insufficienti – assunzioni degli ultimi anni. Infatti, sapendo di avere davanti almeno un trentennio di duro e pesante lavoro, i giovani sono ben consapevoli di dover migliorare le proprie condizioni per poter continuare a svolgere questo lavoro nel migliore dei modi.

 

Hai citato gli accordi del 10 gennaio scorso tra sindacati firmatari e RFI (Rete Ferroviaria Italiana) per la manutenzione, vorrei soffermarmi sull’impatto sulle vostre condizioni lavorative. Che condizioni incontri quotidianamente? Il peggioramento è stato uniforme sul territorio nazionale? Che impatto ha anche sulla stessa sicurezza ferroviaria?

 

Manutentore

Nel corso degli anni c’è stato un costante arretramento delle condizioni lavorative. Da una parte si è visto un continuo scaricamento verso il basso delle responsabilità, dall’altra un aumento del carico di lavoro. Tutto ciò negli ultimi anni è avvenuto all’interno di cornici organizzative che hanno spezzato la catena di comando costringendo i lavoratori ad assumersi incombenze tecniche e organizzative allo stesso tempo. A ciò si aggiunge la questione perenne della carenza di personale, l’assenza di adeguata formazione, anche sulla sicurezza, e un’organizzazione dell’orario di lavoro che non garantisce il riposo adeguato pur di garantire le necessità produttive. Tutto ciò va a minare sia la salute che la sicurezza sul lavoro ed è in particolare questo pericolo che denunciamo da anni. Infatti, ogni accordo firmato negli ultimi anni ha accolto le richieste aziendali aumentando i rischi sul lavoro, erodendo il diritto alla salute e al riposo, nemmeno garantendo alcun adeguato riconoscimento economico. Ogni accordo è stato una concessione, un successo per i manager aziendali e una sconfitta per i lavoratori.

L’accordo del 10 gennaio è stato il culmine di questo processo di arretramento. Rappresenta il sogno di ogni impresa, ovvero il raggiungimento di una flessibilità che se ne frega sia della vita privata del lavoratore sia dello svolgimento del lavoro stesso. È un accordo che erode le tutele normative, a danno della salute, della sicurezza e della dignità economica e professionale, incidendo pesantemente sulla gestione della vita privata e sociale dei lavoratori. Per il contratto dovremmo lavorare dal lunedì al venerdì con un orario che deve essere compreso tra le 7 e le 19, invece a causa dell’accordo lavoriamo anche il fine settimana, di notte, in qualche caso anche nei festivi, con una programmazione con cadenza mensile che non permette nemmeno di poter organizzare dignitosamente la vita privata.

La prima conseguenza – data innanzitutto da una sconsiderata articolazione dell’orario e un’inadeguata distribuzione dei riposi – è un aumento esponenziale dello stress psico-fisico che si ripercuote sull’attenzione e sulle facoltà del lavoratore portando a una crescita di rischi legati alla sicurezza sul lavoro e sull’esercizio ferroviario.

Ne consegue un peggioramento delle condizioni lavorative, già deteriorate dalla sempre maggiore mole di lavoro – in modo particolare durante l’orario notturno – e avrà come unico risultato certo la messa a repentaglio delle vite dei lavoratori, come purtroppo abbiamo già visto in qualche recente occasione.

Inoltre sono tantissimi i lavoratori pendolari che hanno visto peggiorare la propria condizione non potendo in orari notturni fare affidamento sui mezzi pubblici per andare a lavoro, costretti quindi a dotarsi di mezzi privati con tutto ciò che ne consegue per la propria incolumità.

Questo peggioramento purtroppo è stato uniforme in tutto il territorio nazionale, perché nelle poche regioni dove ancora non si è firmato un accordo territoriale applicativo dell’accordo nazionale l’azienda si sta permettendo – in assenza di opposizione da parte dei firmatari – di sfondare i limiti contrattuali e imporre un’articolazione dell’orario di lavoro che crea condizioni simili, se non peggiori, a quelle create dall’accordo del 10. Una mossa che vuole far desistere i lavoratori in mobilitazione e che crea, a mio avviso, ulteriore stress e condizioni sfavorevoli al normale svolgimento delle attività lavorative o della vita stessa, se vogliamo.

Altra grave conseguenza di questo accordo è la divisione inevitabile di nuclei manutentivi già carenti in più squadre formate da pochi elementi – spesso anche due sole persone – o addirittura in squadre guidate da personale poco esperto e costretto a svolgere mansioni appartenenti a livelli superiori di inquadramento. Anche qui è evidente l’aumento del rischio per la sicurezza sia del lavoratore che dell’esercizio ferroviario. E anche qui è da segnalare purtroppo la complicità dei soliti sindacati che permettono all’azienda di sfruttare la paura di ripercussioni e provvedimenti disciplinari per “mettere una pezza” alle gravi carenze organizzative.

 

Invece per quanto riguarda gli altri settori delle ferrovie che condizioni incontrate? Nel vostro caso in cosa consiste il peggioramento che denunciate? Stiamo inoltre assistendo a una grave ondata di aggressioni al personale di bordo delle ferrovie: come spiegate questo fenomeno?

 

Capotreno

Nel corso degli anni abbiamo subito un aumento dell’orario lavorativo di due ore settimanali che potrebbe sembrare marginale a chi non fa questo mestiere. Ma nell’applicazione si è tradotto in un aumento del carico quotidiano, quindi settimanale e mensile, che risulta materialmente insostenibile. Per capirci, i turni sono costruiti in modo da rendere veramente difficile godere di una vita privata con i familiari, gli amici o dedicarsi alle attività extra-lavorative. Come se dovessero metterci in un armadietto una volta finito il turno, per poi riaprirlo il giorno successivo. A questo si aggiunge la riduzione del personale a bordo dei treni, con l’equipaggio ormai composto solo da capotreno e macchinista, anche su treni di otto vetture a doppio piano, motivo per cui continuiamo a chiedere l’aumento del personale. Vi sono inoltre pressioni aziendali sempre maggiori sul raggiungimento di cifre di incassi dalle sanzioni a bordo treno. La contestazione disciplinare è all’ordine del giorno, i viaggiatori sono considerati solo come clienti e sono agguerriti per le continue problematiche che incontrano. L’elenco è lungo.

Questo lato umano fa il paio con un aumento del costo della vita che risulta insostenibile se non si prevedono ingenti adeguamenti salariali. Ovviamente lo stress lavorativo a cui è sottoposto il personale si va a sommare al rischio sempre crescente di aggressioni fisiche e verbali, delle quali le cronache potrebbero quotidianamente scrivere. Però rigettiamo fermamente la narrazione che ha come unico scopo fomentare il fin troppo presente odio razziale. Il contesto di aumento costante della povertà, la carenza di strutture e misure idonee a far fronte a questo fenomeno purtroppo in crescita, una politica nazionale che rilancia misure repressive che hanno il solo scopo di colpire e annientare il dissenso rendendo invisibili migliaia di persone che protestano per condizioni di vita migliori: in questi fenomeni vanno cercate le motivazioni sociali dell’aumento delle aggressioni ai capitreno

 

Capostazione 

Per quanto riguarda le condizioni di lavoro, emerge per prima cosa il problema dell’orario di lavoro e quindi delle problematiche causate da turni massacranti. Chiediamo pertanto la riduzione dell’orario, anche perché col passare degli anni diventa impossibile sostenere questi turni al limite della legalità. Facciamo circa 70 notti all’anno e non ci viene neanche riconosciuto come lavoro usurante. L’età pensionabile aumenta, quindi siamo costretti a continuare a fare le notti almeno fino a 67 anni e con più di 45 anni di contributi. Per poi magari ottenere una pensione probabilmente insufficiente per affrontare la vecchiaia. Questo considerando anche i costi sanitari, visto che facciamo una vita molto stressante a causa di questo lavoro. Uno stress causato anche dalle responsabilità con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza.

Naturalmente dall’azienda ci ricordano della sicurezza solo quando vogliono segnalarci i doveri, ma certamente la responsabilità non è minimamente né adeguatamente remunerata. Inoltre la normativa cambia continuamente, questo per noi è un ulteriore problema visto che ciò avviene senza senza un’adeguata formazione. Una o due volte all’anno abbiamo la formazione aziendale tramite gli aggiornamenti annuali, ma per la gran quantità di novità normative siamo spesso costretti ad aggiornarci in autonomia. Secondo le ferrovie la questione della responsabilità si risolve solo trasmettendo l’informazione, per il resto dobbiamo arrangiarci. Alla fine poi la responsabilità è solo nostra come operatori.

 

Macchinista

Sulle condizioni di lavoro non aggiungo altro perché credo siano state ben descritte dai colleghi. Vorrei piuttosto soffermarmi sulla questione delle aggressioni, penso ci sia qualcosa in più da dire. È un tema su cui si fa parecchio benaltrismo spostando il problema su altri soggetti e su altri interlocutori. Ad esempio ho saputo di un presidio tenuto sotto la prefettura [a Bologna] organizzato da Cgil, Cisl e Uil, come se il problema fosse esterno, come se fosse determinato da cosa fa lo Stato, la prefettura, la società. Piuttosto la nostra sicurezza deve essere garantita dal datore di lavoro, non ci sono non ci sono altre strade ed è la legge che lo impone. Quindi è l’organizzazione del lavoro che ti deve garantire il minor rischio possibile. Poi non parliamo di tutte quelle soluzioni individuali, quali bodycam, spray al peperoncino o taser, di quello non ne parliamo neanche. Però anche questa tendenza di spostare il tema che hanno le aziende e la stessa azienda nostra (ovvero Trenitalia), molto supportata in questo dai sindacati confederali, che ha come conseguenza la deresponsabilizzare aziendale- Secondo me ciò è centrale.

Sul tema aggressioni riteniamo che da parte aziendale e purtroppo anche del sindacalismo firmatario, spesso si guardi da un’altra parte. Cioè si sposta l’attenzione al problema sociale o peggio sull’immigrazione, cercando attori risolutivi nella politica nei prefetti e nelle forze dell’ordine. Ancora peggio quando da questi soggetti arrivano messaggi che indirizzano implicitamente all’autodifesa con utilizzo di bodycam, spray al peperoncino, taser e quant’altro. 

Noi invece pensiamo che il problema non debba essere spostato al di fuori del rapporto di lavoro: il D.Lgs 81 impone precisi obblighi al datore di lavoro in tema di sicurezza. Se esiste un rischio è compito del datore di lavoro mettere in atto tutti i mezzi necessari all’eliminazione o all’attenuazione del rischio. Non tocca certo ai lavoratori suggerire all’azienda quali siano gli strumenti da mettere in atto, ma l’esperienza del servizio a lunga percorrenza in cui sono sempre presenti due capitreno abbatte in modo significativo il rischio di aggressione. 

Per questa ragione riteniamo che anche sui treni regionali affiancare al capotreno una seconda figura sia l’unica soluzione praticabile. Senza un altro agente di accompagnamento al lavoratore non resta che mettere in atto azioni di autotutela limitando al minimo o evitando la controlleria: lo diciamo da tempo ma mai come adesso è necessario prenderne coscienza.

È ovvio che tutto ciò che arriva in più, forze dell’ordine e quant’altro, può migliorare la situazione a bordo treno, ma l’assenza di queste non può essere un alibi per le aziende, che devono assumersi le loro responsabilità nei confronti dei lavoratori.

 

Pensando ad episodi gravi come la strage di Brandizzo emerge prepotentemente la questione degli appalti e di come essi erodano i diritti sul lavoro e scarichino verso il basso le responsabilità . Quanto è diffuso questo sistema e quanto è diffusa l’opposizione ad esso?

 

Manutentore

Purtroppo in ferrovia il sistema degli appalti è diffusissimo, tanto da rendere RFI una delle principali stazioni appaltanti per importi su appalti di lavori, come indicato ad esempio dall’ultima relazione annuale al parlamento di ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione.

I lavoratori rivendicano e chiedono da tempo l’internalizzazione delle attività manutentive ma la tendenza aziendale è esattamente opposta, con scellerate politiche di privatizzazione che hanno favorito il rafforzamento del sistema degli appalti e l’instaurazione della logica del profitto a danno di salute, sicurezza e dignità professionale ed economica dei lavoratori. 

Dal 2004 si leggono accordi che promettono le internalizzazioni,  ma che la realtà quotidiana di questi venti anni vede un’accelerazione delle attività esternalizzate con un enorme travaso di soldi pubblici nelle mani di privati.

Nonostante le dichiarazioni di principio, anche gli effetti dell’accordo del 10 gennaio stanno producendo un’ulteriore esternalizzazione delle attività. Lo stravolgimento di orari di lavoro, riposi giornalieri e settimanali è proprio dettato probabilmente dalle necessità dell’impresa privata e dai consistenti finanziamenti, come per esempio il PNRR. Ormai sicuramente più della metà delle nostre attività lavorative quotidiane riguarda operazioni di protezione cantieri o scorta per le imprese appaltatrici che portano avanti più del 90% delle attività straordinarie. In realtà si potrebbe quasi parlare dell’intera attività operativa trasferita all’impresa privata attraverso un sistema di deregolamentazione contrattuale.

Purtroppo si evince anche in questo caso una certa complicità dei sindacati firmatari, che negli accordi quadrimestrali delle attività straordinarie riescono addirittura a concedere all’azienda la possibilità di impiegare i lavoratori fuori dalla propria sede di lavoro e fuori dall’orario programmato pur di garantire il massimo sostegno alle attività appaltate. Mentre l’opposizione a questo sistema trova riscontro solo nell’azione conflittuale di alcuni sindacati di base e nelle rivendicazioni e azioni dei lavoratori.

 

Pensate che il vostro settore avrà un ruolo di protagonismo nello sciopero organizzato da USB? Le precettazioni del ministro Salvini hanno smorzato la mobilitazione o la stanno catalizzando?

 

Manutentore

Bisogna ammettere che i manutentori da anni non esprimevano conflittualità. La firma dell’accordo del 10 gennaio ha cambiato tutto e lo stato di mobilitazione è in corso, sebbene si stia riflettendo sull’utilità di mantenere una cadenza di scioperi così serrata. Sicuramente la necessità è di mettere meglio a fuoco gli obiettivi, più che una riduzione degli scioperi. Noi siamo partiti come manutentori scioperando contro la firma dell’accordo del 10 gennaio e stiamo continuando a lottare affinché i criteri di quell’accordo non vengano adottati nel rinnovo contrattuale, quindi per ottenere una retromarcia proprio su una visione organizzativa speculativa che scarica tutti i costi sulla salute, sulla sicurezza e sulla dignità professionale e reddituale.

Vedremo se il nostro settore avrà un ruolo di protagonismo, resta il fatto che potenzialmente lo ha. Cioè, è chiaro che lo sciopero di manutenzione infrastrutture non si vede, così come si vede invece quando scioperano  macchinisti, capitreno, capistazione che bloccano la circolazione; ma, in realtà, il peso che assume la mobilitazione della manutenzione dentro le ferrovie è sostanziale – anche se non immediatamente visibile – perché interviene sul meccanismo della realizzazione dei profitti che sono associati all’avanzamento dei lavori e degli investimenti. Va messa in evidenza questa forza prospettiva che fa sembrare che nessuno si accorga degli scioperi, ma potremmo dire che se ne accorge chi deve. Soprattutto se ne accorgono i sindacati firmatari che chiaramente sentono l’azione di sciopero dei lavoratori come un’azione contro di loro e contro le loro visioni. Pensiamo quindi che il nostro settore abbia un ruolo di protagonismo dentro questa lettura. 

Le precettazioni di Salvini – l’ultima è arrivata proprio ora – hanno indubbiamente in qualche modo condizionato la mobilitazione, ma non smorzato. La stanno appunto catalizzando e il nostro sforzo è quello di mettere in relazione la condizione specifica dei singoli settori ferroviari, soprattutto dell’esercizio, con la condizione più generale dei diritti di cittadinanza, dei diritti esistenziali della persona lavoratrice e quindi è chiaro che un intervento di questo tipo sia per noi benzina sul fuoco, più che acqua sul fuoco. Per noi è fondamentale che il nostro settore continui a manifestare il proprio peso dentro questo scenario di incertezza e vedremo, proprio in questi giorni e con lo sciopero generale di venerdì, come risponderanno i lavoratori all’ennesima azione contro il diritto allo sciopero.

 

Giuseppe Lingetti

Nato a Roma nel 1993. Dottore di Ricerca in Fisica, ha militato nel Coordinamento dei Collettivi della Sapienza fino al 2018 e in Fridays For Future Roma fino a fine 2019. Attualmente lavora come programmatore software per un'azienda privata dell'industria ferroviaria.