In questo breve articolo intervistiamo Valter De Cillis, ex-lavoratore G-1 dell’azienda Levante Logistica, operante in subappalto del colosso della logistica Amazon per erogare i suoi servizi nei territori di Pisa e Lucca. Valter è stato licenziato a causa della sua spiccata attività sindacale all’interno dell’azienda in subappalto. Proprio per questo abbiamo deciso di intervistarlo, per capire meglio le dinamiche del licenziamento e altre tematiche relative al lavoro dei corrieri e della sua lotta sindacale.
Buongiorno Valter, inizierei questa intervista con un breve resoconto del tuo licenziamento, se ti va di condividerlo, per capire meglio come si è svolto.
Il licenziamento è arrivato dopo una serie di provvedimenti disciplinari, che hanno impugnato la mia produttività, intesa come quantità di pacchi consegnati sulla totalità di quelli assegnati giornalmente. Previ all’effettiva rescissione del contratto di lavoro, sono stati comminati più di quaranta giorni di sospensione dalla retribuzione e dal servizio. Questa sospensione, a sua volta, è avvenuta a seguito di trenta contestazioni disciplinari, che nel giro di tre anni, mi sono state indirizzate a causa della attività sindacale convinta e coerente con le criticità riguardanti la contrattazione e il lavoro di consegna degli operatori, così come delle problematiche che si ripercuotono anche sul nostro lavoro e sulle mansioni di consegna che ci inquadrano come personale viaggiante e come lavoratori discontinui.
Queste criticità hanno poi riscontri sulla sicurezza sul lavoro e sulla scansione del tempo di lavoro. Molti miei colleghi si ritrovano infatti impossibilitati a fare la pausa a causa di questo atteggiamento vessatorio, che si è esplicitato con più forza su di me, ma che in realtà è parte integrante di una strumentazione di sorveglianza effettiva, che passa attraverso il controllo a distanza che avviene con l’applicazione di lavoro (una peculiarità che è propria di questa filiera Amazon e che viene applicata anche alle aziende in sub-appalto). Proprio per questo ho sempre portato avanti la mia battaglia sindacale all’interno dell’azienda cercando una soluzione che valga per tutti i lavoratori.
Parliamo un momento di una della questione centrale riguardante la tua azione sindacale, ovvero la precarietà del contratto di lavoro discontinuo da operatori G-1. Puoi dirci di più su come funziona?
Non vengono specificati i tempi di continuità e questo è un problema per i lavoratori inquadrati come operatori G-1. Questo non riguarda altri lavoratori che hanno un contratto simile. Ad esempio, i mezzi pesanti si occupano semplicemente dello spostamento merci e sono incaricati solo del trasporto di un prodotto da un punto A ad un punto B. Nella fase di scarico e carico merci, questi lavoratori risultano di fatto inattivi (momento di inattività identificato nella contrattazione) e quindi si possono allontanare e smettere di occuparsi della mansione lavorativa. In questo caso la discontinuità del lavoro è lecita in quanto si può provare che il lavoratore abbia svolto un’attività privata nel lasso di tempo in cui è stato inattivo in regime del suo contratto di discontinuità.
Nel caso degli operatori G-1 c’è una problematica, non meglio specificata in altre sedi contrattuali (visto che i lavoratori del settore hanno avuto modo di confrontarsi con i confederali che sono i diretti responsabili di questo inquadramento) e che passa prima di tutto attraverso la contrattazione collettiva, nello specifico l’articolo 11 quinques[o2] [1] (integrato nel 2017) e che ha inserito due nuove qualifiche come quella dell’operaio G-1 (personale viaggiante ed operaio G-1[o3] ). Ciò permette un’ estensione oraria che parte dalle trentanove ore settimanali di un full-time ad un massimale di quarantaquattro ore settimanali. Questa estensione oraria non può essere ponderata a monte dei carichi di lavoro, ma è necessario svilupparla nel corso della giornata, identificando un momento di discontinuità e poi sulla base di quello estendere, non necessariamente a tutte le quarantaquattro ore ma quantomeno ad una porzione di esse, il turno di lavoro. Tuttavia, questo non viene fatto e gli operatori G-1 si trovano spesso a fare turni lunghissimi con ritmi frenetici. Oltre all’estensione della fascia oraria di lavoro è necessario specificare le determinanti dei momenti di attività da riconoscere, che come accennato in precedenza non vengono chiaramente definiti.
Rimane il fatto che questa attività discontinua, sia come lavoratore sia come sindacalista, non la riconosco: ho richiesto questa documentazione (i contratti e le specifiche della contrattazione collettiva con l’integrazione dell’articolo 11 quinques) che non è stata fornita né dai datori di lavoro né dai sindacati. Quindi, rimane qualcosa da dover affrontare. Inoltre, c’è anche il problema della retribuzione perché, secondo la modalità discontinua, i momenti di inattività non possono essere considerati come lavoro e quindi di conseguenza non sono remunerati, un ulteriore livello che mostra come questi contratti e il relativo inquadramento professionale mettano i lavoratori in condizioni altamente discriminanti e precarie.
Alla luce di questa modalità lavorativa e contrattuale, in cosa consiste la giornata tipo di un operatore G-1?
Il numero giornaliero dei pacchi consegnati da un lavoratore è molto elevato. Malgrado spesso si parli di centocinquanta pacchi giornalieri (anche nelle principali testate giornalistiche), si ha in realtà una media molto più alta che può arrivare fino a 200 pacchi giornalieri, mentre le ore di risoluzione sono influenzate dal tempo che si può effettivamente destinare alla consegna. Malgrado gli operatori partano dallo stesso stabilimento, ognuno di loro ha destinazioni diverse, che includono anche un viaggio di percorrenza differente per raggiungerle. I carichi di lavoro e i ritmi di consegna vengono sempre decisi e ponderati tra Amazon ed il sub-appalto.
A monte di una possibile organizzazione frenetica, le consegne solitamente non durano più di 3 minuti, un’esagerazione che spinge a dei rischi in primo luogo, sulla sicurezza degli operatori che, essendo personale viaggiante, sono esposti ai pericoli relativi alla guida di un veicolo e la circolazione in strada, ma anche ad una eccessiva responsabilizzazione della nostra mansione con dettagli come la mancanza della firma alla consegna dei corrieri Amazon, che permette un’ulteriore accelerazione del processo perché non si deve aspettare il cliente. Questa organizzazione del lavoro aggrava ulteriormente i rischi che, come personale viaggiante, incontriamo, facendo ricadere sulle spalle dei lavoratori una serie di complicazioni che li espongono a varie forme di pericolo e responsabilizzazione.
Abbiamo quindi visto come il lavoro degli operatori G-1 sia precario e pericoloso, un elemento che valida ulteriormente la tua lotta sindacale. Proprio in ragione di questa lotta sembra che siano stati articolati i provvedimenti disciplinari che poi sono sfociati nel licenziamento, alzando il sospetto che questo sia avvenuto proprio in risposta a questa tua convinta attività sindacale. Cosa ne pensi a riguardo?
Anche tralasciando le questioni formali, riguardanti la presenza di contestazioni che poi sono state impugnate e mi hanno condotto al licenziamento, è chiaro il tentativo di punire la mia attività sindacale. Da parte mia, io ho avuto degli incontri durante questi anni, passando per queste contestazioni che prevedono una fase di giustificazione e anche un’ impugnazione in ispettorato qualora non si riconosca la sanzione comminata. In questi confronti, soprattutto in quelli informali passati testa a testa tra me e l’azienda, si parlava della mia, usando le loro parole, fiscalità contrattuale … Io stavo solo chiedendo che venisse rispettato il contratto. Quello che poi si è creato è stata una pretesa, un attrito e delle frizioni che non sono state facili da affrontare. Non ci aspettiamo un dialogo da aziende che costruiscono un sistema internazionale di lavoro basato sullo sfruttamento (come Amazon), ma ci sono comunque delle evidenze che questo licenziamento sia avvenuto proprio in ragione della mia attività sindacale.
In ogni caso hanno impiegato tre anni e trenta contestazioni e questo è un segnale che le due aziende si sono trovate spiazzate di fronte a questa attività ed è anche quello che ha fatto notizia, secondo me. Credo, almeno nella mia esperienza con Amazon, che ci sia troppa accondiscendenza ed è anche ciò che permette ai sindacati confederali di andare avanti per questa linea che ormai da vari anni sta deteriorando la contrattazione collettiva ed i diritti di tutti i lavoratori. Questo processo, inoltre, rappresenta un’ammissione di colpa da parte dell’azienda, che ha praticamente ammesso la centralità delle tematiche, per le quali io lotto. Amazon costruisce le consegne su otto ore e cinquanta, e quindi, essendo inquadrati come lavoratori discontinui, è possibile permettere questa estensione oraria. Sempre in questo ambito, parlando di sicurezza, ci sono normative europee che non concedono di lavorare oltre le quaranta ore, sia per una questione di stress, ma anche per i rischi relativi all’eccessivo carico di lavoro. Anche qui andiamo oltre i vincoli che tutelano i lavoratori, perché se lavoriamo 9 ore al giorno come minimo significa che in cinque giorni diventano quarantacinque che, anche se fossero retribuite (che purtroppo non lo sono) rappresentano un ulteriore attacco alla classe lavoratrice.
Questa è stata la mia attività. Io invito chiunque a difendere i propri diritti: questo è stato un tentativo di punire meper educare tutti gli altri. Al contrario, se ci fosse stata una organizzazione più forte all’interno dell’azienda forse saremmo potuti riuscire a difendere meglio i nostri diritti di lavoratori.
Hai sollevato una questione interessante, quella dell’organizzazione dei lavoratori all’interno delle aziende. Nel tuo caso qualcuno dei tuoi colleghi si è mobilitato? Avete un’organizzazione interna all’azienda?
Certamente, ci sono dei colleghi che si rendono conto di tutte le criticità della loro contrattazione e del loro lavoro. Lo stress è sulle spalle di tutti. Anche se questa è una mia testimonianza io parlo anche a nome dei miei colleghi. Questo perché le condizioni di lavoro precarie riguardano ognuno di noi e implicano anche spese extra relative a determinate infrazioni (multe per eccessi di velocità o divieti di sosta) e sono sotto gli occhi di tutti, lavoratori compresi. In questo ambito l’organizzazione dell’attività sindacale nell’impresa si appoggia ad USB, che si sta mobilitando per difendere i diritti dei lavoratori del settore.
In termini di organizzazione nelle aziende, questa visione delle lotte sindacali centralizzata su un solo individuo che porta avanti la lotta fa parte di una concezione delle attività sindacali che è il prodotto di una evoluzione storica (da 30 anni a questa parte, almeno in Italia) del lavoro subordinato che lo porta verso una regressione dei rapporti di lavoro tra le parti datoriali e quelle subordinate. È qui che si percepisce una mancanza di sensibilità su certe dinamiche, riguardanti le attitudini vessatorie che appartengono implicitamente alle attitudini industriali e quindi, essendo complicato opporsi ad esse, ci si convive. Ed è quello che è accaduto., Una figura professionalizzata come la mia e facente parte dell’RSA (Rappresentanza Sindacale Aziendale[2]), che ha addirittura il diritto di andare a firmare delle contrattazioni locali con un forte potere rappresentativo non è stata risparmiata dalle asimmetrie di potere, pure essendo una sorta di figura istituzionale all’interno dell’azienda. Questa ulteriore sfumatura della mia esperienza chiarisce ulteriormente in che direzione vadano le relazioni di potere nei rapporti industriali ed aziendali e mette in evidenza tutte le problematiche che sorgono nel gestirli.
Occorre trovare una risposta e una dimensione per arrivare a migliorare per davvero le nostre condizioni di lavoro, innanzitutto rivendicando i diritti già conquistati, cercando di non perdere quelli che si hanno, per poi tornare a recuperare quelli che ci stanno togliendo.
Hai parlato della tua (ma anche di altri tuoi colleghi) sindacalizzazione con USB. Quest’ultimo ha anche iscritti in altre aziende del settore (tipo Amazon)?
USB è un sindacato che ha rapporti su scala nazionale ed è capillare ovunque nel territorio italiano quindi, già questo permette una organizzazione e un contatto trasversale e molteplice, permettendo di raggiungere i lavoratori un po’ ovunque. La mia battaglia viene portata avanti da USB e dai lavoratori iscritti che scelgono di seguire la battaglia e di tutelarsi. Vista la capillarità dell’organizzazione, un contatto c’è, poi chiaramente è una cosa diversa l’interazione che ho con i miei colleghi tutti i giorni. Ci sono due linee di intervento: una che si ferma alle componenti normative (che è la vera e propria attività sindacale) e poi c’è l’attività quotidiana che concede altro.
Quali sono stati i principali strumenti di contestazione del tuo licenziamento, oltre alla tua attività sindacale?
Il principale ed unico strumento è l’iter burocratico che poi solitamente si concretizza nell’impugnazione in tribunale. Le attività sindacali e la mobilitazione sono complementari ma per le mie conoscenze e per quello che so, credo di star facendo tutto il possibile.
Chiudiamo l’intervista con una riflessione sulla solidarietà operaia. In questo periodo hai ricevuto molte dichiarazioni e comunicati di sostegno e solidarietà da varie organizzazioni politiche e sindacali. Secondo te quanto sono importanti queste dimensioni e come può diventare uno strumento a favore della lotta sindacale?
La solidarietà è arrivata perché la mia vicenda ha avuto un impatto mediatico abbastanza importante. Il fatto che le persone si siano dimostrate sensibili a tematiche di questo tipo e consapevoli del sistema e dell’apparato che costituisce la filiera Amazon è piacevole. L’auspicio è quello di includersi all’interno di questa coscienza e comprendere che questo sistema industriale va contrastato a partire dall’industria 4.0.
Tuttavia, penso che questa domanda ricada un po’ nella sua individualità, tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni e del nostro modo di vedere il mondo e la società. Se io dovessi parlare e rivolgermi ai miei colleghi Amazon gli direi questo: questi sono i diritti che esistono e li stiamo esponendo pubblicamente per rivendicarli e dobbiamo farlo. L’ambizione è quella di poter chiudere questa lotta positivamente, una lotta che deve prevedere un’ambizione collettiva. La mobilitazione non riguarda solo me e la mia attività sindacale, ma riguarda comunque tutti i lavoratori in condizione di lavoro subordinato.
Sottolineo che la solidarietà è una cosa che fa piacere ed era una cosa che poteva anche non essere espressa. In tal senso, tanto di guadagnato. Al tempo stesso però, ricordiamoci comunque che questa è una faccenda generale che riguarda tutti i lavoratori dell’industria Amazon.
Ringraziamo Valter per il contributo all’intervista, come La Voce delle Lotte appoggiamo la lotta degli operatori del settore logistico, sostenendoli a fronte una contrattazione collettiva che favorisce i padroni e le aziende che fanno della sorveglianza e delle vessazioni, il loro cavallo di battaglia per reprimere i lavoratori.
Marco Adamo