Il finanziamento di 150 milioni alle scuole private previsto dal Decreto Rilancio si inserisce in una lunga tradizione di regalie all’istruzione privata che ci è già costata circa 5 miliardi di euro negli ultimi 10 anni.


In questi giorni si fa un gran parlare sui media e sui social dei problemi della scuola dovuti alla pandemia: DDA, esami di maturità, ripresa della scuola a settembre con il progetto di far lezione a metà degli studenti in classe e a metà da casa, per rispettare il distanziamento.

In questo calderone può colpire lo sciopero delle scuole private del 18 e 19 maggio che ha unito docenti, dirigenti, studenti e genitori sotto la richiesta di maggiori finanziamenti statali. Questa rivendicazione può risultare curiosa se consideriamo che gli istituti privati possono contare sulle cospicue rette degli iscritti e molti di questi, quelli legati alla Chiesa cattolica, non pagano l’IMU. I privati si fanno forti della minaccia di una mancata riapertura di 1/3 degli istituti, il che aggraverebbe una situazione già critica. Le strutture esistenti infatti, pubbliche o private che siano, non saranno probabilmente sufficienti a garantire un pieno ritorno alle attività scolastiche, tanto che si prevede un periodo in cui gli studenti frequenteranno la scuola alternandosi tra loro (metà in classe e metà on-line).

In realtà il Decreto Rilancio, stando a quanto si può leggere sulla gazzetta ufficiale del 19 maggio, ha già stanziato 150 milioni per gli istituti privati da distribuire tra scuole per l’infanzia, primarie e  medie, ma nonostante questo c’è chi ha il coraggio di lamentarsi. Secondo il presidente del CISM (Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori) padre Luigi Gaetani, ma anche secondo la Lega e gli altri partiti che lo appoggiano, questa cifra è un’elemosina che umilia le 900 mila famiglie che hanno scelto le scuole private e i 180.000 lavoratori che ci lavorano.

Tentiamo allora di capire un po’ più a fondo, e numeri alla mano, la realtà della scuola privata in Italia.

Secondo uno studio recente del MIUR le scuole paritarie in Italia sono 12.564 con 866.805 frequentanti, di cui 524.000 sono bambini. Parliamo del 24% delle scuole italiane.

Ma cerchiamo di entrare nel merito del contributo dello stato alle scuole private.

Lo stato spende annualmente 500 milioni di euro per sovvenzionare le scuole private e a questi, in alcuni casi, si possono aggiungere i finanziamenti delle regioni. La Regione Lombardia, in particolare, ha attuato la cosiddetta “dote scuola” per chi iscrive i figli alle scuole private.

Ma come è stato possibile arrivare ad una tale situazione nel momento in cui l’art. 33 della Costituzione italiana recita che l’istruzione privata non deve avere oneri per lo stato? In un primo momento si è aggirato l’ostacolo fornendo incentivi economici non direttamente alle scuole ma alle famiglie che sceglievano di iscrivere i figli alle scuole private, il tutto in nome della pluralità di offerta didattica. In realtà, salvo rare eccezioni, le scuole private non assicurano offerte formative differenziate; a spingere molte famiglie a scegliere le scuole private, e in particolare scuole private dell’infanzia, sono piuttosto una maggiore diffusione territoriale e orari più elastici, il che risulta decisivo nel caso in cui entrambi i genitori lavorino. Tutte cose che, a ben vedere, potrebbe offrire anche la scuola pubblica con finanziamenti adeguati.

In effetti uno dei grandi incentivi alle scuole private è stato proprio lo sfascio dell’istruzione pubblica.

Si potrebbe iniziare dal colpevole immobilismo del ventennio dal 1975 al 1995, durante il quale sono stati attuati solo interventi parziali per la scuola pubblica senza però un progetto complessivo di riforme e finanziamenti in particolare per le scuole secondarie, tale da permettere alla scuola di far fronte alle esigenze di una società mutata e di una popolazione più ampia.

Ma il colpo pesante alla scuola pubblica fu sferrato durante il mandato iniquo del ministro dell’Istruzione Moratti (2001-2006). Come primo atto il nuovo ministro abolì la legge 30 voluta dal suo predecessore Berlinguer (Luigi, non Enrico), che aveva cercato di mettere in atto un progetto di riforme complessivo per l’intero sistema di istruzione attraverso la strategia detta “Mosaico”.

In seguito Moratti passò a ridimensionare gli interventi dello Stato nelle politiche di formazione. Considerò la scuola pubblica come fonte di spese eccessive: troppi docenti, troppe ore di lezioni settimanali da ridurre sensibilmente.

Così a causa della Riforma Moratti in 10 anni, mentre il numero degli studenti cresceva, alcuni istituti furono chiusi e diminuì il numero degli insegnanti (27.000) e dei collaboratori scolastici (36.000).

Il numero dei collaboratori didattici fu ridotto del 6% in tre anni (circa 2000-2500 all’anno), in aggiunta ai 20.000 posti già decurtati negli anni precedenti. Si privatizzarono inoltre i servizi di pulizia con notevole diminuzione di personale, tanto da non poter più garantire le norme minime per la sicurezza previste dalla legge 626.

Per il Ministero occorreva ridimensionare l’intero sistema dell’istruzione riducendo progressivamente le risorse finanziarie da destinare alla scuola pubblica e dando, invece, slancio alla scuola privata.

Nel 2006 il finanziamento per le scuole scese da 331 a 185 milioni di euro e per le scuole professionali da 258 a 196 milioni. Le spese per le scuole non statali passarono da 476 a 532 milioni di euro.

Il finanziamento alle scuole paritarie passò invece da 179 a 500 milioni e i finanziamenti legati al Piano Offerta Formativa da 5 a 14 milioni.
Il successore del ministro Moratti, il ministro Fioroni, non pensò a una riforma complessiva come i suoi predecessori ma ricorse ad aggiustamenti: scuola obbligatoria fino ai 16 anni (come nel resto dell’Europa); rilanciò l’istruzione tecnica e professionale con diploma statale, mentre le Regioni avrebbero dovuto garantire le qualifiche triennali di formazione professionale. Durante il suo mandato ci fu però un’ulteriore diminuzione di finanziamenti pari a 3,174 milioni di euro.

Il ministro Gelmini, in carica dal 2008 al 2011, non prese posizione contro il ridimensionamento economico e strutturale delle scuole pubbliche, anzi durante il suo mandato il finanziamento scese di ulteriori 7,8 milioni di euro.
Modificò invece la governance dell’università ridefinendo gli organi di governo universitario per la docenza e la ricerca, dopo l’accorpamento di istruzione ed università in un unico ministero. Bisogna infatti ricordare che le perdite in termini economici e di personale citati per i precedenti mandati si riferiscono solo alla scuola dalle elementari alle secondarie e che solo a partire dal mandato della Gelmini i 2 ministeri sono stati accorpati.

Neppure i ministri successivi, fino al ministro Azzolina che è attualmente in carica, si sono assunti l’impegno di dare nuova linfa e dignità alla scuola pubblica. Dobbiamo davvero credere che questa sia un carrozzone che produce soltanto debiti? E se invece dietro al mancato buon funzionamento della scuola pubblica ci fosse una precisa strategia politica? Evidentemente dare della scuola pubblica un’immagine inadeguata e obsoleta serve, come in altri ambiti, a favorire la privatizzazione. È vero l’Italia è il quarto paese europeo, dopo Germania, Francia e Regno Unito per la spesa assoluta per istruzione pubblica e ricerca ma è vero anche che, considerando la spesa il rapporto al PIL, il nostro paese scende drammaticamente nella graduatoria, tanto da è seguita solo da Romania, Irlanda, Bulgaria e Slovacchia. Un impegno economico, quindi, certamente non adeguato.

Contro questo stato di cose è chiaro che la scuola pubblica dev’essere difesa nel modo più netto. Denunciare le regalie ai privati, i tagli e le mistificazioni, tuttavia, e lottare per un massiccio piano di finanziamenti non può essere che un punto di avvio. Il nostro orizzonte politico è quello di un’istruzione realmente gratuita, libera dall’influsso materiale e ideologico della classe dominante e della Chiesa e al servizio della crescita intellettuale e spirituale dell’individuo e della comunità, senza disparità e anzi a partire proprio dalle classi sfruttate e dagli oppressi; una scuola che sia l’immagine e il germe di una società più equa in cui nessuno sia emarginato o lasciato indietro.

 

Miriam Greco

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