Se è vero che la giustizia è “l’etica del più forte” nel regime capitalistico la giustizia non può che essere per definizione la giustizia della borghesia, e cioè la giustizia intesa dal punto di vista della classe attualmente al potere. Ed è solo accidentalmente se a volte questa giustizia coincide con la giustizia delle classi subalterne (l’esperienza quotidiana ci dice che può succedere, ma è appunto una rarità e non la regola). È accaduto recentemente quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3 del Jobs Act. Era successo con la prima sentenza del caso dei cinque lavoratori FCA (licenziati per avere espresso critiche all’azienda), salvo poi un ritorno alla “normalità” con la sentenza definitiva della Corte Suprema che ha dato invece ragione all’azienda, copiando esattamente le argomentazioni padronali: “[il comportamento dei lavoratori lede] la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, introducendo in azienda una conflittualità che trascende il regolare svolgimento e la fisiologica dialettica del rapporto di lavoro”

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All’interno di questo sistema di leggi concepite primariamente per difendere precisi interessi di classe l’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, non sorprende. Nel capitalismo delle barbarie che sembra approfondire il suo imbarbarimento, Mimmo Lucano è un sindaco fuori dagli schemi, un don Chisciotte in lotta contro i mulini a vento in grado di disobbedire alle leggi (borghesi) in nome di principi morali (l’umanità, l’accoglienza universale) più “elevati”. Come egli stesso probabilmente avverte, questo sistema non è in grado di garantire effettivamente né di mettere in atto tali principi di umanità e cioè di garantire una vita dignitosa a tutti e a tutte, nativi e migranti, nonostante l’abilità dei suoi strati progressisti di riempirsi la bocca di alti principi e intenzioni (attraverso ad esempio il filantropismo o la carità).

In qualità di “Don Chisciotte“, però, egli tenta di fare breccia nei meccanismi del sistema, migliora l’esistenza materiale di centinaia di persone e finisce per questo accusato di “favoreggiamento all’immigrazione clandestina e gestione illecita degli appalti”. Per quanto riguarda la prima accusa non sono necessari commenti per i nostri lettori: essa implica che, in nome del principio più alto “nessun essere umano è illegale”, egli avrebbe ignorato leggi borghesi che invece pretendono di classificare la razza umana sulla base di nazionalità e di decidere chi ha accesso a certi diritti (come il diritto di libera circolazione o di accesso al welfare) e chi no, a tutto vantaggio dei capitalisti che in questo modo possono dividere la classe operaia su linee etniche e avere un bacino inesauribile di forza lavoro iper-ricattabile. In merito alla seconda accusa, la sua colpa è stata quella di favorire una cooperativa locale al fine di dare lavoro ai migranti: curiosamente il medesimo reato viene applicato sia a coloro che favoriscono le aziende degli amici negli appalti pubblici sia a chi, come Mimmo Lucano, vogliono solo aiutare la comunità e dare una vita più dignitosa a chi scappa dalla guerra. Ognuno giudichi da sé circa la “pericolosità” di questo “criminale”! Noi diciamo che non è un criminale chi disobbedisce alle leggi borghesi per perseguire fini più alti, ispirati a una morale diversa, superiore a quella borghese. Risulta chiaro però che per quanto il modello “Riace”, in contrasto con le barbarie circostanti, appaia virtuoso e per quanto Mimmo Lucano vada difeso per il suo operato, la vicenda di Riace dimostra come simili realtà “donchisciottesche” all’interno di questo sistema non possono che rimanere un’eccezione, destinate ad avere vita breve e ad essere perseguite dalla legge, specialmente in tempi in cui il sistema borghese assume il suo volto più reazionario (e non è forse un caso che la vicenda sia venuta fuori proprio ora, ai tempi di un governo ancora più razzista dei precedenti – si lo era anche quello del PD di Minniti, della Turco-Napolitano etc.  – e che fa da corollario al decreto Sicurezza-Immigrazione appena approvato).

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Difendiamo ed incoraggiamo la mobilitazione a favore di piccole, importanti realtà come quella di Riace, ma è necessario essere consapevoli che un reale e duraturo miglioramento sia delle condizioni dei migranti che di quelle dei lavoratori nativi, si può ottenere solo attraverso l’organizzazione della lotta di classe!

Articolo di Matteo Iammarrone

 

 

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.