Riportiamo una lettera mandata alla stampa bolognese, che non l’ha pubblicata, dell’Associazione Pugno Chiuso.


 Scriviamo questa lettera per informare della lotta in corso nelle case popolari di Bologna, di cui poco si è sentito parlare nei media anche locali. Innanzitutto, dunque, presentiamo la nostra associazione. “Pugno Chiuso” è il sindacato inquilini da noi costituito a partire dall’esperienza del Comitato Inquilini Via Gandusio, per la tutela del diritto alla casa nell’ambito dell’edilizia popolare di Bologna e provincia. L’esistenza del nostro sindacato è resa necessaria dalla negligenza dei sindacati e delle istituzioni competenti rispetto ai diritti ed ai bisogni degli inquilini delle case popolari. Della situazione attuale dell’edilizia pubblica a Bologna poco si parla, ma essa rappresenta un vero e proprio paradigma della lotta di classe dall’alto verso il basso, della guerra di rapina ai danni delle classi meno abbienti. Le amministrazioni comunali e regionali, prerogativa del PD, hanno stravolto negli anni la natura di “ammortizzatore sociale” dell’edilizia popolare, trasformandola prima in un patrimonio da spartirsi in senso clientelare, poi, recentemente, in un vero e proprio piano di rientro economico senza regole. In passato, per quanto riguarda le clientele, avvenivano sistematicamente assegnazioni di case popolari sottobanco agli “amici”, come scoperto e denunciato dall’ex assessore Antonio Amorosi – una denuncia ad oggi passata sotto silenzio sia dalla politica (ovviamente), sia dai media, sia dalla Giustizia.

Negli anni recenti, poi, la privatizzazione de facto (e de iure, tramite la svendita all’asta) dell’edilizia popolare ha raggiunto il suo massimo. In nome dell’emergenza, i contratti d’alloggio sono diventati a tempo: della durata di un anno, sei mesi, due anni…ed allo scadere della durata prevista, gli assegnatari passano automaticamente dal ruolo contrattuale di inquilino a quello di occupante abusivo, passibile di sfratto. Ciò comporta che agli “occupanti”, famiglie il cui stato di necessità è riconosciuto dalla stessa istituzione, vengano a questo punto taglieggiati con la richiesta di somme ingenti, cifre crescenti di “canone” ed utenze, spesso raddoppiate o triplicate dall’oggi al domani. Tutto ciò è stato confermato dall’ex assessore alle Politiche Abitative ed alla Sicurezza, Riccardo Malagoli, il quale, discutendo con noi del caso di via Gandusio nella puntata di “Aria Pulita” dell’11/2/2015 su 7 Gold, sostenne che “se si sfora il periodo in cui è dato un aiuto all’emergenza allora automaticamente il prezzo del canone aumenta, perché non si è raggiunto il risultato del percorso di queste famiglie”. Risultato: addebiti anche da 800-900 euro come “indennità”, ad inquilini comunque sotto sfratto ed in condizione di necessità, senza in nessun caso il tempo necessario a sistemarsi (il contratto più “durevole” da noi documentato è quello da tre anni, quello meno, da sei mesi). (Tacciamo in questa sede il ruolo negativo e, nel caso migliore, l’inutilità dei servizi sociali e delle miriadi di associazioni del “Terzo Settore”, a cui sarebbe demandato l’”accompagnamento” degli inquilini nei “percorsi” citati dall’assessore. Parlano da sé i numerosissimi casi che incontriamo di “sforamento del percorso”, con i relativi aumenti punitivi ed infine sfratti.)

Da quasi tre anni ormai rimandiamo di mese in mese svariati sfratti nel complesso di case popolari di via Gandusio (civici 6, 8, 10, 12), dovuti proprio alle scadenze dei contratti a tempo. Non i veri favoriti che Amorosi ha denunciato, bensì i precari delle case popolari, creati proprio da gestioni simili dell’emergenza, sono i “furbetti” e gli “abusivi” che ogni tanto qualche assessore si compiace pubblicamente di “scovare”, rincorrendo i voti della destra.

A proposito del caso di via Gandusio, nella quale il Comune e l’ACER hanno creato un vero e proprio ghetto in cui parcheggiare e taglieggiare gli inquilini con “contratto d’emergenza”, la nuova trovata delle istituzioni prevede l’inizio di lavori di efficientamento energetico dei palazzi popolari (progetto Ri.gene.ra), con conseguente sfratto di decine di famiglie. Di queste ultime, solo una minoranza ha accettato i traslochi proposti da Acer, ritenendoli peggiorativi (ad esempio a causa delle dimensioni estremamente ridotte dei nuovi alloggi). Ad oggi dunque, nonostante le proteste reiterate e presentate sia da noi sia da singoli, Acer ha dato soluzioni solo ad una minoranza esigua delle famiglie. Il 12 aprile prossimo, solamente, sono già previsti più di dieci sfratti, nel solo complesso di via Gandusio [tuti rinviati all’8 giugno grazie a un picchetto organizzato dall’associazione, ndr].

La casa popolare è un diritto garantito dalla tassazione sui salari e dai fondi appositi, una tassazione definita in passato dal noto prelievo GESCAL. Le case popolari sono dei lavoratori tutti, di ogni nazionalità, che le hanno pagate lavorando e versando le tasse, e a loro soli appartengono.

Pretendiamo che sia ripristinata un’edilizia popolare a vantaggio delle famiglie lavoratrici, e dunque tutte le abitazioni siano rese agibili, che sia approntato un piano di assegnazione immediata a tempo indeterminato di tutto il patrimonio (migliaia di alloggi popolari ancora giacciono sfitti nella sola Bologna!) e bloccata la sua svendita, investiti i fondi – ingenti – già preposti, bloccati tutti gli sfratti previsti, cancellate le norme peggiorative (come il nuovo ISEE). Questo è il minimo da pretendere e da concretizzare, per soddisfare un bisogno primario come quello dell’alloggio.

Se nulla sarà fatto in questa direzione, la bomba sociale che le periferie di Bologna covano esploderà drammaticamente ed inevitabilmente, e la responsabilità sarà del Comune, di ACER e di tutti coloro che in questi anni hanno miserabilmente speculato sulle vite dei lavoratori.

Gli inquilini e gli attivisti dell’associazione sindacale Pugno Chiuso

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