Due settimane di pioggia torrenziale nella “regione più progressista d’Italia”: centinaia di evacuati, città immobilizzate. A Bologna salta il Savena (dopo il torrente Ravone settimana scorsa), ma l’amministrazione pensa a reprimere chi solleva la questione dell’emergenza climatica.

Tre giorni di allerta rossa meteorologica per tutta l’Emilia Romagna. Dopo le piogge della scorsa settimana, che hanno immobilizzato il capoluogo di regione e causato danni in tutta la Romagna, la cittadinanza si è svegliata di fronte a uno scenario forse ancora più grave di quello che lo ha preceduto: esondato il Sillaro, frane a Ravenna, 10.000 persone senza acqua corrente a Conselice e centinaia di sfollati in tutto l’entroterra rurale. Sembrerebbe essere solo l’inizio: si stimano già ingenti danni anche a Rimini, Riccione e nel pesarese, a dimostrare che la portata di questa bomba d’acqua si stia estendendo in maniera critica al resto del centro Italia. Intanto, vengono mobilitati centinaia di volontari e volontarie della Protezione Civile, per mettere toppe laddove si spiegano gli effetti più devastanti di un problema che, però, arriva da lontano. Da nessuna parte come a Bologna questo è quanto di più evidente.

Nel bolognese, dove in questo momento arrivano notizie di frane ed esondazioni verso la zona appenninica, il problema cruciale di queste giornate è legato all’interramento di una serie di canali e torrenti che affluiscono al Po, tra cui il torrente Ravone, che tra il 12 ed il 13 maggio non ha retto il flusso importante di acqua piovana ed è esondato, letteralmente esplodendo dal suo contenimento sotto il suolo cementificato di via Saffi e immobilizzando una strada importantissima per la circolazione cittadina, sventrando dall’interno un negozio e immobilizzando completamente metà della città. Tuttavia, sarebbe erroneo fare eco alle dichiarazioni settimanali del presidente della regione, Stefano Bonaccini; se, infatti, è vero che le bombe d’acqua a cui stiamo assistendo, sotto condizioni normali sarebbero eventi di natura eccezionale (“una volta ogni centocinquant’anni”), più di un* studios* del territorio ha ribadito come eventi meteorologici di questo tipo stiano aumentando di frequenza negli ultimi anni.

Inoltre, tentativi come quello di Bonaccini di costruire una retorica orientata alla rappresentazione di un “imprevisto catastrofico” offuscano le reali responsabilità delle amministrazioni locali e regionali nella gestione del territorio e del complicato ecosistema che contraddistingue questa parte di Pianura Padana. Non stupisce, infatti, leggere che l’Emilia Romagna sia al primo posto per cementificazioni in aree alluvionali (secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), e che tra il 2020 ed il 2021 questa regione si attesti pure come la terza per consumo di suolo: la cementificazione è una delle dinamiche ricorrenti nelle iniziative intraprese per gestire le infrastrutture ed il terreno non-urbanizzato delle città dell’Emilia Romagna, e forse la migliore dimostrazione di questo si trova nel progetto di allargamento dell’autostrada che passa da Bologna attraverso il progetto del cosiddetto Passante di Mezzo, al centro delle contestazioni di attivist* e militant* ecologist* da più di un decennio.

Le promesse di un “passante green”, avanzate dalla sinistra della coalizione che, oggi, sostiene il sindaco Matteo Lepore (incarnata da Coalizione Civica e dalla sua portavoce più in vista, l’assessora Emily Clancy), dimostrano tutto il velo di bugie su cui si regge la retorica “ecologista” del comune: i fatti di questi giorni mettono molto in chiaro che il problema non sia da ritrovare in narrazioni catastrofiste, in eventi che accadono “una volta nella vita”, ma in uno spregiudicato e inarrestabile consumo di suolo in nome dell’attrazione di investimenti e profitti (pubblici quanto privati). Qualsiasi “organismo di controllo” di progetti di cementificazione non potrà mai affrontare il cruccio: non puoi cementificare senza il cemento. Si è trattata proprio della decisione di interrare il torrente Ravone, così come tanti altri, a condurre alla paralisi e alla devastazione che il bolognese vede in questi giorni, e a causa della natura strutturale di questo approccio al territorio, e alla natura sistemica della crisi sociale e climatica che ci troviamo ad attraversare, qualsiasi tentativo da parte istituzionale di ripianare i danni causati da queste giornate non può che concludersi nella solita dinamica del “business as usual”: “va bene, vi greenwashiamo il bilancio comunale, ma adesso lasciateci in pace”.

Tutto questo avviene in un clima di grande dispersione del movimento ecologista: dopo l’approvazione definitiva del progetto del Passante di Mezzo, molte componenti civiche della coalizione No Passante (che ha pure organizzato una giornata di mobilitazione in convergenza con il movimento Insorgiamo, lo scorso ottobre) hanno deciso di perseguire battaglie in isolamento, o ultra particolariste, votate alla salvaguardia dell’esistente piuttosto che ad un rilancio della lotta, estesa a strati della popolazione che sempre più stanno cominciando a vedere gli effetti nefasti della devastazione ecologica nelle loro vite quotidiane.

D’altro canto il movimento ecologista, nelle sue espressioni di collettivi e organizzazioni più militanti, ha dovuto far fronte di recente ad un’altra operazione repressiva, con lo sgombero dell’occupazione No Passante in Via Agucchi, proprio nei giorni della prima “emergenza maltempo”. Quasi a provocare il movimento, la procura, con la complicità del Comune, ha voluto bersagliare l* sue* attivist* proprio nel momento in cui si manifestava la ragione per cui svolgono la propria lotta: l’applicazione metodica di atti repressivi contro i movimenti sociali, così come le organizzazioni combattive di lavoratori e lavoratrici, riguarda anche la “regione più progressista d’Italia”, e queste occasioni ricordano che ogni contesto è campo di battaglia, quando il cuore delle problematiche che viviamo risiede nel sistema capitalistico. Proprio in nome dei profitti, e della tenuta del sistema socio-economico, si perseguono politiche repressive contro le opposizioni e devastatrici per il territorio. Affinché la classe dominante possa continuare a mantenere i suoi profitti e le sue reti di operazione, con la complicità delle amministrazioni locali e nazionali devono passare decisioni atte a garantire il controllo del potere politico ed economico di quella classe stessa. A pagarne le conseguenze, i lavoratori e le lavoratrici sul cui lavoro si regge tutto l’impianto, il famoso “sistema-paese” sempre sulla bocca di Bonaccini e soci. Per questo, dunque, abbiamo bisogno di una strategia efficace che rimetta nelle mani del movimento il potere per ribaltare la situazione: il problema è politico, e per questo dobbiamo lottare per l’unificazione politica delle nostre lotte, rivendicando una indipendenza reale tanto dai padroni vari quanto dalle controparti politiche che li supportano: non abbiamo nulla da guadagnare, da approcci gradualisti e conciliatori, da “svolte green” e “transizioni energetiche” all’insegna di mobilità privata e regali alle imprese.

Il tempo per agire è sempre meno, e solo con la solidarietà tra movimento ecologista e movimento operaio possiamo trovare una risposta di classe ed anticapitalista alla devastazione che stiamo vivendo, come a quella, ancora peggiore, che ci attende.

Luca Gieri

— Anche per questo motivo, il circolo locale della Voce delle Lotte si riunirà giovedì 18 maggio, al Circolo Berneri di Bologna (Porta Santo Stefano 1), e discuteremo della recente ondata di maltempo e delle decisioni istituzionali che non hanno fatto altro che contribuire al disastro a cui stiamo assistendo. L’invito è aperto a tutt* coloro che vorranno portare il proprio contributo alla discussione. Vi aspettiamo! —

Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.