– di Antonio Nicolò

Attraverso la tolleranza, la repressione più potente della storia

In vent’anni di dittatura il fascismo non è riuscito ad incidere sostanzialmente nella cultura del popolo italiano, dunque il costrutto ideologico che oggi anima le formazioni militanti di estrema destra è da ascrivere più a fenomeni di retaggio nostalgico che ad una vera e propria costituzione di una coscienza profondamente ideologizzata?  Dalla sua comparsa fino alla sua caduta il fascismo ha proposto un modello, reazionario e monumentale, che però non ha trovato quella totale e profonda adesione a cui aspirava e che avrebbe dovuto portare alla nascita del cosiddetto “uomo nuovo” e quindi di un “nuovo ordine sociale”. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie, la stragrande maggioranza della popolazione italiana in quel periodo storico) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Di fatto il processo di “fascistizzazione” in quella fase storica è fallito portando ad una sorta di aborto

del progetto costato la vita a milioni di donne e uomini. Questo dato storico, difficilmente contestabile, non deve far cadere nell’errore grave che l’idea di fondo, il pensiero che ha guidato la mano armata delle milizie nere, dall’ultimo degli squadristi fino ad arrivare al capo supremo, il Duce, passando per l’insieme di intellettuali e artisti che hanno sposato il progetto fascista sia morto con Mussolini e Hitler. L’idea di uniformare le varie componenti sociali ad un modello unico, centrale, ha radici profonde ed è funzionale al consolidamento e all’espansione a livello planetario di un sistema sociale piramidale, verticale, corporato a seconda delle funzioni economiche-produttive dei vari strati della piramide, corporazioni a loro volta totalmente conformati ai modelli culturali che discendono dal vertice della stessa, il cosiddetto “Centro”.  Oggi questo processo è in atto attraverso metodi e strumenti apparentemente non violenti, indolori. L’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali, che in passato hanno imposto un freno alla volontà di controllo sociale del Centro, se non addirittura tentato di distruggere il Centro stesso (alti prelati, proprietari e/o azionisti della grande industria multinazionale, alta finanza, in una parola: borghesia), quei modelli da cui tutti discendiamo, sono rinnegati. L’abiura è compiuta.

Non si può non notare che uno dei pilastri del costituendo “nuovo ordine mondiale” (così definito, e solo apparentemente contrastato, dagli intellettuali di destra) è il concetto di tolleranza e conseguentemente il suo contrario: l’intolleranza. La società “tollerante” derivata e imposta dalla ideologia “fascistizzante” voluta dal potere borghese, che si è rigenerato e si è dotato di nuovi strumenti dopo il bagno di sangue, la seconda guerra mondiale, che gli ha permesso di creare nuova economia, ma anche di liberarsi di uno strumento che ha fallito l’obiettivo, si realizza attraverso la peggiore delle forme di repressioni della storia umana. Una qualsiasi forma di opposizione al potere costituito, sia che essa si definisca di destra o si definisca di sinistra, nel momento in cui tollera (accetta le regole del gioco) e viene tollerata (viene ammesso al gioco stesso) diviene funzionale alla realizzazione del progetto sociale borghese, divenendo essa stessa una forza repressiva verso tutto ciò che è una reale spinta verso il progresso, verso una società altra rispetto a quella verticale, del dominio dell’uomo sull’uomo.

L’intolleranza in questo processo di omologazione viene vissuta come manifestazione di frustrazione e ansia nevrotica che derivano dalla difficoltà degli strati più bassi della popolazione a sostenersi e sopravanzare nella scala sociale per essere poi trasformata in nutrimento servito sulle tavole imbandite ad hoc dei mezzi di comunicazione per quelle stesse opposizioni tollerate.  Come si è potuta concretizzare una tale forma di repressione? Due passaggi sono risultati fondamentali nella riorganizzazione interna borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazione. Due rivoluzioni che hanno permesso l’avvicinamento delle periferie al Centro (in senso geografico, ma anche nel senso della struttura sociale). La veicolazione capillare delle merci, dei dati, dell’informazione quasi in tempo reale in una condizione di controllo monopolistico delle infrastrutture da parte del vertice sociale (attraverso la totale privatizzazione) sono la condizione per cui si realizza una repressione con una potenza e capacità di attuazione mai vista prima d’ora nella storia. Abolendo ogni distanza materiale il progetto prende corpo, si stringe il fascio di bastoni intorno al bastone centrale dove l’individuo si identifica con il proprio bastone di appartenenza (corporazione) ed ogni corporazione assimila la morale del Centro. Tornando alla domanda iniziale l’estrema destra ora alla ribalta della storia conserva la vecchia forma dal sapore nostalgico (nazionalismo,  razzismo, etc. etc.) per attirare su di se l’attenzione di quella parte della popolazione la cui intolleranza è frutto di nevrosi e frustrazione, ma  nel suo essere tollerante (rispettare le regole del gioco) dimostra di avere saputo compiere quella metamorfosi sostanziale che gli permette di avere un ruolo nel processo di attuazione di un progetto sociale di vasta portata, di potere essere attore, e quindi di usufruire dei conseguenti privilegi, nella costruzione di una società fascistizzata e globale. Fascismo non è il braccio teso con la mano aperta, non sono i cori inneggianti a Mussolini o Hitler, fascismo è una idea profondamente radicata nella cultura borghese, nel capitalismo e va ricercato nelle stanze dove albergano gli alti prelati, nei consigli di amministrazione dell’industria multinazionale, nelle holding finanziarie e vanno ricercati e intercettati i mille rivoli attraverso cui da quei luoghi di potere discendono e si innestano nella realtà, nella vita di tutti i giorni.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.