È diventato ormai un classico ma riguardarlo è sempre bello e commovente! Novecento, un film di Bernardo Bertolucci del 1976 ambientato nella prima metà del 1900 in un podere delle campagne emiliane, parla di un’amicizia tra due italiani contrapposti per estrazione sociale: Alfredo Berlinghieri, figlio dei ricchi proprietari terrieri e Olmo Dalcò, figlio di Rosina, contadina della medesima azienda e marito ignoto. La storia abbraccia tutto l’arco storico che va dai primi del Novecento al giorno della liberazione e in particolare si sofferma molto sul conflitto perenne tra il proletariato rurale e i proprietari terrieri. Il racconto inizia proprio con la nascita dei due protagonisti, Olmo e Alfredo. Nel giro di pochi anni, nonostante la forte distanza sociale, Alfredo incomincerà ad ammirare Olmo e Olmo ad invidiare Alfredo. Tra i due quindi nascerà quasi subito una sorta di rapporto di amicizia, che li legherà per tutta la vita e li vedrà insieme partecipi di molte esperienze. Crescendo, però, la distanza sociale diventa anche distanza ideologica e mentre Olmo diventerà un socialista come suo nonno, mentre Alfredo diventerà un padrone viziato incapace di prendere posizione.

Il vecchio padrone nel frattempo muore e il figlio Giovanni, padre di Alfredo, si rivelerà un padrone ancora più reazionario e sfruttatore nei confronti dei mezzadri, a tal punto che questi ricorreranno allo sciopero e all’occupazione. La prima guerra mondiale però frena questi impulsi, vedendo molti mezzadri impegnati al fronte, tra cui lo stesso Olmo. Ritornati dal fronte, però, la situazione per chi è rimasto nelle campagne si è fatta ancora più dura e insopportabile, in quanto il padrone avendo sostituito molti braccianti con delle macchine ha ridotto la loro paga. Sull’onda degli eventi accaduti in Russia, nelle campagne e nelle città riesplodono aspri episodi di resistenza contadina dinanzi ai soprusi dei ricchi proprietari e questi, per paura di altri moti di rivolta, decidono di unirsi e finanziare le squadracce di camicie nere, i fascisti. Nel frattempo muore anche Giovanni e il podere passa nelle mani di Alfredo. Questi si sposerà con una donna della borghesia francese e prenderà le redini della famiglia Berlingheri. Questo sarà il periodo in cui Olmo e Alfredo non si frequenteranno quasi per niente in quanto Olmo sarà continuamente preso di mira dal fattore fascista Attila e Alfredo, nonostante non condivida in pieno, non farà niente per fermarlo, anzi lascerà che i fascisti compiano i più scellerati atti di violenza nei confronti dei braccianti. Solo alla fine, quando Attila e i suoi bravi faranno irruenza nella casa di Olmo in seguito ad una ribellione guidata da lui contro Attila, Alfredo deciderà di licenziare Attila che poi però si vendicherà ugualmente, se non peggio, sui mezzadri rimasti. Olmo nel frattempo era fuggito via. Dopo tante oppressioni interne e straniere giunge finalmente il giorno della liberazione (25 aprile 1945) e gli uomini delle campagne decidono di partecipare alla resistenza limitrofa. Le donne, che nel frattempo avevano avvistato Attila e sua moglie mentre scappavano, decidono di prenderli e di farli loro prigionieri nel porcile. Nella tenuta arriva anche un gruppo di sfollati dai monti, tra cui vi sono molti preti che cercano di convincere gli insorti a mantenere la proprietà privata e fare la spartizione del patrimonio. Alla fine però su volontà di Tigre, uno dei mezzadri più onorevoli nel podere dei Berlinghieri, questi si convincono e il patrimonio viene abolito. In seguito viene preso anche il padrone Alfredo e processato nell’aia. Alla fine Olmo, nonostante tutte le malefatte subite nel silenzio di Alfredo, lo risparmierà e con uno strattagemma riuscirà a convincere anche gli altri a non ucciderlo. La vecchia amicizia, nonostante tutte le contraddizioni del periodo antecedente la seconda guerra mondiale, dopo esser stata messa a dura prova da tutte le varie ingiustizie, era rimasta salda.

La storia, che nei cinema italiani ebbe molto successo e fu proiettata in due fasi (Novecento atto I, Novecento atto II), si intreccia in un quadro variegato, tra presunte relazioni amorose come quella tra Olmo e la moglie di Alfredo, Ada, e vari vizi borghesi quali il bordello, l’alcolismo, la cocaina e il gioco d’azzardo. Un quadro che ha un non so che di tragicomico, dove il proletariato agricolo e industriale, nonostante la sua miseria economica e sociale, ha un mondo tutto ricco di conoscenze e modi di fare il più delle volte sconosciuti o ritenuti amorali dalla borghesia di quel tempo. Non a caso il film fu inizialmente sequestrato per oscenità e blasfemia dal pretore di Salerno per la scena di pedofilia perpetrata da Attila nei confronti di un bambino e anche, forse soprattutto, per le bestemmie pronunciate da alcuni contadini in alcune parti. Fortunatamente fu poi giudicato non osceno e quindi rimesso in circolazione.

Ogni personaggio inoltre riveste un ruolo ben preciso: Olmo è il comunista per eccellenza, quello non solo che si professa tale ma che ha anche sulle spalle della teoria, una sorta di Lenin se paragonato agli altri braccianti; Alfredo è il solito padrone incapace che non riesce ad imporsi e quindi lascia fare, un po’ come le sinistre riformiste che non riescono a placare l’onda populista delle destre e quindi il più delle volte le lasciano fare; Attila invece è il fascista per eccellenza, quello più repressivo, più estremista, che non guarda in faccia nessuno; Ada, la moglie di Alfredo, amante della modernità e dell’arte, che si innamora di Olmo e si scandalizza per i soprusi dei fascisti ma impotente si lascia andare all’alcolismo, rappresenta forse il lato più bonario, più umanitario della borghesia, che non accetta la reazione ma non avendo coscienza di classe non saprebbe nemmeno cosa proporre in alternativa; Regina, moglie di Attila e cugina di Alfredo, che rappresenta invece il borghese più immorale, quello che se ne frega di tutto pur di saziare la sua sete di potere – non a caso Regina vorrebbe sposare Alfredo e quando sa che invece lui si sposerà con Ada non trattiene alcuni commenti poco a modo su questa; infine il padrone Alfredo, nonno di Alfredo, presente all’inizio della storia che poi si impiccherà nella stalla dopo aver riflettuto sulla sua vita. Il sapere borghese talmente razionale e colto che si accorge di aver condotto una vita misera.

Una storia che quindi va anche oltre i semplici antagonismi, ma in cui si fa strada comunque la lotta di classe per abolire le differenze sociali e la proprietà privata come nella Russia del 1917. Ovviamente in questo caso però parliamo di un proletariato agricolo con scarsa coscienza di classe, come dimostra anche la scena in cui le donne catturano e rinchiudono Attila e Regina nel porcile ma gli uomini non vogliono farle entrare, come se queste avessero un ruolo secondario nella Resistenza, oppure la scena in cui il piccolo Leonida entra con il fucile in mano e lo punta dinanzi ad Alfredo gridando “viva Stalin”. Ma del resto a quell’epoca nel mondo non si conoscevano ancora i crimini di Stalin, e il proletariato agricolo non aveva certo i mezzi economici per poter andare a scuola e sviluppare il pensiero critico della scuola borghese. Rimane comunque impressionante il forte radicamento del movimento di matrice socialista della Lega dei braccianti nel mondo del proletariato rurale, dove dinanzi all’ordine di scioperare tutti i braccianti si trovano immediatamente d’accordo e con il passaparola riescono a far partecipare tutti allo sciopero. Questo mostra come nonostante le condizioni avverse, nonostante le contraddizioni, i lavoratori che sperimentano il gioco dello sfruttamento capitalista possono maturare un certo grado coscienza di classe. A maggior ragione oggi le avanguardie non possono abdicare al loro compito nascondendosi dietro la scusa della scomparsa della coscienza di classe, ma devono incoraggiare, risvegliare e rafforzare questa coscienza, che nessun imbarbarimento culturale potrà mai estinguere.

 

Lorenzo De Girolamo

Nato a Rimini nel 1995. Laureato in Scienze della Formazione all'Università di Bologna. Vive e lavora come rider di Just Eat a Roma.