L’informazione borghese, quando è costretta a commentare le catastrofi ambientali, come quella che si è verificata in questi giorni a seguito dell’uragano “Irma” che ha colpito in particolare Cuba e la Florida oppure li danni prodotti dall’alluvione che in questi giorni ha colpito Livorno, giusto per non dimenticare il recinto di “casa nostra”, ritiene che questi avvenimenti drammatici siano il frutto di trasformazioni dovute alla stessa natura del pianeta o più in generale a generiche colpe degli esseri umani responsabili dei cambiamenti dell’ecosistema.

I manipolatori di coscienze, comunemente definiti dalla vulgata popolare “giornalisti” e che agiscono in un opera di adulterazione della realtà attraverso i media e le TV, evitano solitamente di approfondire le responsabilità sociali e politiche degli avvenimenti e se proprio devono indicare dei responsabili delle catastrofi, individuano negli amministratori locali e nella “mala gestione” della politica i colpevoli di queste sciagure.

Il loro cosciente compito è quello di nascondere le responsabilità della classe dominante e di occultarne le scelte politiche ed economiche che sono alla base di tali disastri. Essi hanno la funzione di difendere l’immagine di quella classe che è responsabile di tali eventi, hanno il compito di tessere gli elogi di quel sistema produttivo su cui si regge la nazione. Un sistema che è tanto sacro quanto lo è la proprietà privata in cui essi credono. Una classe che ha posto come suo principale obiettivo la realizzazione del profitto, senza il quale nessuna attività umana sembra essere utile e necessaria.

I media borghesi si limitano quindi, nella gran parte dei casi, ad una generica diffusione della notizia, mettendo l’accento in particolare sulle conseguenze catastrofiche prodotte dagli eventi, tentando di dare all’opinione pubblica un messaggio di profondo cordoglio ed amarezza per le conseguenze prodotte dai fenomeni ambientali. Un cordoglio tanto inutile quanto falso e stridente con il ruolo che essi svolgono.

Che le colpe delle trasformazioni ambientali siano da ricercare nell’ambito delle attività economiche ed industriali, lo si evince anche da alcune riviste e giornali borghesi. Il limite di questi articoli, che qui riportiamo, è chiaramente la mancanza di una visione di classe e, di conseguenza, le responsabilità della borghesia sono occultate. Uno scotto che la società sembra debba pagare allo sviluppo ed alla industrializzazione.

“Clima: 90 aziende responsabili del 50% dell’aumento delle temperature, c’è anche l’Eni

Le emissioni delle novanta aziende globali più importanti per la produzione di combustibili fossili sono responsabili di quasi il 50% dell’incremento della temperatura, del 57% dell’aumento di CO2 nell’atmosfera e del 30% dell’innalzamento del livello del mare dal 1880 a oggi. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica ‘Climate Change’ da un gruppo di scienziati aderenti alla Union of concerned scientists, sigla nata nel 1969 nell’ambito del Massachusetts Institute of Technology.

Lo studio elenca e traccia le emissioni dei 90 produttori più importanti di combustibili fossili, tra cui Bp, Chevron, Shell, Total, ExxonMobil. Nella lista figurano anche Eni e Italcementi che avrebbero contribuito all’aumento delle temperature rispettivamente per lo 0,3% e lo 0,02%. Gli autori dello studio individuano le società con maggiori responsabilità tra le grandi aziende petrolifere e carbonifere americane, cinesi, dell’ex Unione Sovietica e della regione del Golfo Persico.

Altri articoli ed altri studi riferiscono che le emissioni di CO2 e di altri gas serra da parte di aziende responsabili dell’aumento delle temperature sulla Terra, sono anche superiori al 50%.

“Riscaldamento climatico. 100 aziende nel mondo le maggiori responsabili

L’industria delle energie fossili ha raddoppiato il suo contributo al riscaldamento climatico emettendo tanto gas ad effetto serra in 28 anni (1988-2016) quanto in 237 anni”. E’ quanto fa sapere un rapporto della ONG Carbon Disclosure Project (CDP) sull’impatto ambientale della principali imprese mondiali, pubblicato a giugno con il Climate Accountability Institute.
Peggio, “dopo il 1988, più del 50% delle emissioni di CO2 provenivano da solo 25 imprese e Paesi”, dettaglia il rapporto, il cui obiettivo e’ di aiutare le imprese e i Paesi inquinanti a meglio organizzarsi per far fronte agli impatti ambientali. In totale, 100 compagnie sarebbero responsabili del 71% delle emissioni (articolo di Robin Ecoeur, pubblicato sul quotidiano Libération del 12/07/2017)”.

Se aumentiamo il numero della aziende capitalistiche e prendiamo in esame un numero di circa 10.000 industrie, allora la percentuale di emissioni gassose in atmosfera sale enormemente con percentuali che superano abbondantemente il 90%. Più il campione delle aziende sale, più aumenta anche la quantità di emissioni di CO2 e di conseguenza il rapporto evidenzia una diretta correlazione tra le attività industriali capitalistiche svolte ed aumento delle temperature sul pianeta. Negli ultimi 28 anni sono state emessi nell’atmosfera più gas serra che nei precedenti 237 anni. L’industria capitalistica ha immesso circa 833 miliardi di tonnellate di CO2 nell’aria a fronte delle 820 miliardi di tonnellate rilasciate nei due secoli precedenti.

“Al primo posto per emissioni spicca «Coal India, società indiana per l’estrazione del carbone, con oltre 2 miliardi di tonnellate di CO2 emesse nel 2015. Segue Pjsc Gazprom, società russa per l’estrazione, la produzione, il trasporto e la vendita di gas, con emissioni superiori agli 1,2 miliardi di tonnellate. La multinazionale americana per il petrolio e il gas, Exxon Mobil Corporation, è invece la terza più inquinante con emissioni poco al di sopra del miliardo di tonnellate. Tra i soggetti europei – osservano dall’ASviS,  l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile che ha analizzato il rapporto – la Royal Dutch Shell Plc, multinazionale anglo-olandese del petrolio e del gas, che occupa il nono posto della classifica, la francese Total S.A., undicesima, Eni SpA, al quattordicesimo posto con emissioni in aumento rispetto al 2014, e la British Petroleum Plc, dodicesima. Nella maggior parte dei casi, le emissioni sono rimaste pressoché invariate tra il 2014 e il 2015, mentre avrebbero dovuto diminuire. Quelle di alcuni soggetti sono addirittura aumentate».

Da importanti studi di Istituti che analizzano le conseguenze dell’innalzamento termico sul pianeta, si evidenzia un innalzamento delle temperature ormai inarrestabile e si calcola che possa essere, quasi sicuramente, intorno ai 3 gradi. Un innalzamento che sembrerebbe a prima vista di modesta entità ma che è capace di portare dei disastri enormi in termini sia di vite umane che di distruzione di intere aree geografiche mondiali.

Pur di realizzare profitti in qualsiasi modo lecito od illecito che sia, la borghesia mette a rischio la sopravvivenza stessa del genere umano. L’incompatibilità tra sistema capitalistico e vita sul pianeta è ormai evidente, ma la borghesia preferisce dare le colpe di un tale disastro ambientale ad un generico “essere umano” indistinto, proprio perché essa non può porsi sul banco degli imputati, ma la distruzione del pianeta non può non essere senza conseguenze per la stessa borghesia che pone così le basi per la sua scomparsa e per la distruzione del sistema di produzione che l’accompagna.

Il vecchio e putrido organismo borghese, responsabile della distruzione dell’ambiente, non riesce ancora a perire, mentre il nuovo essere che ha in grembo non riesce ancora a nascere e, tra i dolori di questo parto travagliato, si consuma purtroppo la tragedia umana.

I cambiamenti climatici sfortunatamente non solo gli unici drammi che ha prodotto la borghesia. Tra i numerosi danni all’ambiente, oltre chiaramente le due guerre mondiali, vanno brevemente ricordati il disastro di Bhopal datato 3 dicembre 1984 dove i morti furono circa 4.000, mentre più di 50.000 furono le persone contaminate. Le conseguenze per i contaminati furono: cecità, insufficienza renale e malesseri permanenti degli apparati interni. I danni indiretti coinvolsero circa 20.000 persone. Così pure lo scoppio del reattore nucleare di Cernobyl che coinvolse migliaia di persone colpite dalle radiazioni con centinaia di bambini che contrassero la leucemia.

Come poi dimenticare gli innumerevoli danni provocati dal capitalismo nostrano. Il 10 luglio 1976 a Seveso una nube di tetraclorodibenzoparadiossina viene immessa nell’ambiente da una fabbrica di pesticidi contaminando circa 37.000 persone.

E non si può non citare la Exxon Valdez che versò 40,9 milioni di litri di petrolio greggio sulla costa asiatica prossima all’Alaska e l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon al largo delle Louisiana che scaricò in mare oltre 3 milioni di barili di petrolio nel Golfo del Messico ed anche lo “tsunami nucleare” di Fukushima.  

Questo solo per ricordarne alcuni.

La storia del capitalismo è storia di sangue, sfruttamento, crudeltà e disastri ambientali ed è per questo che esso nasce, come affermò Marx, “grondante di sangue dalla testa ai piedi”. Il sistema di produzione capitalistico è come un cancro che si mangia il corpo in cui si è innestato e completa il suo compito solo distruggendolo, ma così facendo non solo distrugge l’organismo che lo contiene ma anche se stesso. Capitalismo ed ambiente sono diventati ormai sempre più incompatibili ed inconciliabili. La salvezza del pianeta non può non passare per la distruzione del capitalismo stesso e, questo è il doveroso compito che la Storia ha assegnato ai proletari ed alla sua avanguardia di classe.

Qui di seguito riportiamo il sito con le 100 aziende responsabili delle emissioni di CO2.

“https://www.cdp.net/en//articles/media/new-report-shows-just-100-companies-are-source-of-over-70-of-emissions”

Di Salvatore Cappuccio