Nella popolazione di tutto il mondo crescono sentimenti di paura, terrore e disperazione per il pericolo reale, catastrofico del cambiamento climatico. Ma l’umanità non è già condannata a scivolare verso la barbarie e l’estinzione. Il comunismo “del disastro” offre una via di uscita. Di seguito, proponiamo una risposta di Nathaniel Flakin, della redazione di Left Voice, allo scrittore Jonathan Franzen.


La “disperazione climatica” sta contagiando persone in tutto il mondo. Un report di Vice riferisce che questo argomento sta portando le persone a svalutare le proprie vite. Vari psicologi stanno tenendo conferenze su “costruire una resilienza personale e psico-sociale. Innumerevoli pazienti chiedono aiuto ai propri terapisti. Innumerevoli terapisti lottano per dare risposte.

Se il capitalismo continua a immettere CO2 nell’atmosfera, è assolutamente possibile che la civiltà umana possa collassare nell’arco di pochi decenni. Punti di non-ritorno, come lo scioglimento dei ghiacciai e il rilascio del metano dal permafrost, potrebbero rendere la terra tanto calda da non permetterle di sostenere forme di vita complessa.

 

La depressione di Franzen

Conosco questo sentimento di disperazione. A volte quando guardo un uccello, un scoiattolo o una tartaruga al parco, rimango colpito dal pensiero che queste specie potrebbero scomparire prima che io sia diventato anziano. Molto di quello che ci dà un senso come esseri umani riguarda il collegamento con le generazioni future. Quando scrivo un articolo come questo, occasionalmente mi fermo a pensare: qual è il motivo di tutto questo se non ci sarà più nessuno a leggerlo?

L’ultima espressione viene dall’autore Jonathan Franzen sul New Yorker che si chiede, “cosa succederebbe se smettessimo di fingere?“. Sottolinea il fondamentale inganno dell’ONU e delle ONG quando parlano della “nostra ultima possibilità di evitare la catastrofe e salvare il pianeta”. No, la catastrofe è già in corso. La questione è come possiamo limitare al meglio i danni e adattarci al cambiamento climatico.

Per questo ogni paese del mondo dovrebbe “ricostruire completamente la propria economia”, come sottolinea Franzen. Ma lui non crede sia possibile, dando la colpa alla “natura umana” per questo.

Chiamatemi pessimista o umanista, ma fondamentalmente non mi pare che la natura umana possa cambiare in tempi brevi. Io posso sviluppare diecimila scenari mediante il mio modello, e in nessuno di questi vedo raggiungere l’obiettivo dei due gradi.

Cosa è questa “natura umana” che si presume non possa essere modificata? L’homo sapiens si è evoluto nel corso di 200.000 anni. La civilizzazione basata sull’agricoltura è esistita per 10.000 anni. Eppure gli esseri umani non hanno cambiato l’atmosfera per gran parte della loro storia.

Le forze economiche che stanno guidando il cambiamento climatico – la competizione spericolata, la crescita senza fine e nessuna preoccupazione per la sostenibilità – possono sembrare “naturali” ma in realtà hanno solo pochi secoli di vita. Franzen si riferisce alla natura del capitalismo e in questo senso ha ragione: è ovvio che il capitalismo non può cambiare ma tutta la storia umana mostra che possiamo vivere in molte forme di società differenti e mostrare differenti nature.

Franzen mostra il fallimento dell’immaginario liberale: lui semplicemente non può immaginare una società differente da questo relativamente giovane sistema. Non può immaginare un’umanità che collabora per provvedere alle necessità di tutti. Questa in parte perché sono passati decenni da quando abbiamo assistito ad una rivoluzione – o almeno ad un profondo processo rivoluzionario – contro il capitalismo. Questo smorza le nostre immaginazioni.

Così Franzen soccombe alla disperazione. La sua proposta è di fare “scelte etiche” individuali per “ridurre le emissioni”. Dal momento in cui ammette che questo non ha alcun effetto sulla catastrofe,si suppone che ciò serva solo per farci affrontare una fine un po’ migliore – come spazzare sul ponte del Titanic mentre affonda.

 

Non troppo tardi

La disperazione climatica è come ogni altro tipo di depressione: parte da un problema reale, ma una malattia psicologica moltiplica il problema in maniera sproporzionata e impedisce che chi ne soffre intraprenda azioni significative per risolverlo.

Il cambiamento climatico rappresenta la più grande minaccia che l’umanità abbia mai affrontato. Perché sembra che noi non possiamo farci nulla? Perché le forze produttive che abbiamo creato sono totalmente fuori controllo.

Una piccola minoranza di capitalisti controlla la nostra economia, e la loro unica preoccupazione è quella di massimizzare la propria ricchezza. Loro si stanno preparando già ora a scappare dal pianeta – costruendo razzi e pianificando colonie su Marte – piuttosto che fare qualcosa per evitare la catastrofe incombente.

Ma miliardi di lavoratori di tutto il mondo possono prendere il controllo dell’economia e sottomettere le forze produttive a un controllo democratico. Se vivremo in una economia organizzata razionalmente (cioè in una repubblica socialista), potremo immediatamente iniziare la lotta al cambiamento climatico. Tanto per fare qualche esempio: potremmo interrompere l’utilizzo dei combustibili fossili in pochi anni; potremmo eliminare le auto private e rimpiazzarle con trasporti pubblici gratuiti; potremmo costruire nuove città per la popolazione costretta a lasciare le aree costiere. Scienziati che ora sono costretti a lavorare per le grandi aziende sarebbero liberi di lavorare per il bene di tutta l’umanità. Invece di avere Stati “socialisti” in competizione l’uno con l’altro, avremmo un autogoverno di tutta l’umanità basato sulla collaborazione. Il cambiamento climatico sarebbe ancora una sfida difficile, ma gestibile.

L’unica cosa che ci frena da fare passi avanti contro il cambiamento climatico è il dominio del capitale. Una rivoluzione socialista è ora più urgente che mai.

Man mano che gli effetti del cambiamento climatico diventano più drastici, molte persone pensano che la società si sposterà più a destra. Questo è stato sicuramente il caso degli ultimi anni, ma ci sono anche contro esempi: popoli che hanno affrontato disastri naturali, come uragani in Florida o terremoti a Città del Messico, riportano come in tempo di crisi, l’essere umano tenda a ignorare le regole della società classista e lavorare insieme, almeno fin quando la crisi non è passata.

Nei prossimi anni tutto andrà peggio, con ancora più persone costrette a lasciare le proprie case per tempeste e incendi. Questo, comunque, potrebbe non portare le persone a sostenere governi di destra che alzano muri e instaurano stati di polizia. Puerto Rico è stata devastata dai disastri naturali in maniera molto più drammatica che dal cambiamento climatico ma, all’indomani del disatro, la gioventù e i lavoratori hanno dato vita a una dirompente ribellione contro il governo corrotto.

I disastri non portano necessariamente a uno slittamento a destra. Altrettanto facilmente potrebbero, al contrario, portare a una forma di “comunismo del disastro” (“disaster comunism”, termine coniato da Ashley Dawson, che inverte l’idea di “disaster capitalism” inventata da Naomi Klein), in cui i lavoratori si liberano dai capitalisti e cominciano a ricostruire la società secondo principi di collaborazione. Mentre i fautori di un Green New Deal pensano che gli Stati capitalisti possano essere spinti a risolvere la crisi climatica, in realtà è solo una Economia Pianificata Verde che può mobilitare tutte le risorse dell’umanità per affrontare i tempi difficili che ci attendono.

Quando sento la disperazione climatica, io penso alla prospettiva del comunismo del disastro. Unirsi a persone di tutto il mondo per combattere contro la catastrofe – questo è fonte di speranza. Potremmo fallire, ma è l’unica possibilità che abbiamo, e l’umanità è troppo bella per arrendersi senza combattere.

Nel 1932 il rivoluzionario Lev Trotsky scrisse riguardo ciò che servisse per fermare l’avanzata dei fascisti in Germania. Qualcuno chiese cosa sarebbe successo se la lotta del fronte unico antifascista avesse fallito. Trotsky replicò con parole che sono ancora oggi molto attuali:

Alla vigilia di grandi battaglie il rivoluzionario non chiede cosa succederà se fallisce ma come fare ad avere successo. È possibile, può essere fatto, quindi deve essere fatto.

Nathaniel Flakin

Traduzione da Left Voice

Nathaniel è un giornalista e storico freelance che vive a Berlino. Fa parte della redazione del giornale online Left Voice. Nathaniel, noto anche con il soprannome Wladek, ha scritto una biografia di Martin Monath, un trotskista combattente nella resistenza in Francia durante la seconda guerra mondiale, pubblicata in tedesco e in inglese. È nello spettro autistico.