Non fatevi ingannare dai ventuno anni di Sabrina. Né dalla (scoraggiante) impopolarità del format scelto per questo lavoro: quello del cortometraggio che, come già ha argomentato lei stessa in un articolo sul cortometraggio (s)legami d’amore, è in realtà una forma d’arte rispettabile almeno quanto lo è il cinema muto o altri mezzi espressivi, come ad esempio quello, più fortunato, del lungometraggio.

Sento di poterlo fare e lo faccio. Vi prometto che quello che verrà proiettato alla Mediateca Regionale Pugliese di Bari il 21 settembre vi disturberà o vi entusiasmerà, o più probabilmente, sarà il colpo di grazia ad una vostra relazione che sta ammuffendo oppure l’incipit per una svolta ad una che necessita di rinnovarsi. Tornando più seri, quello che provocherà esattamente alle vostre vite non posso di certo saperlo, non conoscendovi uno ad uno. Quello che posso garantirvi è che non passerà inosservato.

È uno di quei prodotti cinematografici che si offenderebbe se venisse consumato con la velocità di un video stupido di Facebook senza stare lì a sentirlo, a comprenderlo, a interpretarlo. Darà da pensare a tutti coloro che saranno disposti ad accogliere il messaggio rivoluzionario che porta con sé. Il Puro e l’impuro di Sabrina Monno, infatti, è una storia semplice, dal sapore quotidiano e vicina allo spettatore. Si sarebbe potuta svolgere tutta nello stesso giorno se fosse realmente accaduta. Nella finzione cinematografica è condensata tutta in quattordici intensi minuti di dialoghi che si svolgono in uno stesso appartamento (eccetto la prima inquadratura, che mostra un personaggio intento ad acquistare una bottiglia di vino rosso).

Quasi fosse una scelta consapevole quella dell’ambiente chiuso, sebbene illuminato, di rimandare alla tipicità di un “ti devo parlare” e al bisogno di farlo liberi dalle distrazioni della strada e del resto del mondo. La casa come panorama delle matasse affettive che, però, una volta sbrogliate necessitano anche di essere portate nella città (la “scoperta” non può rimanere nelle quattro mura, deve essere portata in vacanza o comunque fuori: ecco la ragione dell’enfasi di Francesco quando, nell’ultima scena, decreterà “il poliamore come quel vero amore che tutti cercano” e non meramente come una soluzione “privata” e soggettiva). Un entusiasmante, contagioso disturbo, insomma, sarà ciò che la visione di questo corto provocherà a molti. Oppure un disturbante entusiasmo (come quello del personaggio di Francesco nel “dare l’annuncio” della soluzione).

I giovani Sara (Sabrina Monno) e Francesco (Matteo Iammarrone) sono appena ritornati insieme dopo una rottura dovuta ad un tradimento da parte di lui, quando una coppia di amici, Federico (Matteo Bergonzoni) e Roberta (Elena Romano dei Soultroubles), propongono di andare in vacanza tutti e quattro assieme, si presenta l’occasione per renderli partecipi di un grande cambiamento: la loro non è più una relazione “tradizionale”, ma una relazione aperta, non monogama, poliamorosa. La rivelazione turba Federico e Roberta, facendo al tempo stesso luce sui loro desideri repressi. Alle domande (e provocazioni) degli “anti-cupido” Francesco e Sara (“Quando ti masturbi a chi pensi?”, “E come lo ami? Rinunciando a parti di te stessa?”) seguirà una crisi di Federico e Roberta, che fino a quel momento, avendo recitato un copione già scritto e pensando di conoscere tutte le giuste risposte alle giuste domande, avevano sofferto invano per non essersi messi in discussione.

Uno dei pregi di questo lavoro è, tra le altre cose, la “riscoperta” oltre che del cortometraggio anche della forma dialogica tanto cara alla tradizione filosofica degli inizi e in particolare a Platone.

I diversi personaggi, ponendosi domande essenziali sulla propria condizione, cercano di definire concetti chiave per il proprio benessere, come l’amore, tentando di persuadersi a vicenda per raggiungere un “consensus”. Una sfida dialogica il cui esito avrà conseguenze tangibili per l’esistenza di ciascuno di loro.

 

Matteo Iammarrone

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.