L’avvicinarsi delle elezioni politiche porta anche il Movimento 5 Stelle a dover chiarire la propria responsabilità politica verso la classe dominante, così da diventare anch’essi credibili come governanti dello Stato per conto della borghesia. Sul fronte sindacale la forte componente operaia di voto per il M5S rende l’operazione un po’ più difficile, e nel M5S sussistono ancora forti mal di pancia verso la politica contro il sindacato in quanto tale sempre esplicitata da Grillo. In realtà, i colonnelli di Grillo e Casaleggio sono pronti a sostenere la linea di un nuovo corporativismo dove gli interessi contrapposti tra lavoratori e capitalisti si annullano a favore di questi ultimi, con la fusione tra sindacato e azienda. Una prospettiva tragica, ben peggiore persino dell’attuale situazione sindacale italiana, che ricorda le ricette con le quali il fascismo raccolse il consenso delle masse lavoratrici deluse e sbandate dai tradimenti della socialdemocrazia e dai fallimenti della politica del partito comunista tedesco. Una strategia che, nel caso della Germania di Hitler, si concretizzò nel Deutsche Arbeitsfront. Una similitudine da non sottovalutare, aldilà delle forti differenze storiche: una politica antioperaia non è migliore solo perché non rivendica l’identità e certi metodi del fascismo. Di seguito, un breve approfondimento sull’inquietante politica sindacale del M5S.

La redazione


Il Deutsche Arbeitsfront (Fronte tedesco del lavoro) era un ente parastatale della Germania nazista, il cui scopo era quello di «superare la lotta di classe e l’antagonismo tra datore di lavoro ed operaio salariato», come affermò lo stesso Hitler in un comizio del 1933: si trattava di un’organizzazione corporativista in cui confluirono obbligatoriamente i sindacati che persero, quindi, la loro influenza e la loro autonomia di fronte al partito nazista.

Il partito unico aveva il compito di mediare le controversie lavorative al fine di eliminare ogni possibile turbamento della pace interna. L’organismo sindacale neocostituito fu controllato dal Partito nazionalsocialista. Agli aderenti (obbligati) era fatto divieto di avanzare rivendicazioni salariali o di classe. I sindacati vennero, di fatto, quindi, soppressi, così come i contratti collettivi e il diritto di sciopero.

La logica grillina non si discosta molto dal discorso. Già Grillo tempo fa aveva detto che “difendere il lavoratore significa anche promuovere forme nuove di democrazia e partecipazione sui luoghi di produzione, tagliando al tempo stesso i vecchi privilegi e le incrostazioni di potere del sindacato tradizionale. La presenza e l’incidenza del lavoratore nella governance della propria impresa, per il Movimento 5 stelle, va disintermediata.”

Ora Di Maio strumentalizza la disillusione dei lavoratori nei confronti dei sindacati confederali per sferrare l’ennesimo attacco all’istituzione del sindacato, come strumento per unire ed organizzare le lotte dei lavoratori. Il loro scopo è la disintermediazione sindacale, fingendo di non vedere il rapporto squilibrato, in termini di risorse a disposizione e forza contrattuale, tra datore di lavoro e lavoratore (“L’ossatura del tessuto commerciale del Paese oggi è per il 95% composta da piccole e medie imprese; la maggioranza dei lavoratori ha un rapporto diretto con il titolare dell’impresa e molto meno col sindacato che rappresenta e difende le grandi categorie”).

Contrattazioni ad personam o ad aziendam che minerebbero seriamente l’unità e le rivendicazioni dei lavoratori. Risultato: il non riconoscimento dei lavoratori come classe sociale, ma solo come partecipanti di una dinamica economica, l’azienda. Eliminando l’intermediazione del sindacato, i lavoratori si dovrebbero rapportare, singolarmente o in piccoli gruppi, con i vertici delle proprie aziende, con il risultato di un netto calo del loro potere contrattuale.

Secondo il corporativismo fascista i lavoratori e i datori di lavoro devono collaborare per il bene dello Stato. Per Di Maio: “Se il Paese vuole essere competitivo le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente”. Dunque, dietro proclami in apparenza molto accattivanti – “più rappresentanza per i lavoratori e meno privilegi per i sindacati” o “promuovere nuove forme di democrazia e partecipazione sul luogo di lavoro” – si nasconde l’ennesima insidia per i lavoratori.

Silvio Greco

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.