Pubblichiamo la recentissima traduzione in italiano (la prima in assoluto, almeno per quanto riguarda internet), a cura di Mauro Buccheri, di un brano del 1934 del rivoluzionario marxista Lev Trotsky, il quale ricavava i compiti storici per la classe lavoratrice e per i marxisti in Spagna e in Catalogna a partire dalla concreta situazione del momento, certo diversa da quella attuale. Una lezione di metodo e di studio della questione catalana che risulta utile e stimolante proprio oggi. Riportiamo l’introduzione e le note al testo già presenti nella versione spagnola di Lucha Internacionalista(1).

 


 

Nell’estate del 1934 Lev Trotsky scriveva una lettera al Segretariato internazionale della Lega Comunista Internazionale (antesignana della Quarta Internazionale, ndt] sulla questione catalana. Trotsky indicava ai rivoluzionari della sinistra comunista diretta da Andreu Nin una svolta politica: 1) una presa di posizione netta per la proclamazione di una repubblica catalana indipendente; 2) la necessità che la classe operaia catalana si ponesse a capo di questo processo, rompendo con l’attitudine passiva definita dall’Alianza Obrera; 3) una polemica col governo catalano di Companys a partire dalle sue esitazioni; 4) affidare il compito della difesa della Catalogna a milizie operaie; 5) una campagna d’appoggio tra gli operai e i contadini del resto dello Stato in appoggio all’indipendenza della Catalogna. Questa lotta deve essere la leva per sconfiggere la reazione in tutto lo Stato e aprire la via della rivoluzione operaia. L’internazionalismo proletario e il diritto di autodeterminazione dei popoli si combinano dialetticamente in tutto lo svolgersi dello scritto.

I fatti dell’ottobre 1934 (la chiamata dello sciopero generale rivoluzionario, l’insurrezione delle Asturie, la proclamazione della Repubblica catalana…) confermano la visione profonda che Trotsky aveva degli eventi. Queste risposte, sfortunatamente, coincidettero col processo di rottura della sinistra comunista di A. Nin, e la LCI e Trotsky.

 

1. La valorizzazione del conflitto catalano (2) e delle possibilità che si aprono deve partire del fatto che la Catalogna rappresenta oggi incontestabilmente la più forte posizione delle forze difensive di fronte alla reazione spagnola ed al pericolo fascista. Se si perdesse questa posizione, la reazione otterrebbe una vittoria decisiva e duratura. Con una politica giusta, l’avanguardia proletaria potrebbe utilizzare questo bastione difensivo come punto di partenza di una nuova offensiva della rivoluzione spagnola. Questa dovrebbe essere la nostra prospettiva.

2. Questo sviluppo è impossibile finché il proletariato catalano non sia riuscito a prendere la testa della lotta difensiva contro il governo centrale reazionario di Madrid. Ma questo non è possibile se il proletariato catalano mostra di essere disposto a sostenere questa lotta solo nell’ipotesi che sia intrapresa da altre forze. La politica del proletariato non deve essere dipendente dall’intransigenza del governo di Madrid, o dal carattere reazionario della piccola borghesia catalana. La politica di Maurín di reggicoda della piccola borghesia è adottata dai nostri compagni nell’Alleanza Operaia della Catalogna (3). Ma rompere questo codismo è possibile solo se ci si colloca nel fronte del movimento di difesa, se si chiariscono le prospettive, se si lanciano parole d’ordine sempre più chiare e si incomincia a prendere la direzione della lotta non con le parole bensì nei fatti.

3. Una resistenza vittoriosa è concepibile solo se mobilita tutte le forze delle masse – ed ora esistono tutte le precondizioni per farlo – e se, inoltre, lo fa spingendole avanti, all’offensiva. Perciò è di un’importanza decisiva che l’avanguardia proletaria spieghi sin da adesso alle masse operaie e contadine del resto di Spagna che la vittoria o la sconfitta della resistenza catalana determineranno ugualmente la loro stessa vittoria o sconfitta.

È necessario mobilitare immediatamente questi alleati in tutta la Spagna, e non aspettare il momento in cui l’offensiva reazionaria si materializzi (che è la posizione dei nostri compagni e della maggioranza del comitato dell’Alleanza Operaia) (4).

4. La Catalogna può trasformarsi nell’asse della rivoluzione spagnola. La conquista della direzione in Catalogna deve essere la base della nostra politica in Spagna. Ma la politica dei nostri compagni rende ciò del tutto impossibile. È necessario cambiare urgentemente questa politica se non vogliamo che una situazione chiave si risolva, per i nostri errori, in una nuova sconfitta che potrebbe essere decisiva per molto tempo.

Non possiamo nascondere che la politica dei nostri compagni su questa questione ha leso il prestigio non solo della nostra organizzazione e dell’Alleanza Operaia, bensì del proletariato stesso, e che non si può porre rimedio a questo senza una svolta radicale e la prova dei fatti. La posizione attuale dei nostri compagni e di quelli dell’Alleanza Operaia può essere compresa dalle masse lavoratrici non proletarie solo nella maniera seguente: il proletariato, per mezzo delle sue organizzazioni, è disposto a intervenire se altri incominciano. Ma mette un prezzo per farlo (guardate i termini imposti dall’Alleanza Operaia) alla sinistra catalana (5), ignora completamente gli interessi particolari del contadini e delle masse piccolo borghesi, e si dedicherà a dirigere la lotta in maniera quanto più rapida possibile verso i suoi propri obiettivi di classe, la dittatura del proletariato (6). Invece di apparire come dirigente di tutte le masse oppresse della nazione, come dirigente del movimento di liberazione nazionale, il proletariato qui appare solo come accompagnatore delle altre classi: in realtà, un accompagnatore molto egoista a cui devono farsi delle concessioni, o piuttosto promesse, perché e fintantoché si ha bisogno di lui. La piccola borghesia catalana, la grande borghesia e la reazione, basandosi sull’arretramento della piccola borghesia, non potevano desiderare niente di meglio dal proletariato in una situazione come questa.

5. I nostri compagni devono fondare la loro svolta prima di tutto sulla cosa seguente: devono fare agitazione (tanto dalla loro organizzazione come dall’Alleanza Operaia) a beneficio della proclamazione di una repubblica catalana indipendente, e devono esigere, per garantirla, l’armamento immediato delle masse popolari. Non si può sperare che sia il governo ad armarle: si devono formare immediatamente delle milizie operaie che non solo esigeranno dal governo il migliore equipaggiamento, ma l’otterranno disarmando i reazionari ed i fascisti. Il proletariato deve dimostrare alle masse catalane che ha un interesse sincero nella difesa dell’indipendenza catalana. È da qui che si farà il passo decisivo verso la conquista a tutti i livelli della direzione nella lotta, preparata per la difesa contemporanea della città e della campagna. L’armamento delle masse popolari deve trasformarsi nel centro della nostra agitazione nelle prossime settimane, intorno alle seguenti rivendicazioni: “Nessun taglio degli stipendi! Il governo e i padroni devono far fronte al costo dell’equipaggiamento e delle scorte!”. Le forze militari esistenti devono impegnarsi come istruttori nella formazione delle milizie, ed è necessario fare scegliere gli ufficiali dalle milizie. La base della milizia è la fabbrica.

Gli operai della grande industria, delle ferrovie, etc. e di tutti i servizi pubblici devono fare automaticamente parte di questa milizia. La maggioranza delle masse popolari deve essere chiamata ad unirsi. Ogni reggimento sceglie il suo comitato, il quale invia un rappresentante al comitato centrale di tutte le unità di milizia della Catalogna. Il comitato centrale – cioè, il soviet centrale – funziona come lo Stato politico, ma primo ed innanzitutto come organismo di controllo e dopo come autorità centrale per le scorte e l’equipaggiamento delle forze armate. Nella realizzazione di questo compito, si trasformerà in un organismo vicino al governo, nel governo propriamente detto (7). Questa è la forma, lo sviluppo concreto dei soviet nella situazione attuale in Catalogna.

6. A causa delle sue profonde divisioni interne (8) che non gli permettono di stabilire la sua egemonia nella Catalogna, il proletariato non può, nella situazione attuale, proclamare per sé stesso l’indipendenza della Catalogna. Ma può e deve richiamare con tutte le sue forze all’indipendenza ed esigerla dal governo piccolo borghese di sinistra. Deve rispondere alle sue manovre dilatorie mediante la convocazione di elezioni. “Abbiamo bisogno di un governo che rappresenti e diriga la volontà reale di lotta delle masse popolari”. I comitati di reggimento della milizia devono trasformarsi nel mezzo principale per la preparazione e la celebrazione di dette elezioni. In altre parole, nella misura in cui le due fasi del problema, la proclamazione dell’indipendenza e l’armamento delle masse popolari, possono essere separate l’una dell’altra, è per via della seconda che deve realizzarsi la prima.

7. Il proletariato non solo deve premere per le rivendicazioni democratiche (libertà di stampa, stato sociale, equiparazione dei salari dei funzionari, economia democratica, soppressione delle imposte indirette, imposta progressiva diretta sui proprietari per finanziare la resistenza, etc.) per sé stesso ed oltre alle sue rivendicazioni di classe, ma deve incorporare anche tutte le rivendicazioni specifiche dei contadini e delle masse piccolo borghesi alle rivendicazioni precedenti.

C’è carenza di informazione sui dettagli della questione agraria, ma innanzitutto il proletariato, per propria iniziativa, deve armare le masse con consegne e rivendicazioni per le quali combattere. Ma senza presentare queste rivendicazioni come condizioni per essere disposto a partecipare come classe alla lotta (9).
Lev Trotsky

 

Note

(1) Archivio James P. Cannon, Biblioteca di Storia Sociale, New Yor. [Pubblicato originalmente in francese, in León Trotsky, Oeuvres, volume 4, París EDI, 1979]. Questo documento, rinvenuto negli archivi della LCA (Lega Comunista d’America] non riporta nessuna data e si troca in un dossier che riporta la data del 1934; è scritto in inglese […]. Si tratta, verosimilmente, di una lettera diretta al SI [Segretariato Internazionale] della Lega Comunista Internazionale, il contenuto della quale permette di porla fra luglio e settembre. [Controllando i bollettini dell’epoca e i bilanci dei protagonisti di allora, non pare che questa lettera sia arrivata effettivamente in Spagna]

(2) Una volta tenutesi le elezioni generali del novembre 1933, la formazione di estrema destra CEDA, guidata da José Maria Gil Robles y Quiñones (1898-1980), si evolse nel gruppo più importante delle Cortes [parlamento spagnolo] e iniziò a reclamare chiassosamente il potere, con ogni tipo di minaccia.

D’altro canto, nel dicembre del 1933, il dirigente del partito piccoloborghese nazionalista catalano Lluís Companys y Jover (1883-1940) era stato proclamato presidente della Generalitat de Catalunya. Il «conflitto catalano», fino ad allora latente, emerse nell’aprile del 1934, con la votazione al parlamento catalano, sotto la pressione dell’organizzazione contadina dei “rabassaires” (affittuari di terre), di una legge che riduceva notevolmente i vecchi diritti feudali dei proprietari terrieri.

Il governo centrale, da poco instaurato come presidente Ricardo Samper Ibañez (1881-1938), sotto la pressione dei grandi proprietari catalani, ricorse contro questa legge al Tribunale delle Garanzie Costituzionali, il quale la annullò il 10 di giugno. Il parlamento catalano, in risposta, votò immediatamente una nuova legge, identica in tutti i punti, e i deputati catalani – imitati da quelli baschi – abbandonarono le Cortes. Era evidente che la situazione andava verso una prova di forza, perché l’entrata al governo della CEDA – alla quale il PSOE intendeva replicare con la forza in tutto il partito – non poteva significare altro che la messa in questione delle libertà catalane tramite l’uso della forza armata.

(3) L’Alianza Obrera de Catalunya fu fondata nel novembre del 1933. Era un fronte unico di varie organizzazioni operaie, il Bloque Obrero y Campesino (guidato da Maurín), la Izquierda Comunista (di Nin), il Partido Socialista Obrero Español, il sindacato riformista UGT, i sindacati esclusi dalla CNT per aver seguito i dissidenti chiamati «trentistas» – ostili alla presa della direzione del sindacato da parte degli anarchici della FAI -, e la Federación Sindicalista Libertaria, ugualmente una scissione della CNT. Joaquim Maurín Julià (1896-1973), vecchio dirigente della CNT, poi del Partido Comunista, escluso nei primi anni Trenta insieme alla Federazione Catalano-Baleare, era il principale dirigente del Bloque Obrero y Campesino de Catalunya. Già da diversi anni, Trotsky rimproverava ai suoi compagni spagnoli, specie ad Andreu Nin en particular, l’aver praticato una politica “codista” rispetto a questa tendenza, che egli considerava espressione di una corrente piccoloborghese catalanista.

(4) La posizione adottata dalla conferenza regionale del giugno 1934 della Alianza Obrera de Catalunya era stata quella dell’”appoggio” se “il governo controrivoluzionario di Madrid avesse attaccato la Catalogna, e se, per questo motivo, si fosse proclamata la repubblica catalana”. Questa posizione equivaleva precisamente a prendere la decisione di iniziare la lotta… al governo catalano di Companys, del quale Maurín pensava – e lo scrisse pure nel suo libro “Rivoluzione e controrivoluzione in Spagna” – che “aveva tutto in mano sua”.

(5) Esquerra [Republicana de Catalunya] era l’organizzazione nazionalista catalana, il cui primo capo, il colonnello Macià, aveva esordito proclamando la repubblica “catalana”. Il suo capo in quel momento, Companys, era l’avvocato dei militanti della CNT da diversi anni.

(6) La conferenza di giugno la Alianza Obrera aveva specificato nella sua risoluzione finale le rivendicazioni proletarie che poneva come condizione per la sua partecipazione nella resistenza a Madrid.

(7) Nell’estate del 1946, il “Comitato centrale delle milizie” di Catalogna si convertì nell’arco di alcune settimane, in pratica, nell’autentico governo rivoluzionario della Catalogna contro il pronunciamiento golpista dei generali.

(8) La CNT catalana rimase nettamente al margine della Alianza Obrera, a differenza dell’organizzazione regionale asturiana, che ne era un membro entusiasta.

(9) Questi consigli a Izquierda Comunista de España non furono ascoltati, e la ICE non tenne conto di queste valutazioni. Anche se prese posizioni per la Repubblica catalana Izquierda Comunista aspettò l’ingresso della CEDA al governo nell’ottobre del 1934 per chiamare lo sciopero generale attraverso Alianza Obrera. Questo sciopero, combattuto dalla CNT, fu un fallimento e implicò la messa in gioco dello status quo delle “libertà” catalana, e dell’esistenza stessa della Generalitat.

 

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.