L’esito della partita giocata ieri sera al San Siro tra Italia e Svezia (0-0) ha decretato l’entrata ai Mondiali di calcio Russia 2018 per la Svezia (che non può nemmeno più vantare un singolo campione à la Ibrahimovic) e l’eliminazione per l’Italia: è la prima volta dal 1958 che la nazionale azzurra non si qualifica ai Mondiali, essendo peraltro ancora la seconda squadra per coppe mondiali vinte a pari con la Germania e subito dietro al Brasile. Se ci sono abbondanti motivi tecnici per comprenderne l’esito, questa sfida si è dimostrata l’ennesima occasione per uno sfogo nazionalista da due soldi. Ma andiamo con ordine.

Se l’andata in Svezia, finita 1-0, ha visto un gol a dir poco fortunato della Svezia (per il resto, assolutamente poco pericolosa in attacco) e una prestazione complessivamente scandalosa dell’Italia, la partita di ieri ha visto un’Italia più all’attacco, con un numero di tiri discreto – non altrettanto si può dire della loro qualità – e più volte vicina al gol, mentre la Svezia continuava a giocare da squadra sì atleticamente buona e coesa, ma assolutamente mediocre e priva di un reparto d’attacco “da Mondiale”. Stupisce ancora di più, dunque, che la nazionale italiana, ripiena di campioni provenienti dai club più titolati del mondo, sia stata sconfitta dall’anonima Svezia (la quale ha giocatori che in Italia giocano più in serie B o C, che in serie A). Stupisce un po’ di meno se si analizzano le scelte tattiche del CT Ventura, il quale si è incaponito, specie all’andata, sullo schema della ripartenza lenta e lungo le fasce, che parecchie volte si è infranta sull’incapacità di Darmian e Candreva di continuare a far fluire la palla lungo e oltre la tre quarti; non proprio impeccabili nemmeno Verratti (che Chiellini indica come il futuro asse portante della nazionale) e Immobile. Si è creato insomma un clima per cui, pur avendo sulla carta una capacità offensiva molto superiorità, l’Italia non è riuscita a segnare e spesso ha fatto molto fatica a impostare l’azione oltre il centrocampo. Il tutto peggiorato dall’inflessibilità di Ventura nel fare cambi per tempo e nell’imparare dagli errori della andata: giocatori che sembrava scontato vedere giocare come Bernardeschi e El Shaarawy sono scesi in campo al ritorno per una manciata di minuti, Candreva che sprecava occasioni di gioco a decine veniva lasciato al suo posto, schemi del tutto inefficaci continuavano ad essere applicati ottusamente… Non è un caso che l’ordine del giorno ora sia “dimissioni di Ventura”.

Questi, in estrema sintesi, gli aspetti tecnici della disfatta. Ma può forse la marea montante del nazionalismo italiano ammettere che sì, abbiamo giocato male e Ventura ha sbagliato gran parte delle sue scelte? No! Ed ecco, infatti, arrivare Matteo Salvini a reclamare rinnovati e ampliati spazi per l’italica gioventù nei campionati patrii contro “l’invasione” di calciatori stranieri che mina le capacità della nazionale italiana – chissà se Salvini ha gradito quei pochi minuti di gioco di El Shaarawy (che, almeno a me, ha dato l’impressione di necessitare solo di dieci minuti in più per andare a segno o contribuire a un’azione da gol) o di Jorginho (anche lui uno dei migliori in campo), entrambi non proprio discendenti da famiglie italiane da secoli e secoli.

Fa impressione la presa di posizione pressoché identica di Rosario Fiorello, noto attore e showman. In realtà, c’è da sorprendersi poco, dato il sostegno politico dichiarato da anni di Fiorello alla corrente di AN prima e Fratelli d’Italia poi, in particolare all’attuale portavoce Giorgia Meloni, reazionaria da sempre votata al servizio dei capitalisti e della destra berlusconiana con la quale l’area erede del MSI ha sempre governato pur rivendicando un inesistente profilo “popolare”, amico dei poveri figli della patria. Il ragionamento, illogico anche in sé, per cui “cacciando” gli stranieri dai campionati di calcio in Italia si otterrebbe una moltiplicazioni di campioni “da nazionale”, segue la logica di fondo del nazionalismo odierno, utilizzata sempre e comunque per sfogarsi contro qualcuno che sia “altro” – purché non siano i padroni, o anche solo la colossale cupola che gestisce il calcio italiano. Il paradosso è che anche questa nazionale era ben fornita di giocatori per battere perlomeno la Svezia, ma per vari motivi non ci è riuscita. Tale capitombolo, pur consistendo “soltanto” in una partita di calcio (certo, con l’enorme giro di soldi che sta dietro il calcio internazionale ai massimi livelli), costituisce una macchia insopportabile sull’immagine candida della Nazione Italiana, che su nessun piano deve abbassarsi al livello dei barbari stranieri.

E’ invece anche sul terreno dello sport, specie dello sport più praticato in Italia, il calcio, che va data battaglia per contrapporre a tutte le pulsioni reazionarie, oggi sempre più riunite sotto il vessillo politico del nazionalismo razzista, i valori del più deciso internazionalismo, della fratellanza tra tutti gli individui e i popoli, della critica classista all’industria dello sport stesso, che ne fa, al pari di svariate altre attività umane, un veicolo di circolazione e accumulazione di capitale.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.