Concludiamo questo secondo capitolo con la riflessione di Engels sulla famiglia proletaria e su come questa, pur nei forti limiti strutturali e sovrastrutturali impostigli dalla società borghese, contenga in nuce alcuni elementi che la futura società senza classi potrà sviluppare.


L’unica famiglia monogamica che non vide l’esercizio del diritto maschile sulla donna fu la famiglia proletaria. Del resto il diritto civile che difende il dominio dell’uomo sulla donna si fonda sui possedimenti dell’uomo, in particolare su quei possedimenti che possono produrre una rendita o un profitto. Il proletario, che non possiede altro che la prole e vive grazie all’impiego della sua forza lavoro, non gode sicuramente di questo diritto. Senza contare che in realtà, da quando la donna proletaria ha incominciato a lavorare in fabbrica, il suo ruolo attivo nel processo produttivo ha ridimensionato ancora di più quello del marito. Tuttavia però nemmeno la famiglia proletaria fu del tutto immune al patriarcato; essa infatti, seppur proletaria, rimase pur sempre intaccata dalla morale borghese e quindi di conseguenza, perlomeno a livello ideologico, anche in essa vi fu il patriarcato. Anche nella famiglia proletaria il così detto capofamiglia rimase sempre e comunque l’uomo. Fu sempre il marito, insomma, a prendere le decisioni più importanti, a scegliere il nome dei figli e a decidere quale linea seguire nella loro educazione; al capofamiglia spettava tradizionalmente, del resto, il privilegio di sedersi a capotavola. Vi era però il vantaggio che nessuno dei due coniugi aveva obblighi giuridici nei confronti dell’altro. Il divorzio divenne una semplice separazione: quando uno dei due non voleva più rimanere unito in matrimonio se andava semplicemente per la sua strada. Si potrebbe quindi pensare che alla donna proletaria la via della partecipazione alla produzione sociale, e quindi anche dell’emancipazione, sia stata più spianata dalla moderna industria. Ma la realtà è che ella, accanto ai lavori domestici per i quali non era retribuita allora come non lo tutt’ora, doveva in più prender parte alla produzione delle merci. La famiglia di oggi che ritroviamo tra le classi proletarie, del ceto medio e talvolta anche della piccola borghesia, rispecchia un po’ il modello della famiglia proletaria alle origini della grande industria e si fonda, anche se non proprio con i ritmi massacranti di allora e non in tutti i casi, sulla schiavitù domestica della donna. Ecco su cosa si fondò principalmente il patriarcato nella famiglia proletaria. Ancora una volta la famiglia è lo specchio della società. Il conflitto tra uomo e donna è come il conflitto tra borghese e proletario. Il capofamiglia proletario sociologicamente non è un borghese, ma la borghesia ha trasmesso il suo modo di pensare e di agire anche alle altre classi subordinate ad essa.

L’unico elemento che può far abolire la monogamia, o meglio farla nascere sul serio è la scomparsa delle cause economiche che l’hanno generata, ovvero la proprietà privata in mano agli uomini e alle classi dominanti. La scomparsa della proprietà privata infatti comporterebbe anche la scomparsa del patriarcato e di conseguenza anche della prostituzione e dell’adulterio, uniche forme di amore libero tra cittadini. Questo vedrebbe finalmente il realizzarsi della monogamia basata su un vero senso di amore individuale, o perlomeno abbatterebbe i rapporti di forza che pongono l’uno contro l’altro all’interno della coppia – che non per forza deve essere monogamica ma potrebbe essere anche poliamorosa ad esempio–, e porrebbe fine all’istituzione familiare come unità economica della società, rendendo pubblica la cura e l’educazione dei fanciulli. Questo nuovo senso di amore si differenzierebbe anche dall’eros degli antichi proprio perché qui, a differenza di quest’ultimo, la donna è uguale all’uomo e il senso di amore è reciproco.

Ai nostri tempi  possiamo dire che questo tipo di matrimonio è in parte realizzato, poiché nella maggior parte dei casi l’amore è reciproco e all’atto giuridico l’uomo e la donna hanno pari diritti, la firma sul contratto ce la mettono entrambi. Ma quando poi inizia la vita familiare tutto cambia.  Qui il diritto non si intromette e la proprietà privata su cui si fonda il patriarcato misogino non è ancora stata abolita. La donna all’interno della famiglia rimane ancora schiava dell’industria privata domestica e al tempo stesso, se svolge un lavoro fuori casa, è schiava anche dell’industria pubblica. Ella svolge quindi due lavori di cui uno non retribuito e l’altro è retribuito ma il 30% in meno rispetto agli uomini. Rimane poi sempre, all’interno della famiglia odierna, anche quel patriarcato ideologico molto spesso legato al bigottismo cattolico in cui il padre continua a volersi identificare nel ruolo di capofamiglia e a considerare i propri figli e la propria moglie come una proprietà privata su cui imporre il proprio volere. Esso nega qualsiasi forma di democrazia e assembleismo tra tutti i membri nella vita familiare e finisce col creare, con molta più probabilità, una sorta di femminismo borghese da parte della donna e un clima di continua competizione sociale dove per essere considerati dai genitori bisogna riportare dei meriti. Come la società che la  ospita anche la famiglia borghese si fonda su competizione e meritocrazia. 

Azimuth

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