Pubblichiamo la traduzione di un articolo, “What can we learn from the Bolsheviks’ Policy toward Muslims?”, contenuto nella rivista marxista americana, recentemente uscita, Left Voice (n°3, Memoirs of the future: 100 years from the Russian Revolution – “Memorie del futuro 100 anni dalla rivoluzione russa”).


Compagni, voi che per la prima volta vi siete riuniti in un congresso ei popoli dell’Est, dovete proclamare una guerra veramente santa contro i ladroni, i capitalisti anglo-francesi. Ora dobbiamo proclamare che l’ora è suonata: i lavoratori di tutto il mondo possono risvegliarsi e chiamare a raccolta decine, centinaia di milioni di contadini; possono formare un’Armata Rossa anche a Est, possono armare e organizzare una rivolta nelle retrovie dei britannici, possono aprire il fuoco contro i banditi, possono avvelenare l’esistenza di ogni insolente ufficiale britannico che sta spadroneggiando in Turchia, Persia, India e Cina”

G. Zinoviev,Congresso dei Popoli dell’Est, Baku, 1920

 

I Bolscevichi e la religione

Gli storici anti-comunisti per lungo tempo hanno ribadito che i bolscevichi restrinsero le libertà religiose e perseguirono i credenti dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Robert Service, per esempio, lamenta una “campagna del terrore” lanciata dai bolscevichi contro la Chiesa Ortodossa, l’Islam e l’ebraismo. Richard Pipes afferma che la campagna sovietica contro la chiesa fa “accompagnata da una politica diretta contro le credenze e i rituali religiosi”. Gli storici liberali, per parte loro, hanno ripetuto pressappoco queste stesse posizioni per tutto lo scorso secolo.

È indiscutibile il fatto che, giustamente, i bolscevichi abbiano individuato la Chiesa Ortodossa russa come un agente dello zarismo e un nemico nella lotta per il socialismo. Alla vigilia della rivoluzione, la chiesa era il più grande latifondista della nazione, con 7,5 milioni di acri posseduti (circa 3 milioni di ettari, ndr). Nel 1918, il Decreto sulla Separazione della Chiesa e dello Stato, promulgato dai bolscevichi, espropriò la terra e le proprietà della chiesa, mettendoli sotto amministrazione dei soviet. La Chiesa fu anche spogliata dell’immenso potere politico che aveva mantenuto per oltre cinque secoli. I preti e i membri del clero che resistettero alla confisca del loro oro e argento furono imprigionati o giustiziati.

I capi bolscevichi erano convinti atei, come da tradizione del marxismo. Però, come Marx, sapevano che il credo religioso sarebbe svanito per sempre solo quando l’oppressione di classe generatrice di quel credo fosse stata distrutta. La citazione di Marx per cui “la religione è l’oppio dei popoli” è nota. Ciò che è meno noto è quel che la precede: “la religione è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mono senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito”. In altre parole, la devozione religiosa è sorta da condizioni materiali che, al principio del ventesimo secolo in Russia, consistevano nelle vestigia del feudalesimo, insieme con lo sfruttamento capitalista, la guerra e la carestia.

Lenin, in particolare, si curava di distinguere tra l’apparato oppressivo della Chiesa Ortodossa e le masse oppresse che erano ancora perlopiù credenti. Egli dichiarò che i comunisti devono roganizzare “la propaganda più estesa dell’illuminismo scientifico e delle concezioni anti-religiose. Mentre si fa questo, dobbiamo evitare con cura qualsiasi cosa che possa ferire i sentimenti dei credenti, perché tale metodo può solo portare al rafforzamento del fanatismo religioso”.

Le parole di Lenin suonano profetiche oggi. Decenni di feroce repressione dei musulmani – prima sotto lo stalinismo e poi sotto la “democrazia” borghese – hanno alimentato le fiamme del fondamentalismo islamico in Cecenia, Uzbekistan, e ovunque nella ex-Unione Sovietica.

 

Le minoranze religiose sotto lo zarismo

Dopo la Rivoluzione di Febbraio aveva deposto Nicola II, le minoranze, specie i musulmani, gli ebrei e le sette minori cristiani, che avevano sofferto a lungo il giogo dello zarismo, non vedevano l’ora di un nuovo regime politico. Per questi settori, lo zarismo aveva significato pogrom sanguinosi contro gli ebrei, e il programma di “russificazione” che imponeva il russo come lingua ufficiale e imponeva che tutta l’istruzione fosse impartita in russo.

I bolscevichi riconoscevano la necessità di un appello agli oppressi di tutto l’impero – dalle nazionalità oppresse come gli ucraini e i polacchi alle varie minoranze religiose – al fine di assicurare il successo della rivoluzione. Invertirono la russificazione e incoraggiarono nelle scuole l’insegnamento nei linguaggi nativi. Questa politica, come molte altre conquiste per i musulmani e per le minoranze oppresse, sarebbe terminata a seguito dell’ascesa al potere di Stalin. Stalin, che incarnava il crescente “sciovinismo grande-russo”, diffuso nella burocrazia come Lenin aveva denunciato, re-impose il russo come lingua ufficiale di tutta l’URSS e rese obbligatoria l’istruzione in russo dal 1938.

Al contrario dei menscevichi e dei social-rivoluzionari, i bolscevichi offersero alle nazioni oppresse il pieno diritto all’autodeterminazione, incluso il diritto a separarsi dalla repubblica sovietica. I polacchi e i finlandesi scelsero la separazione, ma questo approccio da parte dei bolscevichi assicurò loro la fiducia di molti lavoratori e contadini delle nazionalità oppresse che erano rimaste estranee ai menscevichi e agli SR. Il supporto degli strati popolari di queste regioni si sarebbe rivelato fondamentale nella vittoria dell’Armata Rossa durante la guerra civile.

 

Un appello ai popoli dell’Est

Al tempo della Rivoluzione d’Ottobre, un cittadino su dieci della nuova repubblica sovietica era musulmano. Nella regione dell’Asia Centrale, spesso definita semplicemente “l’Oriente”, oltre il 90% della popolazione era musulmano. Oltre 120 linguaggi erano parlati nella nuova repubblica, e solo circa la metà della popolazione parlava russo. Soltanto 19 linguaggi in questi territori avevano una forma scritta.

L’anti-imperialismo dei bolscevichi e, in particolare, Lenin e Trotsky, fu centrale per la loro politica verso la popolazione musulmana. Lenin spesso citava Marx ed Engels che dicevano “nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni”. Dopo l’insurrezione, i bolscevichi dichiararono nulli e invalidarono con l’Intesa, che aveva offerto alla Russia l’annessione di Costantinopoli e la ripartizione della Turchia e della Persia.

Inoltre, i bolscevichi riconobbero che la sconfitta dell’offensiva imperialista – che li sormontava militarmente e tecnologicamente – richiedeva l’unità di tutti i lavoratori, i contadini poveri e i popoli oppressi grazie alla repubblica sovietica. I dirigenti sovietici videro un alleato nella popolazione musulmana che era stata a lungo soggiogata dalle stesse forze contro le quali l’Armata Rossa lottava: l’imperialismo inglese, l’imperialismo francese e ovviamente le forze controrivoluzionarie zariste.

Ad ogni modo, la conquista dei musulmani poveri e lavoratori al bolscevismo non era un compito facile. Lo storico E. H. Carr scrive:

“[I bolscevichi] concepivano un’immagine molto vaga dei popoli oppressi che aspettavano l’emancipazione da mullah superstiziosi così ansiosamente quanto quella dagli amministratori zaristi; e rimasero sconvolti nello scoprire che, mentre la presa dell’Islam sui popoli nomadi e su parti dell’Asia Centrale era poco più che nominale, esso altrove rimaneva un’istituzione tenace e vigoroso che offriva una resistenza molto più fiera di quella della Chiesa Ortodossa alle nuove idee e alle nuove pratiche. Nelle regioni dov’era forte – sostanzialmente nel Caucaso settentrionale – la religione musulmana era un’istituzione sociale, giuridica e politica, oltre che religiosa, e regolava la vita quotidiana dei suoi fedeli in quasi ogni aspetto. Gli imam e i mullah erano giudici, legislatori, insegnanti e intellettuali, così come politici e a volte capi militari”.

Nel 1920, i bolscevichi convocarono il Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente a Baku, in Zerbaijan. Erano presenti duemila delegati dall’Asia Centrale così come leader sovietici come Grigorij Zinoviev e Karl Radek, e comunisti dall’estero come Bela Kun e John Reed. Nel suo discorso inaugurale, Zinoviev, un bolscevico di origine ebraica e ucraina, invocò una “guerra santa” contro gli imperialisti stranieri. In questo modo, egli ambiva a collegare la campagna dell’Armata Rossa contro i Bianchi e i loro sodali internazionali alla storica lotta dei popoli d’Oriente contro gli occupanti stranieri.

Lo storico Stephen White scrive che: “Il fine anti-imperialista del Congresso non era sfuggito alle autorità britanniche”. Una pattuglia navale britannica fu armata, senza successo, per impedire ai delegati turchi di partecipare. Due delegati persiani in viaggio furono uccisi da un bombardamento aereo britannico, e parecchi altri furono feriti o arrestati. Il congresso si concluse con una imponente processione e l’incendio di un’effige di Lloyd George, Alexandre Millerand e Woodrow Wilson.

 

L’Islam dopo la rivoluzione

Dopo la rivoluzione, ben lungi dall’abolire la religione con la forza, le politiche dei bolscevichi permisero a certe religioni di crescere. Il numero delle madrasse, per esempio, aumentò notevolmente nella regione, come Chris Bambery illustra su Counterfire. Infatti, in alcuni Stati sovietici, questi centri islamici istruivano quasi dieci volte gli studenti che le scuole di Stato facevano. Inoltre, i bolscevichi promossero una politica di korenizatsiia, cioè di “indigenizzazione”, per la quale “ogni nazionalità [sarebbe stata] rappresentata nel governo e nell’amministrazione in proporzione al loro peso nella popolazione”. E mentre permaneva ancora qualche ritrosia verso il nuovo regime sovietico tra le popolazioni d’oriente, “attorno al 1918, il 45% dei membri del Partito Comunista del Turkestan erano musulmani”.

In un brano scritto per International Socialism, Dave Crouch afferma che in Asia Centrale “un sistema giudiziario parallelo fu creato nel 1921, con corti islamiche che amministravano la giustizia in accordo con le leggi della sharia. Lo scopo era garantire al popolo la scelta fra la giustizia rivoluzionaria e la giustizia religiosa”. Comunque, “le sentenze della sharia che contraddicevano la legge sovietica, come la lapidazione o il taglio delle mani, erano proibite”. Circa metà dei casi giudiziari in Asia Centrale durante i primi anni della Rivoluzione furono decisi dalla sharia. Nei casi in cui un processo sotto sharia rifiutava di garantire il divorzio a una donna, lo Stato permetteva il ripetersi del processo in corti rivoluzionarie, se una delle parti faceva appello alla decisione”.

 

La lotta delle donne musulmane

Mentre la rivoluzione offrì molte nuove libertà alle donne, come il diritto al divorzio su richeista della donna e il diritto all’aborto, i rivoluzionario non imposero la propria morale sulle minoranze oppresse. Si concesse alle donne musulmane di continuare a vestirsi con il loro abbigliamento tradizionale, incluso il velo, se così preferivano (un diritto abolito successivamente da Stalin). Parlando al congresso, una delegata dichiarò: “le donne dell’Oriente non stanno soltanto lottando per il diritto a camminare per strada senza dover indossare la chadra (il velo), come molti pensano. Per le donne dell’Oriente, con i loro alti ideali morali, la questione della chadra, si può dire, e di minore importanza”.

Ma non c’erano illusioni sul fatto che le donne musulmane non soffrissero un’estrema oppressione. Un’altra delegata dichiarò in modo inequivocabile: “Noi, le donne dell’Oriente, siamo sfruttate dieci volte peggio che gli uomini”. Per le donne delegate, le rivendicazioni urgenti includevano la completa uguaglianza di diritti, l’accesso eguale all’istruzione e al lavoro, la fine della poligamia, eguali diritti nel matrimonio, e la creazioni di comitati di dnne in difesa dei propri diritti.

 

Il potenziale per una ribellione dei musulmani

Mentre l’anti-imperialismo guidò l’approccio di Lenin verso i musulmani, la propria storia anti-imperialista dell’Islam ha reso i musulmani particolarmente ricettivi rispetto alle idee del bolscevismo. Lo storico liberale John Sidel afferma che nei primi due decenni del ventesimo secolo lavoratori, contadini, marinai e soldati si ribellarono contro i colonizzatori olandesi in Indonesia, la patria della popolazione musulmana più numerosa. Nel 1920, l’Unione Comunista delle Indie fu fondata e divenne il primo partito comunista in Asia a unirsi al Comintern. L’attivista sindacale indonesiano, Tan Malaka, invocò un’alleanza tra il crescente movimento pan-islamista e il movimento comunista. La mancanza di chiarezza del primo sulla questione di classe, insieme alla regressione dell’Unione Sovietica verso lo sciovinismo negli anni seguenti, significo che l’unità delle forze antimperialiste non si materializzò.

Oggi abbiamo l’esempio della Primavera Araba nata nel 2011. Questo fenomeno ha mostrato l’enorme potenziale dei popoli delle nazioni a maggioranza musulmana per la rivolta contro la tirannia e l’oppressione. Cominciata come un movimento per la democrazia e contro l’austerità in Tunisia, essa si è diffusa rapidamente attraverso il Medio Oriente. In Tunisia, manifestazioni di massa e scioperi generali hanno posto fine al dominio, lungo 23 anni, del presidente appoggiato dagli USA Ben Ali. In Egitto, il movimento ha rovesciato la repressive amministrazione Mubarak, che aveva governato per un trentennio col pieno supporto dell’imperialismo USA. Queste sollevazioni popolari si sono confrontate anche con diversi governi “islamisti”, come quello di Morsi in Egitto, che è stato eletto nel 2012.

In ogni caso, la mancanza di un programma politico indipendente della classe lavoratrice nella Primavera Araba ha portato in ultima istanza alla cooptazione del movimento da parte delle forze borghesi e, infine, alla sua disfatta. L’imperialismo ha ripristinato lo stato di polizia in Egitto con un coup militare. In Tunisia, come scrive Gilbert Achcar su Jacobin, “il nuovo partito dominante [è] in buona sostanza… una versione ammodernata del partito dominante del vecchio regime”. Ma questo movimento di massa ha dimostrato che saranno i lavoratori, la gioventù egli strati popolari nelle strade ad ottenere riforme democratiche, non le forze borghesi o gli interventi americani.

 

Come possiamo applicare oggi la politica bolscevica?

Chiaramente, le attitudini progressiste dei bolscevichi verso le minoranze oppresse e le religioni contrastano nettamente con le leggi e le pratiche anti-islamiche in vigore oggi nell’Europa e negli USA moderni. Austria, Francia, Belgio, così come vari altri Stati e città in altri paesi europei, hanno imposto dei divieti sui veli integrali. E non sono soltanto i partiti di destra ma anche quelli “democratici” ad essere responsabili per queste restrizioni. La Francia ha tentato di andare oltre nella repressione dell’abbigliamento islamico proponendo un divieto per il “burkini” che proibirebbe i costumi che coprono il corpo intero. Nel mentre, le grandi testate giornalistiche deridono Maometto e ritraggono gli islamici come rabbiosi terroristi. L’identificazione e il tormento dei musulmani è sfrenato negli aeroporti, nelle università e in altri luoghi. In questo senso, la tolleranza ottenuta nei primi anni della repubblica sovietica “senza dio” supera di molto la situazione esistente nei “paesi illuminati” d’Occidente.

Le lezioni dei bolscevichi, però, vanno oltre l’approccio dei socialisti verso i musulmani. Parlando al Congresso di Baku, Zinoviev parafrasò il famoso slogan del Manifesto Comunista, dichiarando, “Lavoratori di tutte le terre e dei popoli oppressi del mondo intero, unitevi!”. I bolscevichi vedevano il bisogno urgente del collegamento tra la causa dei lavoratori e quella delle minoranze oppresse, incluse quelle che non erano tecnicamente parte del proletariato, ma piuttosto contadini, artigiani o membri di altri settori che erano stati progressivamente schiacciati dal capitalismo.

Nei paesi a capitalismo avanzato oggi, il bisogno di unire la classe lavoratrice con le minoranze razziali [nell’inglese statunitense è uso comune il termine non scientifico di “razza” per indicare i grandi raggruppamenti arbitrari etno-biologici in cui solitamente la popolazione viene classificata, ndr], etniche e religiose è più chiaro che mai. I capitalisti, di fronte a una crescente irrequietezza tra i lavoratori e la popolazione oppressa dopo decenni di austerità e di erosione degli standard di vita dei lavoratori, hanno promosso la xenofobia, il razzismo e l’islamofobia al fine di prevenire l’unità tra i lavoratori bianci, i lavoratori di colore, i musulmani e gli immigrati. Lungi dall’offrire dei benefici materiali ai lavoratori, i politici che hanno fatto campagna a partire da questo fervore nazionalista – Donald Trump e Teresa May tra i tanti – porteranno soltanto ulteriori tagli ai salari, posti di lavoro più precari, e nuovi tagli ai servizi sociali.

Di fronte a tutto questo, la Sinistra [negli USA, con “Sinistra” generalmente non si intendono i partiti borghesi “di sinistra”, cioè in buona sostanza i Democratici, ndr] deve dare tutto il suo supporto ai settori oppressi, prendendo a esempio da casi come la manifestazione a livello nazionale negli aeroporti a seguito del Muslim Ban di Trump, se si vuole conquistare queste comunità a lotte rivoluzionarie. Dobbiamo essere pienamente coscienti che le forze repressive dello Stato, che oggi deportano gli immigrati e arrestano o molestano le persone di colore, domani saranno usate per infrangere gli scioperi e sventare ribellioni operaie. Inoltre, la Sinistra e la classe lavoratrice nei paesi imperialisti devono mettere in campo una solidarietà risoluta con i popoli dei paesi semi-coloniali nelle loro lotte contro l’imperialismo. Dobbiamo rigettare tutte le invasioni “umanitarie” e le campagne di bombardamento che sono portate avanti principalmente contro popolazioni non bianche e musulmane in giro per il mondo. Queste guerre e questi atti di aggressione non portano democrazia né migliorano il benessere della popolazione; al contrario, servono solo gli interessi dei paesi imperialisti e dell’uno per cento.

Il divampare delle guerre civili e della fame per tutto il globo come conseguenza diretta della politica imperialista ha innescato un’onda migratoria dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, gli USA e i varii petro-Stati, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Questa situazione ha creato un nuovo settore di lavoratori immigrati, milioni dei quali sono musulmani. Questi lavoratori sono fra i più sfruttati e oppressi ed è verosimile che guideranno nuove battaglie contro il capitale La solidarietà mostrata dai rivoluzionari russi verso le minoranze oppresse dovrebbe essere un esempio per i lavoratori occidentali su come condurre lotte in comune con i musulmani, gli immigrati, le persone di colore, la comunità LGBT, e tutti quelli che soffrono sotto il giogo oppressivo del capitalismo.

 

Robert Belano

 

Fonti (in lingua inglese):

Achcar, Gilbert. “What Happened to the Arab Spring.” Jacobin, 17 dicembre, 2015. https://www.jacobinmag.com/2015/12/achchar-arab-spring-tunisia-egypt-isis-isil-assad-syria-revolution/.

Bambery, Chris. “The Moon and the Stars: Bolshevism and Islam.” Counterfire. 15 febbraio, 2017. http://www.counterfire.org/articles/history/18769-the-moon-and-stars-bolshevism-and-islam.

Carr, Edward Hallett. The Bolshevik Revolution, 1917-1923. New York: W.W. Norton, 1985.

Crouch, Dave. “The Bolsheviks and Islam.” International Socialism, 6 aprile, 2006, http://isj.org.uk/the-bolsheviks-and-islam/.

Erickson, Amanda. “How the USSR’s Effort To Destroy Islam Created a Generation of Radicals.” Washington Post,  5 gennaio, 2017. https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2017/01/05/how-the-ussrs-effort-to-destroy-islam-created-a-generation-of-radicals/.

Pearce, Brian, trans. “Congress of the Peoples of the East, Baku, September, 1920.” London: New Park Publications Ltd., 1977. Pubblicato precedentemente presso Petrograd: Publishing House of the Communist International, 1920. https://www.marxists.org/history/international/comintern/baku/cpe-baku-pearce.pdf.

Pipes, Richard. A Concise History of the Russian Revolution. Knopf Doubleday Publishing Group, 2011.

Schiffman, Harold F. “Language Policy in the former Soviet Union.” (Handout for LING 540, Language Policy, University of Pennsylvania). http://ccat.sas.upenn.edu/~haroldfs/540/handouts/ussr/soviet2.html.

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Wiese, Stefan. “Jewish Self-Defense and Black Hundreds in Zhitomir. A Case Study on the Pogroms of 1905 in Tsarist Russia.” Quest. Issues in Contemporary Jewish History, 3 luglio, 2012. http://www.quest-cdecjournal.it/focus.php?issue=3&id=304.

Sidel, John T. “What Killed the Promise of Muslim Communism?” The New York Times, 9 ottobre, 2017.
https://www.nytimes.com/2017/10/09/opinion/muslim-communism.html

“Religion in the Soviet Union.” Workers’ International News, 1945.
https://www.bolshevik.info/religion-soviet-union170406.htm

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