Dal 18 gennaio fino al 4 marzo, il Palaexpò di Roma ospiterà una rassegna interamente dedicata al regista svedese Ingmar Bergman per celebrare il centenario della nascita dell’acclamato cineasta. Il ruolo ricoperto da Bergman nella storia della cinematografia mondiale è di prim’ordine, tanto da aver influenzato molti registi appartenenti alla “New Hollywood” e al Nuovo Cinema Europeo.
David Lynch gira nel 2001 “Mulholland drive” thriller psicologico ambientato nella città degli Angeli. Nonostante il pubblico non sia riuscito a coglierne da subito il significato (parliamo pur sempre di Lynch) e i vari riferimenti cinematografici, questa pellicola è diventata un piccolo cult e mostra, senza timore d’eccedere nelle citazioni, l’influenza del film del 1966 “Persona” di Bergman sul regista americano.
Volendo analizzare le due opere, è necessario farlo per diverse sezioni, esattamente come gli stessi film di cui si discute.


La vita è un palcoscenico, e tutti gli uomini nient’altro che attori

Alma è una giovane infermiera a cui viene affidato il caso di Elisabeth Vogler. La signora Vogler è un’attrice che, durante la rappresentazione dell’Elettra, decide di non parlare mai più, di vivere nell’assoluto mutismo. Elisabeth rinuncia al ruolo di Elettra, rinuncia al ruolo di attrice, al ruolo di donna e al ruolo (mai realmente desiderato) di madre. Alma, nonostante l’esitazione iniziale, accetta l’incarico, trasferendosi con la grande attrice sull’isola di Faro, dove le due donne vivranno in totale isolamento. Ma come può una giovane infermiera, ancora piena di sogni e speranze, curare un personaggio come Elisabeth?

Per analizzare il film di Lynch, bisogna partire dalla seconda parte: il mondo reale.
Diane è un’aspirante attrice, rifiutata dalla maggior parte dei registi. La classica sognatrice della media-borghesia americana (che Lynch non si stanca mai di prendere di mira) scappata dalla propria casa per diventare una vera Diva. Un passo avanti a Diane c’è Camilla, l’attrice super richiesta da ogni produzione e, soprattutto, da ogni regista. Inizialmente, le due donne paiono essere amiche, quasi amanti. Il loro legame sembra essere talmente forte da spingere Camilla a far dare all’amica parti minori in ogni film di cui è protagonista. Questa situazione destabilizzerà a tal punto la psiche, sicuramente già fragile, della giovane Diane, ossessionata dall’idea (e l’immagine) di Camilla, fino a condurla ad un tragico suicidio.

 

Nessun sogno è mai solamente un sogno

Questi due film, ambientati e girati in epoche completamente diverse, hanno in comune un tema che unisce tutti gli uomini: il sogno. “Sogno” inteso come esperienza onirica per Lynch, come illusione per Bergman. Altro punti in comune sono: il creatore di sogni, ovvero lo show-business e chi interpreta tali sogni, ovvero gli attori (attrici in questo caso).

Alma e Elisabeth

 

Alma, nonostante le certezze di vita con cui si presenta al pubblico e ad Elisabeth, si rivelerà presto incostante, insicura, vuota e piena di illusioni. Illusione intesa come una disperata ricerca di dare un senso alla propria esistenza. Situazione opposta è quella di Mrs. Vogler, l’attrice che quel sogno, quell’illusione, lo vive da così tanto tempo da esser stata capace di vedere oltre, di vedere quel fatidico “nulla” pronunciato da entrambe le protagoniste alla fine del film. Dopo aver visto e vissuto il nulla, l’unica soluzione è il silenzio.
Alma idealizza la figura di Elisabeth fin dall’inizio del film, quando le due donne ancora non si sono incontrate. La idealizza in quanto attrice, in quanto donna la cui forza è stata così grande da permetterle di distruggere i tipici “stereotipi” che una signora dovrebbe incarnare. Il mutismo dell’attrice, rappresenta la figura dello specchio: il doppio speculare di Alma, la quale trova in questa donna una custode per i propri peccati e per i propri desideri. Si può definire una vittoria del silenzio. Lo sguardo glaciale di Elisabeth (ottenuto da un’impeccabile recitazione di Liv Ullmann) porterà Alma ad un totale annullamento: l’intera identità dell’infermiera, ora, appartiene all’attrice. La piccola infermiera si innamorerà inevitabilmente di lei, perché Elisabeth rappresenta tutto ciò che Alma non è, e che vorrebbe essere. Nasce la figura dell’idolo. Ben presto, l’idolo viene distrutto dal tradimento. La signora Vogler non è uno specchio, non riflette, ma assorbe per poi diffondere e giudicare come ogni essere umano. Alma scova una lettera scritta da Elisabeth nella quale, la muta attrice, rivela ad un’amica esterna, tutto ciò che ha “appreso” ascoltando Alma. Inizia la fase del rifiuto. L’infermiera vede la morte della sua prima illusione: i “grandi artisti” non diventano tali per sostenere le cosiddette “persone comuni”. C’è derisione, cattiveria, egocentrismo. Nonostante tutto, “l’amore” di Alma nei confronti di Elisabeth (o verso ciò che lei potrebbe essere) è tale da non distruggere l’idealizzazione di base, portando a gesti vendicativi e sfociando definitivamente nella dimensione onirica. Alma diventa Elisabeth: si innamora di suo marito, conosce la frustrazione provata dall’attrice durante la gravidanza a causa del corpo deformato, non più armonico, sente l’odio e il rancore verso il bambino nato per puro capriccio, perché le donne devono avere la necessità di diventare madri.

 

Diane/Betty – Camilla/Rita

David Lynch, a differenza di Bergman, fa sfociare la propria pellicola nel genere horror che, mi dispiace dirlo per coloro che odiano la categoria, risulta ancora oggi il genere cinematografico più completo, sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista scenico\drammatico.
Analizziamo ora la prima parte del film: il sogno. Il personaggio di Diane (Naomi Watts) crea nel proprio inconscio un mondo alternativo, in cui tutti i protagonisti ricoprono un ruolo opposto a quello interpretato nella vita reale. Diane sarà Betty, una giovane attrice appena arrivata ad Hollywood, piena di sogni, speranze ed illusioni (come l’Alma di Bergman). A Los Angeles incontra Rita (Camilla), una donna sola che, a causa di un incidente stradale, non ricorda più la propria identità. Sarà compito di Betty aiutare Camilla a ricostruire il proprio “io”. In questa dimensione onirica, Betty\Diane ha talento, è apprezzata dai viscidi produttori hollywoodiani, perchè il personaggio amico\nemico, Camilla\Rita, è reso innocuo, vuoto. Rita, tuttavia, esercita anche in questa realtà, un fascino estremo su Betty. Un “sentimento” ricambiato, almeno nel mondo onirico. Betty ottiene carnalmente quell’oscuro oggetto del desiderio che tanto brama, sia in sogno che da sveglia. Non si tratta di omosessualità. Lo stesso “Persona” è stato vittima di chiacchiericci sulla presunta omosessualità tra le due protagoniste. Da un punto di vista freudiano, l’attrazione tra le due donne, che si tratti di Diane e Camilla o Alma e Elisabeth, è spiegata come la necessità del soggetto che sogna di fagocitare colei che, nella quotidianità, è vista come uno scomodo alter-ego; come ciò che si potrebbe essere ma che non si è capaci di essere.

Silencio: il tocco e la morte

Un altro punto il comune tra i due registi è il ruolo fondamentale che entrambi fanno ricoprire alla morte e alla sessualità. L’inizio di Persona, ambientato in un obitorio, mostra un bambino (il figlio rifiutato di Elisabeth o il feto abortito da Alma?) che tenta, invano, di accarezzare il volto della propria madre (?) riuscendo solo a sfiorare i volti in primo piano di Alma ed Elisabeth, che si susseguono su un grande schermo.
Nel mondo onirico, Betty\Diane vede il proprio corpo morto in avanzato stato di decomposizione, rimanendo impassibile, lo osserva senza nemmeno versare una lacrima. Sarà Rita\Camilla ad urlare e disperarsi per la raccapricciante visione. La propria morte non fa paura, anzi, è un oggetto di pura attrazione. La morte diventa protagonista assoluta delle due pellicole, nascendo proprio dai rapporti tra le due donne. L’isolamento di Alma e Elisabeth porta alla morte di un’identità (quella di Alma) che, nel tentativo di “diventare” il proprio alter-ego, finirà con l’auto-distruggersi. La distruzione non comprende la morte della carne, ma la morte di un “io” che resta imprigionato sull’isola di Faro, dato che Alma tornerà a vestire i panni della fedele infermiera prossima al matrimonio.
La Diane di Lynch, invece, sceglierà di uccidersi presa da un forte delirio in cui si renderà conto di non poter andare avanti e di non poter\voler tornare indietro. L’unica soluzione è la morte.
L’attore, in entrambi i casi, è colui che ha la consapevolezza di star recitando, sia su un palco che nella vita reale ed è, quindi, l’unica creatura capace di mostrare la psicosi che ne deriva. Il loro “io” è scisso da principio: sono loro i bugiardi o siamo noi i “corrotti” come ci definisce Elisabeth?
In conclusione, oltre a ripetute inquadrature in cui Diane e Camilla assumono la stessa posa e gli stessi atteggiamenti di Alma e Elisabeth, la pellicola di Lynch si può definire una degna erede del Maestro svedese.

 

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.