Riportiamo la lettera di una compagna che ha scritto a Abbatto I Muri, insieme all’introduzione delle compagne di Non Una di Meno Napoli. Un ennesimo caso molto grave di violenza machista nel cuore dei movimenti sociali, che vede protagonista non un largo e scostante simpatizzante (il che non toglierebbe proprio nulla alla gravità della cosa) ma un personaggio “in vista”, un “capo”. Una questione, quella della profonda cultura sessista che impregna tutta la nostra società, tutti noi, che riguarda, deve riguardare, deve essere presa a cuore da tutti gli sfruttati e gli oppressi. In particolare, il movimento operaio deve affrontare questa questione: se l’emancipazione dell’umanità o sarà l’emancipazione della classe lavoratrice o non sarà, l’emancipazione della classe lavoratrice sarà l’emancipazione dal patriarcato e dal sessismo o non sarà.

Alla compagna che ha denunciato questa situazione di oppressione, e che è riuscita a rompere con essa, vanno la nostra solidarietà e la nostra vicinanza umana e politica totali.


Ripubblichiamo da Abbatto i Muri la lettera di Lei “ #SessismoNeiMovimenti: il mio ex violento e i/le compagn* complici” una riflessione necessaria sul carico di violenza del sessismo all’interno dei movimenti che è qualcosa di aberrante. Questa storia vive nelle ferite delle compagn@ che hanno vissuto lo stesso copione, purtroppo tante. C’è da dire che le modalità con cui spesso ci si arroga il diritto di risolvere casi del genere non sono in grado minimamente di dare risposta ad un dolore che per anni tante di noi portano ed hanno portato dentro. C’è da dire, inoltre, che l’impatto con cui queste notizie vengono colte una volta che emergono, oltre alla spettacolarizzazione, di pari passo rimbalzano su di muro di gomma fatto di chiusura, di incapacità di ascolto, di inadeguatezza e di sessismo.
Da tre anni NUDM ha lanciato il tavolo sessismo nei movimenti, un percorso- con tanti limiti – ma che ha provato ad interrogarsi su episodi di violenza pesanti, per troppo tempo tenuti nascosti. L’abbiamo visto più volte lungo l’ultimo anno con un numero altissimo di compagne che ha deciso di condividere con noi gli incubi vissuti. Ci siamo più volte confrontate con strumenti possibili che non sempre sono stati adeguati e abbiamo provato ad elaborare strategie di condivisione molto spesso dolorosissime ma che hanno anche, in alcuni casi, dato solidità alla comunità femminista fatta di solidarietà e di complicità.
Abbiamo anche visto come alcune storie non siano proprio arrivate o siano arrivate a bassa voce, non solo per la legittima volontà di chi ha subito la violenza di non coinvolgere l’assemblea, ma anche e soprattutto per un meccanismo diffidente di molti percorsi politici di pensare di riuscire ad elaborare da sé e solo all’interno dei collettivi non tanto la violenza agita, quanto il “risanamento” collettivo e individuale: i panni sporchi si lavano in casa, no? Sono panni lavati così bene che lungo gli anni hanno allontanato dalle strutture tante di noi, non solo vittime di violenze e di abusi, ma depoliticizzate della nostra storia, rese invisibili, silenziate.
Non esiste l’antidoto, non abbiamo soluzioni in tasca, abbiamo tanti limiti ma di sicuro non vogliamo assolutamente smettere di parlare di sessismo nei movimenti. Leggiamo questa lettera come una ferita aperta, con il peso e il dolore di non essere riuscite a tendere un braccio più lungo del silenzio e della violenza e soprattutto con tutto l’amore e la solidarietà possibile per chi l’ha scritta.
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Scrive Lei:
Non è facile per me iniziare a parlare di queste cose dopo tutto questo tempo. So che le persone interessate si riconosceranno e non potranno più fare finta di non sapere. Senza dubbio la cosa può essere utile, anzi essenziale. Tanti si chiederanno perché ho aspettato tutto questo tempo, altri si chiederanno perché non l’ho fatto all’epoca. Stanno per avere risposte.
Dico che questa mia presa di parola è molto importante perché mette in evidenza meccanismi agghiaccianti e perversi inerenti agli spazi occupati e ai “compagni più grandi”, quelli che stanno in primo piano sulla scena anche mediaticamente. Meccanismi di violenza e sfruttamento che il movimento deve riconoscere in quanti tali in modo da poter iniziare ad affrontarlo. Perché smettiamola di dirci bugie, questi meccanismi non sono stati veramente affrontati. Nonostante l’arrivo di Non una di meno. Nonostante alcuni attori di questi meccanismi siano stati allontanati. La radice del problema non è stata affrontata e finché non lo sarà nessuna donna sarà in sicurezza nemmeno negli spazi occupati.
Io sono arrivata nella città in cui ancora vivo sei anni fa. All’epoca tenevo venti anni e non avevo mai fatto militanza. Per caso, la settimana del mio arrivo, mi sono trovata in uno spazio occupato e lì ho conosciuto persone che sembravano interessanti, tra cui un uomo, chiamiamolo Blu. Blu era uno dei compagni di riferimento della sua struttura, poteva parlare con chiunque e metteva le sue impressionanti doti comunicative al servizio della struttura e del movimento della nostra città in generale. Si tratta di una persona che ha studiato tantissimo e che all’epoca si stava specializzando in studi di genere, una persona dalle idee straordinarie, senza dubbio uno dei cervelli più preziosi per il movimento, non solo cittadino ma anche europeo. Io sono stata affascinata e siccome mi ha subito fatto delle avances la cosa si è conclusa molto velocemente. Abbiamo passato molto, molto tempo a vederci di nascosto perché lui si trascinava una storia con una ragazza (anche lei figura nota del movimento, ma chiamarla “compagna” sarebbe un’offesa al concetto stesso di compagni), storia in cui si riprendevano, si lasciavano ecc. Devo dire la verità, su quello è stato onesto e io ho accettato di starci lo stesso. Il tempo è passato e ha iniziato a giocare a fare un passo avanti, due indietro con me. Questo ha creato un meccanismo di dipendenza affettiva da parte mia: stavo lontanissima dalla mia famiglia e Blu era l’unica persona con cui avevo legato in modo intimo. Avevo paura di perderlo, l’unica persona che mi conosceva in questa città straniera, di più c’era sempre speranza che le cose sarebbero finite bene per me. Dopo un paio di anni si sono lasciati definitivamente e noi ci siamo fidanzati. Dopo anni di “vengo e torno” io non mi sono nemmeno chiesta se volevo ancora stare con lui: la cosa tanto voluta stava per succedere finalmente!
Però tutto ciò è successo in concomitanza con un altro evento: il centro sociale in cui stavamo era un ambiente orrendo in cui molti uomini (di nuovo, mi rifiuto di chiamarli compagni) erano violenti con compagne, al punto che alcune (anni prima del mio arrivo, che io sappia) erano finite all’ospedale. Questo centro sociale era odiato da tutti gli altri della città, però una parte di noi stava pensando di andarsene dopo aver capito che le cose lì non si potevano cambiare da dentro. Abbiamo quindi fatto una scissione, “guidata” da Blu: dall’altro lato sono rimasti la sua ex col nuovo ragazzo (una persona raccapricciante, estremamente violenta contro le donne. L’ironia è che questa ragazza si definisce femminista, ed aveva anche criticato questo uomo per violenze precedenti.) Il punto di tutto ciò è questo: Blu mi ha scelto nel momento in cui si è accorto, per mille motivi che hanno già abbastanza fatto da gossip, che con questa ragazza non c’era più nessuna possibilità. Quindi la rottura si è tradotta politicamente e sentimentalmente via la relazione con me. In seguito abbiamo occupato uno spazio fantastico e iniziato un percorso politico diametralmente diverso lì.
Però le cose tra me e Blu si stavano deteriorando ad un ritmo allarmante. Stando con me aveva iniziato a mostrami il suo vero viso: quello di un maniaco perverso, un manipolatore frustrato, che è stato definito “vampiro affettivo” in qualche articolo. Ovvio che io abbia avuto degli indizi prima di fidanzarmi, ma la cosa non mi ha rallentata: non è forse vero che “l’amore può cambiare una persona?” Non è quello che ci viene insegnato sin dall’infanzia? Io, come tante ragazze prima e dopo di me, ho pensato di essere in grado di “correggere” quei “difetti”. Vorrei anche precisare, per chi si chiede –giustamente- come ci si finisce in una storia così, che la cosa è molto graduale: un dettaglio ci interpella ma lo ignoriamo perché vogliamo essere felici, poi ci si convince che non è così grave oppure che è una cosa sulla quale si può lavorare, magari con l’aiuto del tempo. Non si considera mai la cosa con distacco: il distacco è la caratteristica di chi vede da fuori o da chi sta guardando il proprio passato. Chi vive una storia non ha mai distacco. Vivere qualcosa è radicalmente e intrinsecamente diverso di analizzare qualcosa. Questa persona man mano mi stava isolando da tutti gli affetti che avevo, dicendo per esempio che le mie amiche erano tutte sceme o borghesi (Interessante notare che l’accusa -da parte di un “compagno”! – era di essere economicamente borghese, e non di avere una mentalità o uno stile di vita borghese). Per gli amici maschi usava stratagemmi elaborati: siccome si dichiarava femminista non poteva fare la parte del geloso rozzo quindi usava altri strumenti. Ossia: spesso mi raccontava delle sue fantasie erotiche, dicendomi quali ragazze gli piacevano. Dopo mi intimava di dirli quali fossero gli uomini che mi piacevano sessualmente. Se non rispondevo, mi diceva che ero ingrata: lui mi aveva detto, quindi perché io no? Non mi fidavo? Avevo paura che sarebbe stato geloso? Ma lui era femminista, non era geloso! Quindi gli dovevo dire: era capace di farmi il nome di ogni maschio che conoscevamo, per ore, per giorni, fino a ricevere una risposta. Dopo avermi strappato qualche nome dalla bocca lo usava contro di me. Diceva “Ma sei molto amica di X in questo momento… Ma non mi vuoi più bene? Poi con te sessualmente non va bene, sarà che vuoi fare sesso con X? Però non mi puoi lasciare, se mi lasci sto male.” Una volta mi stavo avvicinando molto a un ragazzo con cui ho tanto in comune. Siccome secondo Blu questa persona non è fisicamente attraente, la sua tattica è stata quella di accusarmi del fatto che mi stavo innamorando di questa persona, facendo leva sul fatto che adesso aveva paura che io lo abbandonassi, che lui stava male, che senza di me non sapeva che fare, ecc. Ecco come sono finita col non avere nessuno. Nessuno tranne la persona che mi aveva isolata e che mi stava violentando psicologicamente.
Perché la sua violenza era soprattutto psicologica, anche se qualche volta mi ha spinta al punto di farmi volare dall’altro lato della stanza (davanti ai nostri coinquilini dell’epoca). Mi sminuiva costantemente, quando ci si parlava seriamente sembravo sempre una bambina che fa domande inopportune alle quali si risponde velocemente per levarsela dalle palle. Anche quando si parlava di cose con cui avevo a che fare. Io ad un certo punto ho smesso di fare militanza e la mia vita si è ridotta miserabilmente a solo lui. Aveva un potere infinito su di me e mi aveva anche messo in testa che le compagne del nostro collettivo o ci provavano con lui, o avevano detto qualcosa di cattivo contro di me. In tutto ciò ha passato tanto tempo senza lavorare quindi ho dovuto sommare alle mie spese anche le sue. Inutile precisare che non ha mai fatto le pulizie o cucinato e che quando lo mandavo a fare spesa tornava con litri di vino invece che cibo.
Poi c’erano le scene di gelosia. Epiche. Scattavano per dettagli cosi strani che ho messo molto tempo a capire che quando mi faceva una scenata era perché lui era andato a letto con qualcuno. Era capace di insultarmi, minacciarmi, urlare per ore (e non è un’esagerazione: una volta ha passato una notte intera ad urlare, gemere, dire insulti e dare pugni sui mobili) solo perché il mio sguardo aveva incrociato lo sguardo del tipo sbagliato, o perché una nostra conoscenza (che tra l’altro io consideravo davvero brutto, e Blu lo sapeva) mi aveva dato un passaggio a casa col mezzo.
Ma la sua arma letale, quella per cui sono stata tutto questo tempo con lui, quella per cui quando niente più lo giustificava finivo per temere di lasciarlo, era il suicidio. Lui mi minacciava costantemente di suicidarsi. Avevo passato troppo tempo con Y a parlare, lui stava male, si sarebbe suicidato. Non facevo quello che dovevo fare per farlo stare bene, si sarebbe suicidato. Non lo potevo lasciare: si sarebbe suicidato. Quante messe in scena ridicole ha creato! Una volta dopo un litigio, io stavo provando di ignorarlo (cosa quasi del tutto impossibile con i maniaci) dormendo, quindi lui ha fatto un casino di pazzi con le sedie in modo che io mi alzassi a vedere: si stava mettendo a posto una cintura attorno al collo. L’estremità della cintura però, era non legata fermamente a qualcosa, ma incastrata tra le ante di un armadio.
Vorrei raccontare due scene molto disturbanti. La prima è quando mi stuprò. Non si parla abbastanza di stupro coniugale, e si dovrebbe. Non succede come nei film. (Invece succede proprio come in Mad Men con il personaggio di Joan Holloway. Che bello vedere questo tema trattato così bene e realisticamente). Succede che stai nel tuo letto, col tuo ragazzo che vuole fare sesso. Tu gli dici di no, ma sai che lui ti rimprovera il fatto che non vuoi mai fare sesso con lui. Lui insiste: è un mese che non si è svuotato (ufficialmente) le palle! Tu veramente non vuoi, e lui veramente vuole: cosa fai? Urli? Ma è il tuo ragazzo! Stanno anche i coinquilini di là! Sarebbe da pazza urlare perché il tuo ragazzo vuole fare sesso con te. Poi sarebbe un motivo nuovo di litigi e tu sei estremamente stanca. Sei stanca di litigare sempre. Molto spesso lo lasci fare cose per evitare tensioni. Questa volta hai provato a dire di no. Quel no è stato violentato. Difendersi fisicamente? Ma è il tuo ragazzo! Sarebbe da pazza. E poi… lui è più forte. Quindi la tua unica arma è l’immobilità. Stavo sul lato, ginocchia alzate e lui stava sul lato dietro di me. In quel momento sono diventata un cadavere. Non muovermi, non fare niente per farlo godere è stata la mia arma. Speravo anche che la mia rigidità cadaverica gli avrebbe fatto un po’ senso, ma figuriamoci. Niente lo aveva disturbato in quella scena.
La seconda scena disturbante è quando provò a farmi stuprare da un’altra persona. Stavo nel letto ma non addormentata. Lui stava di là con una persona che conosciamo tutti i due, a parlare: sapevo bene che una delle sue perversioni era quella di farmi scopare con questa persona, chiamiamola Rosso, che a me non attrae per niente. Li sento entrare nella stanza e mettersi nel letto. Faccio finta di dormire e sento Blu che invita Rosso a toccarmi. Rosso esita perché sto dormendo, ma Blu lo rassicura: io voglio tanto scopare con Rosso, l’ho detto tante volte a Blu. Rosso, molto a disagio, mi mette una mano sulla spalla. Faccio finta di brontolare nel sonno e mi muovo. Rosso si sente male, dice a Blu che non sembra che sia una cosa che voglio, tra l’altro sto dormendo quindi è meglio lasciarmi in pace. Il giorno dopo Rosso viene da me, l’aria disturbatissima: “ehi, sii sincera con me, ieri… tu veramente sapevi e volevi?” Io faccio l’innocente: “Rosso, sapere e volere cosa?”. Era assolutamente impensabile fargli pesare ancora di più quello che era successo. Tutt’ora non sa che io so: Rosso, non ti preoccupare, non hai fatto niente di male e quella sera sei stata vittima quanto me. Non sento il bisogno di parlarne con te perché l’ho già digerito e non mi pesa, se invece per te è importante parlarne con me sai bene che non c’è problema.
Tutto ciò succedeva in un contesto di militanza: tutti i nostri amici erano del collettivo. Blu si comportava malissimo negli spazi occupati di tutta la città, si ubriacava, faceva risse, molestava ragazze, mi tradiva con ragazze che frequentavano lo spazio nostro. Nessuno ha detto niente. Nessuna ha detto niente. Io alla fine sono riuscita a lasciarlo e sono tornata alla vita. Non è una figura retorica: ho ripreso peso, sono emersa da sotto le coperte anche se ci ho messo quasi sei mesi, ho rincominciato a fare cose, a vedere gente, a fare amicizie. Ho incontrato una persona meravigliosa che mi fa sentire bene. Adesso abito in una casa meravigliosa con gente meravigliosa. Però tutto ciò mi pesa ancora, dopo tutto questo tempo. Forse mi pesa così tanto non per la gravità delle violenze che ho subito (ci vuole tempo a riconoscere che sei stata vittima di violenze, e ci vuole ancora più tempo per trovare le parole per definire queste violenze) ma per la rabbia che ho contro chi non mi è stato vicino in tutti quelli anni. Io ce l’ho con tutto il movimento della mia città. Io ce l’ho con tutti i “compagni” che hanno guardato e sono stati zitti. Io ce l’ho con tutte le compagne che non si sono interessate al mio disagio. Alla fine, si sono accontentate di cacciarlo dallo spazio e dal collettivo per l’ennesima molestia: non è abbastanza. Nessuno ha detto niente. Nessuno mi ha guardato negli occhi. Poi uno si chiede perché tante persone smettono di fare militanza. Ho esitato tanto tempo prima di scrivere pubblicamente per paura di fare un danno ai movimenti. Però ho capito invece che i movimenti così non possono andare avanti. Replicano gli stessi meccanismi che dicono di combattere. Meglio che uno sappia con che cosa potrebbe avere a che fare prima di entrare in un collettivo piuttosto che no. E se la rivoluzione fallirà, sarà colpa vostra, non mia. Finché il movimento non ammette l’esistenza di persone profondamente sessiste e non solo, non potrà mai andare avanti. Però ci vuole coraggio per guardarsi nello specchio. Abbiate coraggio.

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