L’ascesa di Jair Bolsonaro come candidato presidenziale alle elezioni del Brasile, di cui domenica si terrà il secondo turno, ha sollevato un ampio dibattito sulla natura del “bolsonarismo” come ondata politica reazionaria nel paese connessa all’ascesa del populismo reazionario a livello mondiale. In un caso di posizioni e intenti particolarmente autoritari e violenti come quello della destra brasiliana, proponiamo una riflessione teorica sulla distinzione tra fascismo come fenomeno e regime politico, e gli sviluppi bonapartisti che potranno portare dal golpe Temer al governo Bolsonaro.


È impossibile comprendere l’ascesa del bolsonarismo come fenomeno sociale e politico senza comprendere cosa hanno significato le giornate campali di protesta nel giugno 2013 in Brasile.

Non è casuale che il primo assassinio politico del bolsonarismo sia stato quello di un Maestro di Capoeira pubblicamente riconosciuto per la sua lotta contro il razzismo, Moa do Katendê. Bolsonaro, che è il grande favorito con il 58% delle intenzioni di voto contro il 42% di Haddad del PT, non desidera che la polarizzazione sociale e politica che si è avviata nel paese si converta in violenza politico-sociale, almeno fino a quando non saranno terminate le elezioni. Ma quando la rabbia e l’odio incoraggiati da Bolsonaro si sono scatenati, non lo hanno fatto contro la docile burocrazia sindacale e politica del PT, ma con un simbolo della resistenza contro la schiavitù; il risultato sono state dodici pugnalate come forma di risoluzione del “conflitto”. In questo scenario, nonostante gli sforzi di Bolsonaro per contenere l’euforia delle sue basi, si registrano già più di 70 attentati politici di ogni tipo, sempre però come crimini d’odio perpetrato da fanatici bolsonaristi nelle ultime settimane, anche se solo uno si è rivelato fatale.

Le forze più radicali scatenate dal bolsonarismo hanno fatto sì che non pochi lo abbiano definito “fascismo”. Questo concetto è stato utilizzato – nel contesto del collasso economico degli anni ’20 e ’30 e delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale e della preparazione per il Seconda – per caratterizzare uno specifico strumento di mobilitazione e organizzazione della piccola borghesia (che si è soliti chiamare in termini volgari “classi medie”) affondata dalla crisi economica, contro i partiti operai e i sindacati, al servizio degli interessi del capitale finanziario.

Il fenomeno bolsonarista è molto lontano dal contesto e dal grado di organizzazione e radicalizzazione acquisito dalle forze fasciste in quel momento. Tuttavia, una tale categoria può contribuire a spiegare alcune delle tendenze incipienti identificate nei settori della sua base sociale. A sua volta, questo tipo di fenomeno è diverso nei paesi imperialisti e nei paesi arretrati. Come sottolinea Trotsky in “Combattere l’imperialismo per combattere il fascismo” nel 1938:

In Germania, Italia e Giappone il fascismo e il militarismo sono le armi di un imperialismo ambizioso, affamato e pertanto aggressivo. Nei paesi latinoamericani il fascismo è l’espressione della dipendenza più servile dall’imperialismo straniero. Dobbiamo essere capaci di scoprire, sotto la forma politica, il contenuto economico e sociale.

 

Bolsonarismo: un figlio indesiderato del golpismo

È impossibile comprendere l’ascesa del bolsonarismo come fenomeno sociale e politico senza comprendere cosa hanno significato le giornate campali di protesta nel giugno 2013 in Brasile. Queste giornate hanno espresso lo scontro tra, da un lato, le aspirazioni di ascesa sociale provocate dagli anni di crescita economica che segnarono il secondo mandato di Lula e, dall’altro, i lmiti strutturali per la realizzazione di queste aspriazioni in un paese sottomesso alla spoliazione del capitale finanziario internazionale. Queste giornate sono state un’esplosione di indignazione che domandava migliori condizioni nei servizi pubblici, in una San Paolo dove per andare e tornare dal lavoro coi mezzi pubblici si impiegano in molti casi 3 o 4 ore per il viaggio, si viaggia in autobus e treni affollati e con prezzi, come minimo, quattro volte più cari che a Buenos Aires. Questa indignazione ha dato anche luogo a numerose rivendicazioni per l’educazione e la salute che, nonostante la crescita economica che si è registrata durante il lulismo, hanno continuato a essere le più care e precarie del Sudamerica.

Le proteste nelle strade, animate dalla gioventù, sono state accompagnate da un’ondata ascendente di lotte economiche che non si vedeva dal termine della dittatura. Scoppiarono scioperi selvaggi che hanno coinvolti i settori più poveri della classe operaia, esattamente quelli che erano stati impiegati in massa in lavori precari creati dal lulismo. Ci furono scioperi simultanei (anche se non coordinati) di più di 200.000 operai dell’edilizia civile dispersi fra i giganteschi impianti idroelettrici corrispondenti al “Piano di Accelerazione della Crescita” (PAC) di Dilma nel nord, così come tra i cantieri di costruzione degli stadi per i mondiali di calcio nel sud-est e nel sud. Così come nelle opere per l’espansione del conglomerato petrolchimico Petrobras.

Il PT come partito e attraverso la Central Única dos Trablhadores (CUT, il più grande sindacato del paese) ha cercato di dividere, isolare, contenere e deviare quei grandi processi di lotta, arrivando all’assurdo di caratterizzare quelle mobilitazioni come reazionarie perché erano contro il proprio governo. Nella misura in cui non emerse nessuna forza politica e sociale per incanalare questo processo di mobilitazione verso sinistra, furono le correnti di destra a riuscire a capitalizzarlo separando le istanze sociali progressive dal rifiuto del sistema politico nel suo complesso. Incanalarono così questo malcontento specialmente verso il PT, contrapponendo il suo “statalismo” ai valori liberali. È emerso in Brasile un nuovo attore politico-sociale costituito da movimenti giovanili finanziati e influenzate da istituti come Atlas Networks (“Red Atlas”), un think tank ultra-neoliberale riconosciuto per le sue relazioni con il Dipartimento di Stato USA e i  fratelli Koch, così come con le multinazionali del petrolio e del gas. Questo think tank ha 465 istituzioni partner in 95 Paesi (11 delle quali in Brasile) e sostiene di aver “donato” $ 5 milioni per i suoi membri solo nel 2016 [1]. Un Istituto che annovera tra i suoi membri all’argentina Fundacion Pensar, composta dal PRO di Mauricio Macri.

Questi movimenti giovanili della destra liberale, che sono arrivati a contare milioni di follower neli social network, hanno acquisito una capacità di mobilitazione propria nelle piazze contro il governo di Dilma e il PT, avendo lanciato la campagna “contro la corruzione” diffusa tramite la Rede Globo  usando le dichiarazioni dei pentiti filtrate dalla magistratura nella cosiddetta operazione “Lava Jato”. Un’operazione ispirata all’italiana Mani Pulite, orchestrata attraverso una rete di pubblici ministeri della Procura della Repubblica, giudici di Curitiba, la polizia federale come “braccio militare”, il Dipartimento di Stato americano e le multinazionali del petrolio.

La struttura particolarmente corrotta del sistema politico brasiliano – definito “presidenzialismo di coalizione” – si basa su un meccanismo di estorsione/corruzione permanente e “legalizzato” tra esecutivo e parlamento o per stabilire una maggioranza parlamentare servile agli interessi del capitale finanziario e dei grandi monopoli. In uno dei paesi più diseguali del mondo, dove oltre il 40% del bilancio federale è annualmente utilizzato per pagare gli interessi e l’ammortamento del debito pubblico per finanziare il capitale, e la capacità di indebitamento degli Stati è costituzionalmente subordinata al potere centrale, l’“ammissibilità” dei parlamentari è legata alle voci di bilancio che l’esecutivo ha il potere di concedere in cambio del sostegno alle sue misure. Un esercizio in comune permanente lubrificato dal finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti politici che rispondono agli interessi del grande capitale. Si chiama “fisiologismo”, la forma particolare che assume il “lobbyismo” tra interessi pubblici e privati ​​in Brasile.

Negli anni ’90, questo schema che era usato per avvantaggiare i grandi capitali native e stranieri (tra cui i principali media come la Rede Globo), portò a un enorme scandalo di corruzione chiamato “caso Banestado”, in riferimento alla banca di Stato di Paraná dove furono evasi illegalmente, almeno, 520 miliardi di dollari usando le “strutture” per il riciclaggio di denaro nella tripice frontiera [dello Stato locale, dello Stato federale, con il Paraguay, ndt]. Il processo giudiziario fu condotto dal giudice Sergio Moro, che ha chiuso il caso senza indagare su nessuno degli indizi che portavano ad alcuni dei principali leader nazionali del PSDB di Fernando Henrique Cardoso. Lo stesso Moro che, anni dopo, con l’aiuto di Rede Globo, divenne un “eroe popolare” della “lotta alla corruzione”.

Quando Lula è arrivato al potere nel 2003, è stata aperta una Commissione di Inchiesta Parlamentare (CPI) per indagare sul “caso Banestado”. Tuttavia, il PT ha usato l’influenza dell’Esecutivo per chiudere le indagini in cambio del sostegno politico per le sue riforme da parte delle parti coinvolte nei negoziati. Ciò è culminato con l’integrazione di alcuni di quei grandi beneficiari nella sua coalizione di governo, sigillando così l’assimilazione del PT allo stesso sistema dal quale anni dopo sarebbe stata una vittima. Prima del primo scandalo di corruzione del PT nel 2005, il cosiddetto “mensalão” (“mazzette”), il PSDB stesso e la potente Federazione delle Industrie di São Paulo cercarono di far sbollire la situazione e chiamarono “alle proprie responsabilità” i vari attori del regime perché non creassero un clima “destituente”. Così, ci furono innumerevoli scandali di corruzione che si sono conclusi nel nulla. Solo con l’inizio della crisi economica mondiale e le sue prime ripercussioni in Brasile, è stato ripreso il processo “mensalão” per concentrare le indagini di  Lava Jato sul PT. Perché gli attacchi si sono concentrati contro il PT, che nei suoi governi ha garantito guadagni senza precedenti al grande capitale e la passività dei sindacati?

Mentr il Brasile viveva una florida crescita economica, con l’incasso di lauti guadagni da parte dei capitali finanziari, così come i capitali nativi erano favoriti dalle banche statali come la BNDES e il conglomerato Petrobras, tuddi erano felici con quello “schema” di negoziati diretto dal PT, al punto che il paese era esaltato dalla stampa imperialista come la “stella” nascente dei BRICS. Tuttavia, con la Grande Recessione mondiale post-2008, la magistratura e la “lotta contro la corruzione” cominciano a essere utilizzate dal capitale imperialista per cambiare questa relazione di forze in suo favore. In questo scenario, il PT fu eletto come come obiettivo privilegiato per “abbassare” le ambizioni delle grandi aziende brasiliane costruttrici, petrolchimiche e di refrigerazione che erano cresciute come concorrenti internazionali, nonché di aprire ali capitali imperialisti la gigantesca fonte di ricchezza concentrata nelle riserve del Pre Sal [enorme giacimento di petrolio e gas al largo delle oste brasiliani, ndt] e tutto l’enorme conglomerato di estrazione e raffinazione del petrolio guidato da Petrobras. A tutto ciò si somma la necessità di costringere le basi del PT ad accettare un peggioramento delle loro condizioni di vita e una retromarcia sui diritti sociali e del lavoro per preservare i profitti capitalisti e garantire la politica di tagli necessaria per il pagamento religioso del debito pubblico.

 

Le tendenze proto-fasciste tra le basi di Bolsonaro

In questo modo, il rifiuto della “casta politica” emerso dalle proteste del 2013, combinato con la “lotta alla corruzione” lanciata da Lava Jato e dalla Rede Globo, andò creando il clima destituente contro il governo del PT. Queste due tendenze (il sentimento “anti casta” che emerse nel giugno 2013 e i fan di Lava Jato) guadagnarono una base sociale cavalcando l’onda del peggioramento delle condizioni di vita provocato dalla caduta del 7% del PIL tra il 2015 e il 1016, aprendo la via per le manifestazioni di massa che stabilirono la relazione di forze [necessaria] per l’impeachment a Dilma Rousseff.

In quelle manifestazioni contro Dilma, il bolsonarismo era ancora una piccola minoranza. L’obiettivo del golpe istituzionale era mettere al potere la destra tradizionale impersonificata dal PSDB e dal DEM, appoggiati dai “cacicchi” del MDB. L’apogeo del bolsonarismo come tendenza larga di massa si è avuto nella misura in cui quei partiti della destra tradizionale, specialmente il PDSB – associati al disastro su tutta la linea del governo Temer e alla corruzione del sistema politico – hanno perso la propria capacità di incanalare il sentimento anti-PT alimentato da Lava Jato, lasciando vuoto tale spazio perché fosse occupato da una figura populista che è stata in grado di vendere al pubblico l’immagine di un “outsider”. Di fronte alla mancata evoluzione radicale da sinistra nei confronti del marciume di un sistema politico così logoro e sfiduciato, Bolsonaro emerge con le sue proposte radicali di destra, appellandosi al pugno di ferro per rispondere alla crisi profonda della violenza sociale nella quale il paese è sprofondato a causa della crisi economica, specialmente negli Stati come Rio de Janeiro.

Con l’affermazione di Bolsonaro, il nucleo più fascistizzante del profondo della sua base sociale originaria, la polizia militare e civile, così come le forze armate, viene incoraggiato e passa all’offensiva. Secondo gli ultimi dati, ci sono 425 mila poliziotti militari statali, 118 mila poliziotti civili, 13 mila poliziotti federali, 327 mila membri dell’esercito, marina e aviazione. Contando pensionati e parenti, è un “nucleo” sociale reazionario con non meno di 3 milioni di persone. La proiezione di questo nucleo sociale, idealizzato da Bolsonaro come “vittima” dei diritti umani per ispirare la politica del pugno di ferro, è inseparabile dagli attentati politici dell’estrema destra che si sono intensificati in tutto il paese nelle ultime settimane.

L’ultima componente fascistizzante della base bolsonarista è entrata in campo nelle ultime due settimane della campagna elettorale: le chiese evangeliche, la cui influenza sociale è stimata in circa un terzo della popolazione. Questi sono diventati un fattore decisivo nel modellare ideologicamente la polarizzazione. Con le loro reti sociali (in particolare su WhatsApp) si diffondono fake news in cui il PT appare come una banda di pervertiti che calpestano i valori religiosi e come “comunisti” che imporranno un presunto “terrore rosso”. Niente di più ingiusto rispetto a un PT che durante i suoi 13 anni di governo ha garantito la negazione del diritto all’aborto e ha oliato i rapporti dello Stato con le chiese, mentre allo stesso tempo garantiva profitti da record storico per il non molto comunista capitale finanziario internazionale.

Sulla base di queste definizioni dell’origine e dello sviluppo del fenomeno Bolsonaro, possiamo rispondere più precisamente alla domanda iniziale sulla componente protofascista esistente al suo interno. Un fenomeno che fino a poco tempo fa era una piccola minoranza radicale all’interno del blocco politico-sociale che ha ha promosso il golpe istituzionale: con il logoramento dei partiti tradizionali di destra associati al governo Temer, ha raggiunto il 20% dell’intenzione di voto fino all’inizio della campagna elettorale. Una volta consolidato come candidato favorito dell’elettorato anti-PT, avendo sottratto questo spazio al PSDB agonizzante, con l’aiuto del potere giudiziario, la Rede Globo e i militari – che manipolano apertamente le elezioni contro Lula e il PT – il bolsonarismo è avanzato fino al 35% dei voti. Adottando un approccio fortemente demagogico e essendo favorita la sua immagine dopo aver ricevuto una pugnalata, che gli ha permesso di porsi come vittima ed evitare i dibattiti pubblici, ha potuto fare la volata finale al primo turno guadagnando parte degli elettori lulisti più conservatori e che ignorano il programma ultraneoliberale di Paulo Guedes. Così è avanzato fino al 46% dei voti al primo turno. Oggi è dato come grande favorito, con il 58% delle intenzioni di voto nel ballottaggio, attraendo i voti anti-PT dei candidati del centro e del centrodestra che non hanno superato il primo turno. Si può lecitamente pensare che che questa maggioranza elettorale contenga non solo settori borghesi e piccoloborghesi di “classe media” che hanno caratterizzato la sua base sociale originaria, ma anche settori della classe lavoratrice.

Se da un lato le tendenze proto-fasciste presenti nella base sociale di Bolsonaro sono un parte minoritaria e poco organizzata che difficilmente oltrepassa il 20% dei suoi voti “originari”, oggi rappresentano il polo più attivo e dinamico della relazione tra forze sociali, e continueranno a spingere il regime che sorgerà dalle elezioni verso un grado di autoritarismo e attacchi qualitativamente superiore a ciò che ha rappresentato la prima tappa del golpe istituzionale sotto Temer.

 

Le tendenze al bonapartismo e l’eventuale governo Bolsonaro

Per analizzare ciò che potrà succedere con un eventuale governo Bolsonaro, risulta utile la categoria che Trotsky utilizzava per caratterizzare i primi governi posteriori al crack del 1929, che aldilà dello sviluppo delle tendenze fasciste a cui assistevano, ancora si coprivano con maschere più o meno “democratiche”. Trotsky definì più in generale il “bonapartismo” come forma di governo che cerca di elevarsi sopra i campi in lotta appoggiandosi più direttamente sulle forze armate a scapito del parlamento per preservare la proprietà capitalista e imporre l’ordine. Ora, nel caso di un governo Bolsonaro in Brasile, non sembrerebbe ancora necessario prescindere dal parlamento, contando sulla possibilità del ricorso a un aumento dell’autoritarismo tramite il potere giudiziario e l’appoggio alle forze armate. Per un governo del genere, che corrisponde di più a un periodi d’incubazione del bonapartismo, risulta utile la categoria di Trotsky di “pre-bonapartismo”.

Le tendenze proto-fasciste della base bolsonarista sono ancora molto incipienti, dato che la crisi economica in Brasile (e così nel mondo) ancora è molto inferiore alla depressione che caratterizzò gli anni ’30 e non è proiettata a tendenze belliciste immediate come si incontravano in Europa allora. Ma anche per via della politica del PT di demoralizzazione della propria base sociale [2]. In primo luogo attraverso l’attuazione di rigidi tagli durante il secondo mandato del governo Dilma, e poi, una volta nell’opposizione, canalizzando tutto il malcontento delle masse contro il golpe governativo di Temer verso il terreno elettorale. Il PT è arrivato al punto di deviare l’enorme energia liberata dalla classe operaia nei due scioperi generali che hanno bloccato la riforma delle pensioni nella prima metà del 2017, impedendo che quell’energia si opponesse alla riforma del lavoro che è stata successivamente approvata. Questa politica è la principale responsabile della liquidazione del peso della classe operaia nel rapporto di forze nazionale.

Trotsky diceva che il bonapartismo si può avvalere del fascismo per arrivare al potere, ma solamente nella misura limitata e necessaria per sconfiggere il movimento operaio. A partire da questa prospettiva dobbiamo intendere i recenti movimenti di “fattori di potenza” nazionali e stranieri per “disciplinare” le tendenze più fascistizzanti scatenate dal bolsonarismo. La Rede Globo, “creando” l’illusione di un “paese delle meraviglie”, mette i suoi programmi e notiziari in campagna permanente per un un immaginario Brasile di “lotte” femministe, antirazziste e antiomofobe, con “istituzioni della società civile” idealmente così radicate che un governo Bolsonaro non potrebbe farle retrocedere. Il messaggio subliminale è: “non aver paura puoi votare Bolsonaro e andrà tutto bene”.

Il Presidente del Tribunale Federale Supremo, insieme allo Stato Maggiore militare, a intellettuali, giuristi e giornalisti delle principali università e dei grandi mezzi di comunicazioni, cercano di fare pressione a bolsonaro perché giuri sulla Costituzione e reprima gli atteggiamenti troppo golpisti del candidato a vicepresidente, il generale Hamilton Mourão. Secondo il Comandante dell’Esercito, il generale Villas Boas, due giorni dopo il primo turno delle elezioni:

In una democrazia consolidata come la nostra, non occorrono golpe, anche perché il popolo brasiliano non permetterà che non si rispetti la Costituzione e che si attacchino le istituzioni. Il Brasile di oggi ha istituzioni solide che non permettono che la sua evoluzione fuoriesca dai limiti dei precetti democratici.

A ciò si aggiunge il discorso diffuso da alcuni dei principali organi della stampa imperialista – forse come parte della campagna elettorale del Partito Democratico USA per le elezioni a medio termine di novembre -, in cui Bolsonaro viene criticato per le sue pose più autoritarie. I paragoni che questi media fanno tra Trump e Bolsonaro, definendolo come una sorta di “Trump dei tropici”, nascondono che mentre i tratti bonapartisti del presidente americano sono al servizio di una politica protezionistica dell’imperialismo, quelli del bolsonarismo servono una politica liberale di apertura economica per favorire gli interessi del padrone del nord.

Questo lavoro di “contenimento” del bolsonarismo risponde a un rapporto di forze sociali nel quale la classe operaia è perlopiù passiva e lasciando passare gli attacchi, i tagli e le privatizzazioni che il golpe istituzionale ha avuto l’obiettivo di portare a compimento, senza resistere. Siamo di fronte a un regime – ora legittimato dalle elezioni – che attacca i diritti più elementari di tutela legale e che se ne infischia del suffragio universale, impedendo alla popolazione di votare per chi preferisce. E che ha come obiettivo di imporre un rapporto di forze più a destra, deteriorando qualitativamente il livello di vita delle masse, di privatizzare su una scala più ampia le risorse strategiche, di far retrocedere i diritti sociali, e di aumentare la subordinazione del paese all’imperialismo. Se questo cambio nei rapporti di forza può continuare tramite vie soprattutto democratiche, senza il ricorso alla forza fisica, meglio per gli interessi del capitale, che preferisce dominare con maschere più o meno democratiche, sempre più efficaci per portare avanti i propri inganni.

Non esiste un complesso di forze sociali sul quale si possa erigere un arbitro (un Bonaparte) che faccia leva sull’apparato militare per risolvere il conflitto in favore del capitale. Questo, solamente perché il polo dinamico dei rapporti di forza sociali oggi è il golpismo, in special modo il suo nucleo di estrema destra, che agisce contro un proletariato immobilizzato che ha alla sua testa direzioni che abbandonano le proprie trincee senza lottare – è evidente che la strategia elettorale/parlamentare e di fiducia nel potere giudiziario da parte del PT ha perso su tutta la linea senza dare nessuna seria battaglia.

O, almeno per ora, in Brasile non si pongono né la necessità né le condizioni per un regime bonapartista in senso stretto. Tuttavia, le forze di estrema destra scatenate da Bolsonaro, nel caso molto probabile che egli vinca le elezioni, sembrerebbero anticipare un destino per il governo di tipo pre-bonapartista giuridico-militare qualitativamente più autoritario e reazionario che sotto il governo Temer.

 

Le contraddizioni che affronterà un governo Bolsonaro

Un eventuale governo Bolsonaro dovrà affrontare grandi problemi che si esprimono già nel ballottaggio, e che potrebbero ancora aiutare Haddad.

In quanto alla propria base sociale, Bolsonaro ha due contraddizioni centrali: 1)Dovrà combattere con l’evaporazione di tutta la sua demagogia “anti-sistema” e “anti-corruzione” nella misura in cui dovrà comporre una base parlamentare con la banda di mafiosi che ha sostenuto il governo Temer, e stabilire con il parlamento lo schema di negoziati che tanto ha criticato al PT. 2) Parte importante della sua maggioranza elettorale non è cosciente che il suo governo sarà molto peggiore di quello di Temer in termini di attacchi, distruzione dei diritti e peggioramento delle condizioni di vita. Questa contraddizione tende ad acutizzarsi ancora di più con l’escalation demagogica che sta compiendo nel ballottaggio per conservare i votanti lulista che ha guadagnato nel primo turno, dicendo che aggiungerà la tredicesima al programma assistenziale “Bolsa Familia” e che non aumenterà le imposte ai più poveri. 3) Le giravolte di Bolsonaro, che è partito dicendo che privatizzerà tutte le imprese pubbliche per poi riconoscere che manterrà i “nuclei strategici”, sono un anticipo dei conflitti che esisteranno tra il programma ultraneoliberale di Paulo Guedes e gli interessi strategici dei settori militari e della borghesia brasiliana.

Per quanto riguarda i votanti di Haddad, gli scioperi nazionali che hanno fermato la riforma delle pensioni di Temer sono una dimostrazione hce la classe operaia non sconfitta sul piano strategico. Lo stesso voto al PT, nonostante la proscrizione di Lula e tutte le brutalità antidemocratiche del regime per isolarlo, è un’espressione, anche se molto distorta, della relazione di forze dei settori che si oppongono al golpismo. Lula, che è arrivato ad accumulare intorno al 40% dell’intenzione di voto e si è distinto come possibile vincitore al primo turno nel caso in cui fosse stato in grado di presentarsi, è riuscito a trasferire buona parte dei suoi voti ad Haddad, vicino alla percentuale che i sondaggisti indicavano come supporto diretto al PT come partito. Aggiungendo i voti anti-golpe che Haddad ha raccolto per accumulare la sua intenzione del 42% di votare nel ballottaggio, ciò indicherebbe che Bolsonaro avrebbe attirato circa l’8% dei voti tradizionalmente lulisti, che erano sempre più ampi dei voti del PT.

Nonostante tutto l’appoggio del capitale finanziario e della grande borghesia, è improbabile che l’economia vada incontro rapidamente a una crescita tale che si possa percepire qualcosa come un miglioramento delle condizioni di vita delle masse.

In questo senso, un eventuale governo di Bolsonaro già nasce debole, ed è probabile che sia attraversato da molteplici forme di lotta di classe. Come risultato di questi attacchi, le tendenze al bonapartismo che oggi sono espresse prevalentemente attraverso il potere giudiziario potrebbero dare origine, con o senza la figura di Bolsonaro, a un regime più direttamente supportato dall’apparato militare. Questo è quanto riflette il rapporto pubblicato l’11 ottobre sul settimanale britannico The Economist:

La maggioranza degli ufficiali superiori è moderata e non intende prendere misure incostituzionali e non si subordinerà a Bolsonaro, secondo lo specialista in difesa Alfredo Valladão. Se egli vincerà, la resistenza dei militari al completo controllo civile potrà essere una restrizione per lui. L’esercitò si sentirà forzato a intervenire, secondo Valladão, solo se i conflitti in Brasile si trasformeranno in violenza politica su grande scala (grassetto nostro).

 

Programma e strategia per affrontare l’estrema destra e il golpismo

Insieme al Movimento Rivoluzionario dei Lavoratori (MRT) del Brasil, organizzazione sorella del PTS [Partito dei Lavoratori Socialisti, sezione argentina della FT in cui milita l’autore dello scritto, ndt, siamo a fianco dei lavoratori e dei giovani che votano criticamente Haddad per sconfiggere Bolsonaro nell’urna. Tuttavia, abbiamo bisogno di trasformare il giusto odio contro l’autoritarismo e contro il programma ultraneoliberale di Bolsonaro in un gran movimento di milioni di persone nelle piazze per combattere tutto ciò che esso rappresenta.

Contrariamente a questa prospettiva, il PT ha iniziato la sua campagna elettorale di ballottaggio con una propaganda elettorale che si oppone all’odio per l’autoritarismo di Bolsonaro e propone una politica volta ad attirare presunti “alleati” dai tradizionali partiti neo-liberali e golpisti sconfitti alle elezioni. Questa politica va nella direzione opposta alla risposta ai reali bisogni dei 25 milioni di disoccupati e sottoccupati e delle altre decine di milioni che hanno peggiorato le loro condizioni di vita e hanno perso i loro diritti da quando il golpismo ha cominciato ad avanzare nel paese.

Per combattere seriamente l’avanzata del golpismo e dell’estrema destra abbiamo bisogno di lottare per abbattere tutte le riforme reazionarie del governo Temere; creare un grande movimento per il rifiuto del pagamento del debito pubblico, perché ci siano fondi dedicati alle opere pubbliche, alla salute e all’istruzione; e abbiamo bisogno di imporre ai sindacati, alle confederazioni sindacali, alle organizzazioni studentesche e popolari perché diano vita a comitati di base per organizzare la resistenza e preparare un grande sciopero nazionale combinato con manifestazioni nelle strade di tutto il paese.

Non si potrà combattere il golpismo e l’estrema destra con un generico discorso di “pace e amore” e con proposte generali, vaghe, senza basi. Potremo combattere seriamente Bolsonaro con un programma che risponda in modo radicale ai veri disagi della maggioranza sfruttata e oppressa del paese. L’unica risposta radicale realista è quella che s’impegni a difendere la mobilitazione dei sindacati e dei movimenti sociali per far retrocedere l’onda autoritaria e per imporre che la crisi la paghino i capitalisti.

 

Note

[1] Un esempio paradigmatico di questo processo è la meteora del cosiddetto Movimento Brasile Libero (MBL), che dal 2013 ha accumulato milioni di follower sulle reti sociali. È stato uno dei principali organizzatori delle grandi marce per l’impeachment a Dilma e nelle elezioni del 2018 è riuscito a eleggere come deputato federale fra i più votati nello Stato di San Paolo uno dei suoi principali leader.

[2] Il PT brasiliano nacque come “partito operaio-borghese” secondo la definizione che diamo noi marxisti. Ciò vuol dire che non è semplicemente un partito borghese o piccoloborghese, ma un partito riformista basato sui sindacati. Infatti mantiene una relazione organica con le organizzazioni operaie, in particolare con la CUT.

 

Daniel Matos

Traduzione da Izquierda Diario

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).