Come c’era da aspettarselo questo governo – in netta continuità con il precedente – sembra proprio non volersi curare granché della questione ambiente. Anzi, sceglie di stare dalla parte di chi inquina e avvelena l’aria che respiriamo come i campi che coltiviamo e l’articolo 41 del DL 28 settembre 2018 n. 109 ne è la riconferma. Questo decreto, infatti, prevede la possibilità di spargere reflui di depurazione delle acque contenenti residui di idrocarburi e altri rischiosi inquinanti nei campi destinati alla coltivazione degli ortaggi che finiscono sulle nostre tavole.

 

È da anni che se ne parla, ma cosa sono i fanghi di depurazione? Sono nient’altro che i residui, gli scarti derivanti dalla depurazione delle acque di provenienza urbana, ma anche industriale. Dopo lunghi processi chimici, fisici e batteriologici negli impianti di depurazione, i fanghi, vengono disidratati e trasportati nelle discariche o nei campi agricoli dove vengono utilizzati come fertilizzante. Ad oggi la Lombardia è la regione che ne fa un largo impiego e che importa e sparge sulle proprie coltivazioni centinaia di tonnellate di fanghi ogni anno.

 

Il dato più allarmante, però, non sta nelle quantità, ma soprattutto nel contenuto di questi rifiuti. Una volta tolti pannolini, assorbenti, preservativi, cotton fioc e mozziconi di sigaretta, sono molte le componenti tossiche residuali.

I controlli, inutile dirlo, vengono fatti dalle stesse aziende che si occupano della depurazione delle acque e si sono basati finora su un decreto legislativo del 1992 (Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99) che deriva da ricerche scientifiche fatte nei primi anni ’80 e che andava a discriminare solo nella concentrazione dei metalli. Per quanto riguarda gli idrocarburi C10-C40 nell’art 41 il limite è di 1000 mg/kg su “tal quale” e non su “sostanza secca”, ciò significa che se i fanghi hanno elevate percentuali di acqua si potranno raggiungere anche i 10.000 mg/kg ss.

 

Oggi in Lombardia sono più di 800 000 le tonnellate di fanghi arati, la situazione è critica e c’è un urgente bisogno di estendere il controllo ad altre sostanze. Lo hanno notato gli esperti dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), i quali dichiarano che: “la qualità dei suoli e delle acque della regione presenta aspetti di criticità tali da limitare la sostenibilità di ulteriori apporti di nutrienti. L’utilizzo dei fanghi in agricoltura deve pertanto contrarsi”.

 

 

Essendo consentito lo sversamento ogni 3 anni di 15 tonnellate di fanghi per ettaro di suolo agricolo – il cui spandimento difficilmente potrà essere omogeneo –, non è fuori luogo ipotizzare che nel giro di pochi anni i suoli agricoli, almeno per alcuni inquinanti persistenti e bioaccumulabili, potrebbero raggiungere livelli tali di contaminazione da renderli passibili di bonifica.

 

Tra le sostanze che preoccupano di più la salute pubblica troviamo i PFAS (comporti perfluoroalchilici). I PFAS vengono utilizzati a partire dagli anni ’50 come emulsionanti e tensioattivi in prodotti per la pulizia, nella formulazione di insetticidi, rivestimenti protettivi, schiume antincendio e vernici che finiscono negli scarichi casalinghi ogni giorno. Sono impiegati anche nella produzione di capi d’abbigliamento impermeabili (Gore-tex e similari), in prodotti per stampanti, pellicole fotografiche e superfici murarie, in materiali per la microelettronica. Nel 2017 la Regione Veneto ha promosso un’indagine sulla diffusione dei PFAS analizzando il sangue della popolazione più giovane. Dai risultati emerge che gli adolescenti veneti hanno livelli di queste sostanze nel sangue di trenta volte superiori al normale e questo li espone a un rischio ben maggiore di contrarre malattie come: ipercolesterolemia, coliti ulcerose, malattie tiroidee, tumori del testicolo e del rene.

 

Il nord Italia è una meta da sempre molto ambita per quei turisti che vogliono immergersi nella bellezza della natura incontaminata ma purtroppo, con gli scandali degli ultimi anni, dovremmo renderci conto che l’appellativo “incontaminata” sta diventando sempre più un’ipocrisia. Bisognerebbe ricordare ad esempio che nel bacino del Po, che abbraccia quattro regioni, tredici province e quasi duecento comuni, c’è una contaminazione importante da pesticidi ed erbicidi che riguarda la maggior parte delle acque superficiali e una grande parte delle acque sotterranee, in molti casi sono superati i limiti imposti per legge.

 

Ma insomma, che i limiti siano imposti dalla legge oppure no, la sostanza non cambia: se per abbattere i costi è necessario riversare veleni negli ecosistemi, così sia. Quando si tratta di fanghi, gli agricoltori non devono comprare fertilizzanti e i depuratori risparmiano nello smaltimento. Tutti tacciono perché tutti ci guadagnano. Il governo, da parte sua, è sempre troppo impegnato nelle campagne razziste e nel favorire l’interesse di industriali e banchieri. Interessante a tal proposito il cambio di linea del M5S sull’Ilva, che dopo aver sfiorato il 50% a Taranto incassando i voti di coloro che ne volevano la chiusura, adesso non tolgono nessun decreto salva-Ilva e nemmeno l’immunità penale per i Commissari e i futuri affittuari/acquirenti degli stabilimenti. A riconferma del fatto che, quando si tratta di affari, la salute del cittadino e dell’ambiente passano automaticamente in secondo piano.

 

Bierre

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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