La Corte d’Assise di Taranto ha condannato ieri in primo grado a 20 e 22 anni Nicola e Fabio Riva, ex proprietari dell’Ilva, nel processo “Ambiente Svenduto”.


Una condanna storica che riporta l’attenzione dei grandi media e dello Stato sul caso Ilva e sulla copertura politica che i fratelli Riva, ora ex-proprietari della storica fabbrica d’acciaio Ilva, avevano trovato nell’amministrazione locale.

La Corte d’Assise di Taranto ha condannato ieri mattina rispettivamente a 20 e 22 anni di reclusione, in primo grado, Nicola e Fabio Riva, tra i 47 imputati (3 società e 44 persone fisiche) nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto”, che ha avuto come centro l’indagine attorno all’inquinamento ambientale legato allo stabilimento siderurgico tarantino. Il reato contestato è quello di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

La pubblica accusa aveva chiesto 25 anni per Nicola e 28 anni per Fabio Riva.

Di seguito, il video della lettura della sentenza.

Tra i condannati anche Nichi Vendola, già deputato, dirigente nazionale di Rifondazione Comunista, poi fondatore e portavoce di SEL – Sinistra Ecologia Libertà, sigla con la quale riuscì per alcuni anni a tenere uno spazio elettorale importante, in concreta funzione di supporto al PD, riuscendo a imporre proprie figure in posti rilevanti della politica nazionale, a partire da sé stesso come governatore della Puglia per due mandati, dal 2005 al 2015.

Vendola è stato condannato a 3 anni e mezzo per concussione aggravata i concorso per aver esercitato pressioni sull’allora direttore dell’agenzia per l’ambiente (Arpa Puglia), Giorgio Assennato, affinché l’agenzia avesse la mano leggera nel giudizio sulle emissioni inquinanti prodotte dall’Ilva. Assennato stesso è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento.

Vendola nega qualsiasi colpa e anzi, rivendica un suo ruolo attivo, progressivo nella vicenda Ilva: non la pensano così gli abitanti e i lavoratori di Taranto, un migliaio dei quali si era costituito parte civile.

Pur avendo riconosciuto l’inquinamento ambientale cancerogeno della fabbrica, il processo non potrà rendere esecutivo il sequestro dell’Ilva fino alla sentenza di terzo grado, poiché una legge del 2012 (a seguito del suo primo sequestro per bonifica) riconosce la fabbrica come strategica per gli interessi nazionale, e dunque gli attuali gestori (Arcelor Mittal) hanno il diritto a farla funzionare. Ad ogni modo, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci (PD), rivendica un tavolo istituzionale convocato dal presidente Draghi per una chiusura “a caldo”, confermando come con il subentro di Arcelor Mittal si sia allargato il vuoto politico attorno alla fabbrica-killer, la cui apertura non viene più difesa nemmeno dal padronato locale.

Già soltanto il regime di fabbrica sotto Arcelor Mittal ha evidenziato un dispotismo brutale dell’azienda, con il licenziamento di un operaio per un post facebook sulla fiction “Svegliati Amore” che richiama indirettamente il caso Ilva. Ma il bilancio di molte centinaia di morti in più, soprattutto per tumore anche in età infantile, rispetto alla norma, ha via via creato un’atmosfera per cui il lavoro all’Ilva “a tutti i costi” non è più senso comune nella città di Taranto. L’occasione, però, di sfruttare questa giusta, profonda indignazione diffusa nel territorio, e che ha un’eco importante a livello nazionale, non è assolutamente sfruttata dalle direzioni dei sindacati presenti in fabbrica per presentare un piano di lotta, attorno agli operai dell’Ilva stessa, per imporre la bonifica e la riconversione della fabbrica, garantendo non solo il salario dei suoi operai ma la salute di tutti gli abitanti della città.

Una lotta che non può imporsi tramite i tavoli istituzionali concertativi, basati sul rispetto della proprietà privata dei Riva prima e di Arcelor Mittal poi, e che può e deve essere condotta da chi ha vissuto la fabbrica e la città, specie di fronte alla totale impreparazione dello stesso ministro della transizione ecologica Cingolani – che solo ora parla di una eventuale possibile elettrificazione, e all’evidente disinteresse di lungo corso dei partiti di governo alla questione.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.