Dal 17 novembre la situazione politica francese ha cambiato direzione in maniera brusca a causa dell’irruzione spontanea di una considerevole frangia delle masse subalterne, come raramente si è visto in precedenza. La lotta protratta e radicale del movimento dei gilet jaunes è partita dalle cittadine e dalle larghe aree attorno alle grandi città, per puntare poi al cuore del paese riversandosi su Parigi. L’allargamento delle rivendicazioni, oltre quelle iniziali di ritiro della legge “ecologica” sui mezzi di trasporto e il carburante, ha facilitato la mobilitazione di settori sempre più larghi tra i lavoratori e gli studenti: dalla base arriva una forte spinta perché i sindacati organizzino e diano forza a una nuova fase di lotta, mentre la burocrazia sindacale ieri ha deciso di presentarsi unita nel contenere e spegnere questo conflitto sociale. Gli studenti hanno dato via a mobilitazioni e occupazioni in molte parti del paese, lanciando la mobilitazione generale: lo Stato da subito ha risposto con un ampio uso delle forze di polizia e, ad esempio nel caso della prestigiosa università della Sorbona a Parigi, con la serrata. Macron invece ieri ha ceduto ufficialmente sull’aggiunta di accise sui carburanti, che quindi dovrebbero essere ritirate.

La forte sfiducia nei confronti dello Stato e dei partiti ufficiali, da parte di diversi ampi settori sociali che stanno saldando le proprie lotte, fa emergere elementi tipici di una situazione pre-rivoluzionaria in Francia.

Proponiamo in questo senso la seconda parte di un’analisi di Juan Chingo, compagno parigino dirigente della Courante Communiste Révolutionnaire (CCR), parte del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA): qui la prima parte.


Le aspirazioni democratiche espresse dal movimento dei gilet gialli sono assolutamente progressiste ed esprimono una critica radicale al sistema della democrazia rappresentativa e a come questo sistema funziona nella pratica. Lo testimonia il fatto che le due delegazioni ricevute dal Ministro per l’Ecologia e dal primo ministro a Mantignon hanno preteso che le discussioni avvenissero in diretta su Facebook. Tra le rivendicazioni del movimento vi sono la soppressione del Senato e la definizione di un salario medio per i politici che ricoprono cariche elettive. Si tratta in buona sostanza della testimonianza di una sfiducia profonda nel sistema costituito e dell’aspirazione a che la legge sia veramente uguale per tutti. Come sottolinea Noiriel: “La sfiducia popolare nei confronti della politica parlamentare è stata una costante nella nostra storia contemporanea. I gilet gialli rifiutano di dare al loro movimento qualunque colore politico, collocandosi così sulla scia di una critica ricorrente alla concezione dominante della cittadinanza. La borghesia ha sempre preferito un sistema rappresentativo basato sulla delega del potere: “Vota per noi e ci occuperemo di tutto.” Tuttavia, fin dall’esordio della Rivoluzione Francese, i sanculotti hanno rifiutato questa spoliazione della sovranità del popolo, sostenendo invece una concezione popolare della cittadinanza e della sovranità fondata sulla partecipazione diretta. Una delle conseguenze positive delle nuove tecnologie è che, facilitando la partecipazione diretta dei cittadini, danno nuovo vigore a questa idea della sovranità. Bloccando le strade, rifiutando ogni appartenenza politica, il movimento riprende, anche se in maniera confusa, la lotta dei sanculotti del 1792-1794, dei comunardi del 1870-1871, dell’anarco-sindacalismo della Belle Epoque”. Si tratta di rivendicazioni ispirate a principi di democrazia radicale che va contro il sistema semipresidenziale della Quinta Repubblica difeso dalla destra, accettato e legittimato da François Mitterrand e socialisti a partire dal 1981, e apertamente sostenuto dal Front National di Marine Le Pen. Sotto questo aspetto dunque, i gilet gialli sostengono un modello più avanzato di quello sostenuto invece da tutti i politici borghesi del regime imperialista ed anche, purtroppo, dall’estrema sinistra. Attraverso l’operaismo o il sindacalismo, l’estrema sinistra, infatti, non riesce a cogliere il significato rivoluzionario di queste rivendicazioni per avanzare nella lotta verso un reale potere operaio.

Verso la formazione di un blocco anti-borghese? Sul carattere scandaloso dell’orientamento del movimento operaio

L’incapacità dei sindacati di incanalare la rabbia sociale da una parte, e l’esistenza di un potere solido ed irremovibile come nel 1968 dall’altra, fanno temere ai settori più lucidi del padronato che si stia per aprire un periodo assai turbolento per la borghesia. L’accorata preoccupazione per la sorte dei “corpi intermedi” è la manifestazione di questa percezione del pericolo, percezione emersa in occasione della prima mobilitazione nazionale dei gilet gialli, e tutto questo mentre il cuore del potere su cui si basa il sistema della V Repubblica, cioè la presidenza Macron, appare indebolito e isolato. Alexis de Tocqueville ha studiato questo fenomeno ne “L’Ancien Régime e la Rivoluzione” [1854, studio sulla Rivoluzione Francese, ndt]: “[Quando si verifica una crisi e] il governo centrale è in allarme perché debole ed isolato, proprio allora vorrebbe far rivivere per l’occasione le influenze individuali o le associazioni politiche che ha distrutto in precedenza; li chiama in suo aiuto; nessuno accorre, e di solito si meraviglia di trovare morta la gente a cui esso stesso ha tolto la vita. “

Notiamo anche la reazione ultra-conservatrice e l’ostilità di tutte le direzioni sindacali verso il movimento dei gilet gialli. Questo è vero tanto per i “collaborazionisti” della CFDT [Confédération française démocratique du travail, secondo sindacato francese per numero di iscritti, ndt] e il loro capo, Laurent Berger, quanto per la linea dei “combattivi” della CGT [Confédération générale du travail, primo sindacato francese, ndt] e, da ultimo, anche per il sindacato Solidaires. Si tratta di una testimonianza piuttosto eloquente del timore dei sindacati di venire superati dalle rispettive basi come lo dimostra anche il rifiuto di organizzare una grande mobilitazione politica, che solleverebbe inevitabilmente la questione della rappresentanza. L’atteggiamento apertamente divisivo di Philippe Martinez e la posizione della CGT verso il movimento dei gilet gialli si spiega col timore che la rabbia di milioni di lavoratori delle piccole imprese, spesso lasciati ai margini dalle confederazioni sindacali, possa “contagiare” i lavoratori sindacalizzati con più esperienza ma incapaci di fare richieste più avanzate rispetto a quello delle proprie direzioni sindacali, indipendentemente dal loro grado di combattività, per la mancanza di una strategia alternativa.

L’orientamento criminale delle direzioni sindacali consiste proprio nel rifiuto ad intervenire per il fatto che alcune ambivalenze e contraddizioni socio-economiche espresse dai gilet gialli potrebbero portare ad uno scocco verso destra o l’estrema destra. Sarebbe affrettato fare un confronto tra il movimento dei gilet gialli e il Movimento 5 Stelle italiano (tra un movimento spontaneo, quello francese, e quello italiano, fortemente strutturato e verticistico sin dalle sue origini) come affrettato è il parallelismo tra la situazione attuale e la manifestazione del 6 febbraio 1934. Lo sottolinea l’economista e saggista Bruno Amable in un articolo pubblicato su Libération dal titolo “Verso un blocco anti-borghese“: “E se la rabbia dei gilet gialli mettesse in discussione la trasformazione neoliberale radicale imposta dal governo? […] Se il movimento rappresentasse il primo passo verso la costituzione di un simile blocco? Bisognerebbe approfondire, ma sembra che la composizione del movimento, classi popolari e “piccola” classe media, sia la composizione giusta. La costituzione di un blocco sociale presuppone una strategia politica, in particolare per ciò che riguarda la proposta economica. La risposta a questa domanda determinerà la vera natura del movimento: una manifestazione reazionaria come il Tea Party negli Stati Uniti o Pegida in Germania, o l’inizio della convergenza delle lotte tanto atteso dai tempi del movimento Nuit debout”[il movimento sociale che ha avuto inizio il 31 marzo 2016, a partire dalle proteste contro la proposta di riforma del lavoro del governo socialista (Loi Travail). È stato paragonato al movimento statunitense Occupy Wall Street e agli indignados spagnoli, ndt] [1].

Contro il disfattismo oggettivista che caratterizza oggi la maggior parte dell’estrema sinistra in Francia e che è all’origine del suo orientamento astensionista, Amable ha ragione a sottolineare che lo sbocco del movimento dei gilet gialli rimane una questione aperta e che potrebbe evolvere sia sinistra che a destra. Ma la natura eterogenea del movimento dei gilet gialli non rappresenta una eccezione, piuttosto è la regola nei frangenti i cui vasti movimenti di massa passano all’azione diretta dopo un lungo periodo di riflessione. I rivoluzionari vivranno sicuramente processi simili a questo. La cosa peggiore sarebbe avere paura di questi elementi di eterogeneità o dei pregiudizi reazionari di queste stesse masse. Come notato Leon Trotsky, in un’analisi dedicata ad un processo rivoluzionario aperto come quello spagnolo, ma in cui ha sottolineato una serie di analogie e differenze con quello russo del 1917, “La vittoria non è affatto il frutto maturo della “maturità” del proletariato. La vittoria è un compito strategico. È necessario sfruttare le condizioni propizie di una crisi rivoluzionaria per mobilitare le masse: partendo dal livello dato della loro “maturità”, bisogna spingerle avanti […] È altrettanto astratto, pedante e falso invocare la “mancanza di indipendenza” dei contadini. Dove e quando il nostro saggio ha mai osservato nella società capitalista dei contadini dotati di in programma rivoluzionario indipendente o capaci di un’iniziativa rivoluzionaria indipendente? […] Per sollevare tutta la massa contadina il proletariato deve dare l’esempio di un’insurrezione decisiva contro la borghesia, e ispirare ai contadini la fede nella possibilità di vittoria. Invece l’iniziativa rivoluzionaria del proletariato stesso è stata od ogni istante paralizzata della sue stesse organizzazioni”.

Per una politica egemonica della classe operaia e per un’alleanza operaia e popolare contro Macron ed il suo mondo

Come abbiamo spiegato nel nostro precedente editoriale, difendere la prospettiva di comitati d’azione locali comuni che comprendano sindacalizzati e non sindacalizzati, gilet gialli e studenti combattivi potrebbe servire come strumento per rompere il blocco conservatore schierato contro la mobilitazione, che rappresenta gli apparati sindacali nelle mani della burocrazia.

Bisogna evitare le tendenze propagandiste o professorali comuni a molti settori dell’estrema sinistra che della lotta di classe hanno solo un’idea stratta e ideale, pretendendo che la classe sia assolutamente separata rispetto agli altri settori considerati come necessariamente reazionari. Se non vuole ridursi ad un ruolo di sola testimonianza, la sinistra deve attingere all’audacia strategica di un Trotsky che adattava la sua strategia operaia a una tattica di appello alla formazione di Comitati d’azione del Fronte Popolare nel 1935 [coalizione dei partiti operai e radicali-”socialisti” che poi andò al governo dal 1936 al 1938, ndt]: “Ogni gruppo che contribuisce alla lotta ed è pronto a organizzarsi secondo una comune disciplina – scrive Trotsky nel novembre 1935 – deve essere in grado di influenzare la direzione del Fronte Popolare su una base di uguali diritti. Ogni gruppo di duecento, cinquecento o mille cittadini che si uniscono nel Fronte Popolare, nelle città, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle caserme o nelle campagne e in tutti i luoghi dove si svolge la lotta, deve eleggere un rappresentante del comitato d’azione locale. Tutti coloro che partecipano alla lotta si impegnano a riconoscere questo tipo di organizzazione”.

Vedendo in questi Comitati uno strumento prezioso di alleanza rivoluzionaria con la piccola borghesia, Trotsky continuava sottolineando che “possono prender parte alle elezioni per i comitati d’azione non solo i lavoratori, ma anche i dipendenti, i funzionari pubblici, i veterani, gli artigiani, i piccoli commercianti e piccoli contadini. È così che i comitati d’azione potranno adempiere al meglio al proprio compito, cioè lottare per esercitare un’influenza decisiva sulla piccola borghesia. Inoltre, renderanno molto difficile la collaborazione della burocrazia del lavoro con la borghesia “[2]

Questo era, in effetti, l’obiettivo della tattica di Trotsky, nella misura in cui “la prima condizione è comprendere chiaramente il significato dei comitati di azione come unico modo per spezzare la resistenza anti-rivoluzionaria degli apparati dei partiti e dei sindacati “.

Un orientamento strategico di questo tipo può permettere di superare il principale ostacolo, che resta la politica delle direzioni sindacali, di modo che la lotta dei gilet gialli si diffonda ad altri settori del mondo del lavoro, ma anche al mondo degli studenti e dei giovani nei quartieri, ma soprattutto al proletariato che, in virtù della sua posizione nel sistema, può ostacolare la produzione e piegare il potere di Macron e della borghesia. Solo una strategia di questo tipo fornirà una via d’uscita progressista dalla profonda crisi a cui stiamo assistendo contro ogni scorciatoia che sarebbe quella di eludere l’importanza strategica del proletariato delle grandi fabbriche e dei servizi, o che si limiterebbe a concepire un semplice blocco anti-borghese, di sinistra o populista, su un terreno elettorale assolutamente incapace di sconfiggere Macron e il suo mondo.

Note

[1] Amable continua sottolineando come “la questione della resistenza alla tassazione (il diesel) è più complessa di quanto sembri. La critica alle tasse è un tema classico della destra e alcuni membri del governo hanno tentato di usare la richiesta di “meno tasse” per riaffermare la validità del programma economico di Macron. Alcuni temi correlati (non facciamo nulla per i francesi mentre spendiamo troppo per i migranti, i disoccupati …) testimoniano anche l’esistenza di aspettative di destra all’interno di certi gruppi delle classi lavoratrici. Ma una tale evoluzione non è inevitabile. Il tema del potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito, alla base di tutte le rivendicazioni dei gilet gialli, è un tema di sinistra. La protesta contro le tasse non è separabile dalla constatazione del degrado dei servizi pubblici (pagare per non godere di alcun servizio efficiente). La difesa del servizio pubblico è un classico tema di sinistra. L’aumento di alcune tasse che incidono sul potere d’acquisto delle classi popolari e medie […] non sono separabili dall’abolizione dell’imposta patrimoniale, dalla conversione del CICE [Credito di imposta per la competitività e l’impiego] in diminuzione degli oneri sociali”.

[2] E aggiunge che “non si tratta di una rappresentanza democratica di tutte le masse, ma di una rappresentanza rivoluzionaria delle masse in lotta. Il comitato d’azione è l’apparato di lotta. Inutile cercare di determinare in anticipo quali strati di lavoratori saranno associati alla formazione dei comitati d’azione: i contorni delle masse che lottano si tracceranno nel corso della lotta “.

Juan Chingo

Traduzione di Vera Pavlovna da Révolution Permanente

Membro della redazione di Révolution Permanente, giornale online francese. Autore di numerosi articoli e saggi sui problemi dell'economia internazionale, della geopolitica e delle lotte sociali dal punto di vista della teoria marxista. È coautore con Emmanuel Barot del saggio "La classe ouvrière en France: Mythes & réalités. Pour une cartographie objective et subjective des forces prolétariennes contemporaines" (2014) ed autore del saggio sui Gilet Gialli "Gilets jaunes. Le soulèvement" (2019).