Nelle carceri italiane sono numerosi i detenuti che trovano la morte e in particolar modo spicca la costante crescita dei suicidi, solo in quest’ultimo mese se ne sono verificati cinque su un totale di sette decessi. Lo scorso 22 dicembre nel carcere di Trento, dopo che un trentaduenne tunisino s’era tolto la vita, una sommossa ha coinvolto la stragrande maggioranza dei detenuti della struttura; barricati nelle celle e nei corridoi hanno dato fuoco a tavoli, sedie e suppellettili impegnando le ingenti forze di polizia intervenute sul posto, per diverse ore la situazione è rimasta tesissima.(1)

Un senegalese di trent’anni s’era impiccato dieci giorni prima nel carcere Don Bosco di Pisa, generando tumulti fra i detenuti che per protesta hanno acceso dei falò incendiando lenzuola e materassi.(2)
Ma qual è la situazione complessiva dei reclusi? Stando al 14simo rapporto sulle condizioni di detenzione curato dall’Associazione Antigone (3) il sovraffollamento rappresenta una problematica molto seria: a Brescia si raggiunge un tasso di affollamento del 204%, a Como del 200%, a Taranto del 190,5%, va sottolineato come l’istituto detentivo di Como in taluni casi non sia adempiente alle recenti disposizioni in materia di spazi, con l’utilizzo di celle da 9mq scarsi per 3 detenuti. Questo per smentire la celeberrima leggenda metropolitana secondo la quale in galera non ci finisce più nessuno.


Le verifiche delle condizioni igienico-sanitarie in 86 carceri – sulle 190 complessive – rivelano gravi carenze come la consegna del vitto senza carrelli riscaldati, cucine con intonaci scrostati e piastrelle rotte, numerose docce sono prive di diffusori ed alcune sono inutilizzabili a causa degli scarichi intasati. Sempre secondo Antigone “Per molti le 20 ore al giorno in cella sono la regola: nel 2017, in 35 degli 86 istituti visitati, erano presenti sezioni le cui celle non erano aperte almeno 8 ore al giorno. La totale mancanza di impianti di riscaldamento funzionanti riguarda circa il 10% degli istituti di pena visitati (7 istituti), costringe i detenuti a sommergersi di coperte e mina peraltro anche il diritto alla salute, che nel lungo periodo ne risulta intaccata. Altra grave e più ampia mancanza che si traduce in una violazione del diritto all’abitare è quella dell’acqua calda in cella. L’accesso all’acqua calda non è garantito nel 43% dei casi (37 istituti). Ancora su questo tema, è da segnalare il dato allarmante sulla mancanza di docce in cella (50 istituti, quasi il 60% di quelli visitati), pur prevista dall’art. 6 del regolamento penitenziario del 2000. Dove le docce sono comuni abbiamo trovato peraltro ambienti vecchi e umidi, con muffa alle pareti, possibilità di fare solo docce brevi e lunghe attese per il proprio turno – con conseguente violazione non solo del diritto di abitare in luoghi salubri, ma anche del diritto alla riservatezza rispetto al proprio corpo.

Nel 5% degli istituti visitati (4 istituti) manca infine addirittura il wc in ambiente separato. Nel 69.4% degli istituti visitati non vengono garantiti i 6 mq di spazio vitale che il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha definito standard minimo per i detenuti.”
L’invivibilità degli ambienti aggiunta alla mancanza pressoché totale di attività formative e lavorative rappresentano i prodromi per atti di autolesionismo che non solo si manifestano con violenze auto-inferte ma anche mediante il rifiuto delle terapie (insulina o antiretrovirali) e lo sciopero della fame. La Corte europea dei diritti umani aveva già condannato l’Italia nel 2013 per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU), dichiarandola responsabile di avere inflitto pene o trattamenti inumani o degradanti, ciò nonostante al 30 settembre di quest’anno risultano 59.275 detenuti su 50.622 posti disponibili, numeri che risulterebbero addirittura maggiori se si sottraessero dai posti disponibili circa 5.000 celle inagibili. (4)

Ma la cosa più paradossale è che aumenta il numero di detenuti a fronte di un significativo calo generale dei reati, come se la propaganda poliziesco-securitaria capace di modificare la percezione della gente avesse pure indirizzato il corso dei fatti. Più di un terzo dei reclusi sconta pene inferiori ai tre anni cioè reati legati allo spaccio e alla micro-criminalità, è quindi logico che misure alternative gioverebbero ai diretti interessati come alla collettività ma lo Stato ha bisogno di “sacrificabili”, di elementi su cui riversare ogni colpa, il reinserimento sociale è un mero esercizio di retorica come testimonia l’approvazione del Decreto Sicurezza-Immigrazione. Una discriminazione che si sviluppa ulteriormente su base etnica perché dei 23.352 detenuti che hanno finora usufruito della detenzione domiciliare solo il 31,16% è straniero, nonostante i non italiani usualmente commettano reati con pene ben più basse.

Il 2018 registra un preoccupante incremento di suicidi, 66 contro i 52 del 2017 e i 45 del 2016 (5), a conferma di una recrudescenza delle condizioni negli istituti di reclusione ed anche in termini percentuali i dati sono inquietanti: nel 2015 si è suicidato un detenuto ogni 1.200 detenuti presenti, nel 2018 il rapporto è diventato pari a un detenuto suicida ogni 900 detenuti. I dati inoltre ci dicono che in carcere ci si ammazza circa venti volte di più che in uno stato di libertà. (6)
Le ragioni che portano all’estremo gesto sono molteplici e troppo spesso gli operatori dei penitenziari (anche medici) si limitano a constatare un imprecisato squilibrio mentale, e quando riescono a sventare il pericolo predispongono l’isolamento in celle vuote oppure il ricovero in psichiatria, che tradotto significa venire legati al letto con cinghie strette ai polsi e alle caviglie con annessa imbottitura di sedativi.


Alla voce prevenzione si deve fare i conti con un vuoto pressoché assoluto, pesante lacuna che si estende all’analisi dei trascorsi di coloro i quali sono morti dietro le sbarre. Abusi? Mancanza di prospettive? Uso smodato di psicofarmaci? Domande destinate a restare senza risposta.
La prigione è una condanna globale se si appartiene ai ceti meno abbienti ed alle minoranze etniche, un costante circolo vizioso nel quale ci si sente reclusi anche da liberi poiché l’impossibilità di ricominciare a vivere determina unicamente marginalità e sofferenza; la borghesia interviene in questo ambito delimitando un confine icastico fra chi può permettersi la cosiddetta giustizia e chi non se la può permettere.
Per descrivere al meglio il sistema carcerario italiano si potrebbe rispolverare un famoso passo del capolavoro di Elio Petri Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto “Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata; ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”.

 

Roger Savadogo

NOTE

(1) https://www.ildolomiti.it/cronaca/2018/rivolta-al-carcere-oltre-200-detenuti-barricati-per-protestare-dopo-lennesimo-suicidio

(2)https://firenze.repubblica.it/cronaca/2018/12/12/news/detenuto_si_suicida_in_carcere_a_pisa-214093333/

(3) http://www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/

(4) http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/carcere-lallarme-dei-garanti-suicidi-e-sovraffollamento

(5) http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm

(6) http://www.antigone.it/news/antigone-news/3192-aumentano-i-suicidi-in-carcere-come-prevenire

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.