Il primo settembre la presidente Meloni è venuta in vista a Caivano, in provincia di Napoli, dove c’è stato blitz delle forze dell’ordine del 5 settembre, rivendicato da Meloni, contro la malavita organizzata. Caivano è saltata alla cronaca perché è stato luogo dello stupro di due minorenni da parte di un gruppo di coetanei: una violenza perpetrata più volte per mesi prima che le due ragazze riuscissero a denunciare.


Quando la Meloni è arrivata a Caivano, lo scorso 1 settembre, ad accoglierla c’era il parroco della chiesa del quartiere. Elevato a supervisore della gestione degli spazi collettivi e dei cittadini, don Maurizio Patriciello, che invoca la censura della pornografia e l’apertura di spazi di aggregazione contro gli episodi di violenza come quelli denunciati da due ragazze della cittadina nella periferia metropolitana di Napoli. L’ulteriore repressione sessuale, però, non è mai stata una soluzione alle violenze machiste, tant’è che la stessa chiesa cattolica che la promuove insieme alla sacralità del matrimonio e della castitià, è continuamente attraversata da episodi di violenza sessuale.

La fonte di aggregazione per combattere la criminalità minorile e la dispersione scolastica – che in Campania toccano vette tra le più alte d’Europa – non può essere certo il circolo ecclesiastico. Serve un sistema che ridia ai giovani il senso della vita, la prospettiva di futuro e la speranza di vivere una vita migliore. Che Patriciello sia diventato il portavoce di un’intera comunità per tutta la stampa borghese, neanche fosse il sindaco, dà un’idea esatta del disinteresse dei media verso la “gioventù maledetta” di queste periferie, e del conservatorismo politico con cui si parla dei casi più gravi di degrado e violenza che si consumano nel nostro paese.

Napoli, e soprattutto la sua provincia, è un contesto complesso, in cui da decenni, a partire dai governi di destra amici della Meloni, ha subito un progressivo decadimento nei servizi pubblici e sociali. Con lo spostamento dei poli industriali prima al nord e poi fuori Italia si è assistito a numerosi licenziamenti e all’aumento della disoccupazione; con la crisi mondiale del 2008, al sud si è segnata la chiusura del mondo del lavoro come lo conoscevamo: ancora oggi le assunzioni scarseggiano e il lavoro è, quasi esclusivamente, ultra precarizzato e\o a nero. Inoltre, durante gli anni ’60-’80 con il boom economico e la costruzione dei grandi poli industriali (quelli poi smantellati), si è vista una massiva costruzione dei quartieri-dormitori destinati agli operai. Oggi questi quartieri sono abbandonati a sé stessi e si sono aperti spazi, tra povertà e palazzoni, allo sviluppo della criminalità organizzata.

Tutta la periferia metropolitana di Napoli è una landa dimenticata dallo Stato con pochissimi mezzi di trasporto e totalmente malfunzionanti, senza interventi sociali che aiutano i giovani ad indirizzarsi verso il futuro, con un sistema scolastico iper arretrato, che si basa su un nozionismo astratto da scuola pre-68, invece di parlare della vita vera degli studenti che la frequentano, con professori al limite della pensione che non hanno la forza di scontrarsi tutti i giorni con le contraddizioni che questi quartieri offrono (e d’altronde non sono loro a poter risolverle).

In questo contesto ci si stupisce della criminalità minorile? Che altre prospettive vengono offerte ai giovani? Se l’unica cosa che hanno conosciuto è il meccanismo del “homo homini lupus” cos’altro potranno mai esercitare se non la violenza?

Non è un caso che all’arrivo della Meloni a Caivano c’erano solo forze dell’ordine e pochi contestatori. Nemmeno lei si aspettava un risultato così fiacco; infatti, aveva preannunciato “che non si sarebbe lasciata intimidire da chi la contestava” – ed in effetti l’apparato antisommossa che ha schierato lo faceva ben intendere. Ma la repressione non si ferma lì, infatti nella discussione pomeridiana del Consiglio dei Ministri sono state discusse una serie di manovre per contrastare la criminalità giovanile. Tra queste c’è: l’assunzione di quindici agenti di polizia locale «al fine di garantire l’incremento della sicurezza urbana ed il controllo del territorio». Manovre simili furono attuate anche sul Rione Traiano, altro quartiere del napoletano noto per la sua delinquenza, assumendo nuovi agenti, giovani leve, che hanno portato un ragazzo, Davide Bifolco, ad essere giustiziato con un colpo in testa perché si trovava con altri due ragazzi su un motorino e non si erano fermati all’alt della pattuglia.

La bozza presentata al Consiglio dei Ministri continua: «Nei confronti del soggetto tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi nei suoi confronti è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro, salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto». Ormai è un disco rotto: la soluzione ai problemi per il governo Meloni consiste innanzitutto nel reprimere la popolazione povera. Le multe, come il carcere, non fungono da deterrente, soprattutto in quartieri dove la presenza dello Stato è inesistente e viene percepita come intrusiva. Ma soprattutto la retorica di colpevolizzare la famiglia rispetto alla criminalità dei figli, quando probabilmente gli stessi genitori non sono nelle condizioni materiali per offrire un futuro migliore, è una deresponsabilizzazione politica clamorosa.

Il tutto genera una situazione paradossale. Se prima dicevamo che a Napoli lo Stato non esiste; che si è già fatto un atto di forza facendo un blitz nelle palazzine popolari; che i giovani nel loro quartiere vedono solo violenza e poi, quando “lo Stato viene”, risponde con uno sfoggio in grande stile dei suoi distaccamenti speciali di uomini armati… allora risulta difficile comprendere quali siano le proposte in positivo, strutturali, che il governo propone per migliorare la situazione delle periferie come Caivano. A parte, appunto, la repressione morale appoggiandosi alla chiesa cattolica, e quella poliziesca a colpi di blitz-spettacolo dai risultati scarsi in termini di contrasto alle mafie. Ma queste misure non migliorano la situazione, anzi!

Anche questa attenzione particolare su Napoli risulta peculiare: le “baby gang” sono un fenomeno che interessano tutto il Paese, gli stupri sono all’ordine del giorno con tassi altissimi nel nord Italia, così come i femminicidi. Perché oggi Caivano sta venendo costruita ad hoc come caso nazionale? Forse perché si è ben consapevoli che con le manovre che si intendono portare avanti, a partire dalla prossima finanziaria, il sud sarà una parte di paese che ribollire di rabbia, e che si potrebbe innescare finalmente una bomba sociale a partire proprio dal meridione: basti pensare al giorno in cui verrà definitivamente eliminato il Reddito di Cittadinanza, alla fine del prossimo dicembre, e si impoveriranno ulteriormente altre centinaia di migliaia di persone.

È sempre di questi giorni la notizia dell’ omicidio di un ragazzo giovane, musicista, da parte di un sedicenne con una pistola usata per sparare tre colpi a bruciapelo e ucciderlo; questo per un contenzioso su un parcheggio. La madre ha dato da subito battaglia affinché la morte del figlio non sia vana e porti a una riflessione profonda sulla situazione che i giovani oggi vivono. Purtroppo lo ha fatta con una retorica terribile sulla “Napoli bene contro la Napoli malata”. Questo tipo di discorsi sono di un classismo allucinante, inaccettabile. Si vorrebbe lasciare Napoli a chi ha i soldi per studiare l’arte, la musica, la poesia e rendere così la città un piccolo idillio e allontanare e rinchiudere nei ghetti, il più possibile lontano dal centro, i poveri, cioè l’80% della popolazione napoletana. Però poi per il turista che viene e vede la veracità del popolo che lo abita, si meraviglia per la complessità e la bellezza di questa città, i poveri ci devono essere e vanno bene… come pupazzi da circo.

Il punto è che i giovani oggi vivono una condizione aberrante e questo governo sta inasprendo duramente i conflitti di classe schiacciando i più poveri; sta legittimando con la sua retorica violenta e sessista la violenza e il sessismo  -che non a caso sono in aumento nell’ultimo anno. In questo contesto, anche agli occhi del più mite sociologo, si capirebbe di chi è la responsabilità della criminalità minorile e che direzione  -totalmente opposta a quella in cui sta andando questo governo – bisognerebbe prendere per frenarla.

Non esiste punzione, repressione, indignazione che regga di fronte al contesto di miseria e povertà che vivono i giovani di oggi a Napoli e al sud. I più deboli si devono fare forti per non essere schiacciati in questo sistema e loro, alla fine, applicano solo le regole che gli sono state insegnate nel modo più crudo possibile.

Con questo non si vuole né giustificare la criminalità organizzata, né mancare di solidarietà con tutte le vittime innocenti che la barbarie del capitalismo sta portando ed ha portato. Vogliamo però rimettere al suo posto il responsabile politico della violenza della nostra società, cioè lo Stato che fa da garante di quello stesso sistema capitalista che ha bisogno di reggersi sul patriarcato e sulla violenza, e non i ragazzini di 16 anni o le loro famiglie che già vivono la violenza quotidiana che la povertà e la marginalità infliggono. Solo così possiamo evitare di separare i casi singoli dalla violenza di sistema che continua a generarli, e di rivendicare soluzioni punitiviste che aiutano lo Stato e la classe dominante a mantenere separati gli sfruttati, ad alimentare la guerra tra poveri e a rivendicare la repressione come soluzione a tutti i problemi.

Dobbiamo lottare per un sistema nuovo, perché la lotta, l’organizzazione politica, i movimenti giovanili possono essere quella fonte di speranza che ridia a questa gioventù una vita degna di essere vissuta. E non nella retorica, ma nei fatti: solo una duro movimento di lotta di classe può portare a conquistare un lavoro migliore e sicuro, riprendere in mano le scuole perché rispondano ai bisogni degli studenti, creare spazi di socialità sani, autogestiti, e far avanzare e mettere in discussione gli uomini sul loro sessismo. Perché solo i processi radicali di lotta e rottura contro la cultura e il sistema capitalista riescono a creare coscienze nuove che si possono profondamente emancipare dalla cultura patriarcale.

Per questo, invece di partecipare ai funerali di un ragazzo della “Napoli bene”, noi preferiamo essere nelle piazze dove la “Napoli malata” esprime la sua parte più avanzata e lotta per difendere i bisogni di tuttə, anche di quella Napoli lì, della “Napoli bene”.

 

Scilla Di Pietro

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.