Dopo la ritirata delle truppe USA, imposta da Trump in barba al dissenso di numerosi numerosi rappresentanti politici e governativi statunitensi e, dopo il conseguente accordo dei curdi con Assad, nuovi sviluppi potrebbero rimescolare ancora le carte in tavola. Di fronte al nulla di fatto in cui si è risolta la riunione straordinaria della NATO del 13/10/19, richiesta da 6 paesi europei allo scopo di fermare l’azione offensiva turca ai danni della popolazione curda, ora è Putin a prendere l’iniziativa. La Russia ha infatti inviato un contingente di polizia militare – e non dell’esercito, come ha tenuto a precisare – esattamente dove si trovavano le forze di difesa curda statunitense, tanto che hanno usufruito delle stesse strutture lasciate dai soldati USA, ritiratisi in fretta e furia. L’obiettivo, ci fa sapere il Cremlino, è quello di evitare lo scontro tra Siria e Turchia.

Da questo pomeriggio l’esercito del presidente Bashar al-Assad ha preso il “totale controllo” di Manbij, località strategica a ovest del fiume Eufrate, uno dei principali obiettivi dell’Esercito Libero Siriano (milizie filo-turche) e precedentemente roccaforte dell’ISIS.

Si tratta del primo vero stop all’incursione turca nel settimo giorno dell’operazione militare “Fonte di pace”. Anche Kobane sembra ormai fuori portata, con i soldati di Assad scortati dai russi pronti a occupare anche lì il posto lasciato vacante dagli statunitensi.

Entro 24 ore arriverà poi in Turchia il vicepresidente americano Mike Pence, inviato da Donald Trump dopo le sanzioni per chiedere a Erdogan un cessate il fuoco. Il presidente turco, tuttavia, non sembra cedere e ha dichiarato che presto metterà “in sicurezza” l’intero confine turco-siriano “da Manbij al confine con l’Iraq”, ribadendo che il suo obiettivo è conquistare più terreno possibile per mettere al sicuro le frontiere e rimandare a casa i rifugiati. “Un milione in una prima fase, due milioni in una seconda tappa” ha spiegato il Sultano.

Oggi anche Gran Bretagna e Spagna si sono aggiunte alla lista di Paesi europei – dopo Italia, Germania, Francia, Olanda e Paesi scandinavi – che hanno sospeso la concessione di nuove licenze ad Ankara per forniture di equipaggiamenti militari. Bisogna precisare però che il capitale italiano produce armi anche direttamente in territorio turco, il che ridimensiona le misure annunciate da Di Maio.

Intanto al centro dell’operazione turca gli scontri proseguono in modo drammatico. Raid d’artiglieria hanno attaccato per diverse ore Tal Abyad e l’offensiva prosegue anche a Ras al-Ayn.

I combattenti curdi intanto continuano a difendere i villaggi e le prigioni dove si trovano molti miliziani dell’ISIS, i loro familiari e i cittadini stranieri sospettati di far parte a vario titolo dell’organizzazione jihadista, per un totale di circa 11.000 prigionieri. Tre giorni fa tuttavia, in seguito ai bombardamenti turchi, sono fuggiti da una delle prigioni 700 familiari di miliziani.

Erdogan e il giornale filogovernativo Sabah accusano i miliziani curdi siriani dell’YPG, definiti terroristi e di fatto messi sullo stesso piano dell’ISIS, di attaccare il confine raffiche di mortai verso le zone di confine; secondo tali fonti ieri sarebbero morti altri due civili nella provincia di Mardin, portando a 20 il totale delle vittime in Turchia. Sul fronte curdo i morti tra la popolazione sono invece almeno 90, tra cui 21 minori secondo l’ultimo bollettino dell’Ondus (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani), 158 combattenti curdi e 121 filo-turchi. Secondo fonti turche sono oltre 600 i combattenti nemici uccisi.

La presa di posizione della Russia certamente potrebbe aprire nuovi scenari nella geopolitica non soltanto mediorientale ma anche mondiale. Difficile lanciarsi in analisi e previsioni accurate di una situazione ancora in pieno divenire. Certo è che l’intervento della Russia non giunge del tutto inatteso, visto il legame col regime di Assad, sostenuto politicamente e militarmente durante a guerra civile siriana del 2011. Assad da parte sua non è per i curdi che il male minore (tale i combattenti curdi lo considerano) se è vero, come si vocifera, che l’accordo porterà, tra l’altro, allo smantellamento dell’YPG (Unità di Protezione Popolare), direttamente affiliata al PKK secondo l’organismo inglese The Henry Jackson Society, e al suo assorbimento nell’SDF (Syrian Democratic Forces). Assad potrà così riprendere il controllo dei territori ad est della Siria, strategici per la presenza sia di giacimenti petroliferi che di importanti vie di comunicazione. Putin, insomma, ha potuto consolidare ulteriormente il controllo sull’area prima grazie al patto tra il Rojava e Assad, poi col suo diretto intervento.

Resta invece l’incognita di quali saranno esattamente le ricadute del patto con Assad e dell’intervento russo sulle sorti del popolo curdo.

 

Miriam

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