L’incontestabile continuità nelle politiche del governo italiano, nonostante il cambio di diversi governi dallo scoppio della lunga crisi libica, mostra le più gravi colpe e il ruolo cosciente dello Stato italiano nella tragedia della migrazione nel Mar Mediterraneo.


Erano sudanesi i tre migranti uccisi la notte tra il 27 e il 28 luglio, dopo l’intercettazione della loro barca operata dalla guardia costiera libica nelle acque del Mediterraneo, mentre altri quattro sono rimasti feriti. Questo è stato solo un singolo, grave episodio di un triste bollettino migratorio, il tutto mentre il repressore per eccezione, l’ex-ministro dell’interno italiano Marco Minniti, blatera sui media sedicenti correlazioni tra Covid e migrazione.

Già, il Ministro Minniti, l’uomo di ferro del Viminale, colui che con una dialettica da Ventennio elogiava gli accordi criminali presi con il governo libico in tema di riduzione dei flussi migratori, e aveva esultato per la riduzione degli sbarchi sulle nostre coste grazie al memorandum. Un accordo che, fatte le dovute differenze, rappresenta un goffo tentativo di trattare con la Libia come l’Unione Europea ha trattato con la Turchia, cioè dare soldi ai governi in cambio di tenersi i migranti. Non importa in quali condizioni gli stessi versano nei due paesi, l’importante è che se li tengano.

Non importa quindi se sono nei centri di detenzione amministrati dalle milizie del GNA [il governo ufficiale di Tripoli, ndr] o nelle prigioni delle tribù nel sud della Libia, ciò che conta è la riduzione del numero degli sbarchi sulle nostre coste e assicurare ‘l’ordine e la sicurezza’ nel nostro paese.

Sembrano non destare alcuno scandalo neanche gli accordi e il finanziamento diretto ad alcune milizie e tribù libiche da parte del nostro governo. In un’inchiesta fatta, alcuni mesi fa, dal quotidiano cattolico Avvenire è emerso che il nostro governo ha trattato con personalità coinvolte direttamente nel traffico di esseri umani in Libia.

La presenza del trafficante Abd al-Rahman Milad, alias Bija, a Palermo nel 2017 ha di fatto aperto il vaso di pandora sugli accordi tra Italia e Libia sui migranti.

Accordi che sono risultati, da un punto di vista locale, di fatto fallimentari. I finanziamenti previsti alle municipalità libiche con lo scopo di realizzare ‘economie alternative’ al traffico illecito e di esseri umani, seppur accolte a livello formale, non sono mai state efficaci poiché non si avvicinavano neanche alle cifre del business illegale. Secondo uno studio dell’IFRI, il traffico illecito, tra cui anche quello degli esseri umani, si aggira attorno al miliardo di dollari, ciò che l’Italia offrì ai soggetti interessati non era che una piccolissima parte di tale cifra (5 milioni di euro).

Il memorandum di intesa, tuttavia, conferma ancora una volta di quanto i partiti della borghesia italiana, siano essi di destra che di sinistra, condividano le politiche che essi definiscono, in modo positivo o negativo, sovraniste.

Entrambi gli schieramenti non si calpestano i piedi l’un l’altro, anzi si coadiuvano a suon di decreti ed accordi, in questo caso con la Libia.

Di fronte a critiche sempre più feroci da parte di ONG, società civile e forze della sinistra radicale, il ministro dell’Interno Lamorgese ha più volte ribadito che il decreto Salvini andrebbe cambiato. A quanto pare, però, soprattutto con la rabbia montata in questo periodo di crisi sociale generalizzata, a nessuno importa di quanto lo stesso decreto sia dannoso per i migranti e nessuno, ad oggi, si sognerebbe di cancellarlo.

È l’ennesimo teatrino della politica borghese, specie quella della cosiddetta sinistra che si erige a paladina dei diritti umani e poi si rende complice dei massacri nel Mediterraneo con il memorandum di intesa tra Italia e la sua ex colonia.

Le numerose dichiarazioni, Orfini in primis, nei confronti della volontà del governo di implementare gli accordi con la Libia non fanno che confermare di quanto alcune frange del PD puntino a mantenere una finta dialettica all’interno del partito con l’obbiettivo di mascherare la posizione effettiva del riformismo social-liberale italiano verso gli accordi.

La discussione seguita alla morte dei migranti per mano della Guardia Costiera libica -che l’Italia finanzia e addestra- sulla modifica del memorandum di intesa tra i due paesi ha inoltre un’alta valenza geopolitica.

Al di là del pianto della stampa e degli analisti organici al grande capitale sul ruolo della Turchia nella guerra civile in Libia in sostegno del “nostro” alleato al-Serraj, il memorandum rappresenta un tentativo di un ritorno di fiamma nel nostro paese sul piano politico.

La centralità della migrazione e la strategia italiana di investire le risorse politiche nella risoluzione del conflitto solo sulla migrazione, ha di fatto spalancato le porte ad altri attori sia nel paese che nella regione. Se da un lato è vero ciò che molti affermano sull’ormai tramontato ‘ruolo italiano in Libia’, dall’altro è pur vero che il nostro paese è ancora presente nella sua ex-colonia. L’ENI, che dalla Libia, nonostante la guerra civile, non ha quasi mai interrotto le proprie attività di sfruttamento delle risorse energetiche, ha da sempre rappresentato la diplomazia grigia italiana nell’ex-colonia. Inoltre, la Turchia, seppur oggi occupi un ruolo di primaria importanza sotto il punto di vista bellico, non dà garanzie a lungo termine e questo l’imperialismo italiano ed europeo lo sanno benissimo.

Ciò che il nostro paese fa finta di disconoscere sono le condizioni di centinaia di migliaia di migranti che continuano ad essere ricattati, torturati e ammazzati in mare come nelle prigioni e nei centri di detenzione; il tutto sotto l’egida degli accordi tra Stati, nonostante la Libia sia considerata tale quando si parla di migranti, e failed-State (Stato fallito) quando si tratta di geopolitica e sfruttamento di risorse. Il tutto alle spalle della popolazione civile e dei migranti.

La nostra lotta per l’apertura, prima, e l’abbattimento dei confini poi, deve essere più forte che mai. Confini che sono stati abbattuti dal grande capitale per la libera circolazione delle merci, ma restano serrati per il passaggio degli esseri umani che, a causa della miseria e delle guerre scatenate o foraggiate dagli Stati imperialisti, fuggono in cerca di quel poco di sicurezza che l’Europa potrebbe offrire.

Per questo rivendichiamo l’apertura delle frontiere nel Mediterraneo e lo stop delle ingerenze straniere, a partire dagli Stati imperialisti europei, nella guerra civile libica: è la classe lavoratrice in Libia, indigena e immigrata, la sola ad avere il diritto di imporre una pace basata sul suo potere politico e sul controllo delle risorse del paese.

 

Mat Farouq

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